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Un momento del processo del Tribunale Vaticano sulla gestione dei fondi della Santa Sede Un momento del processo del Tribunale Vaticano sulla gestione dei fondi della Santa Sede 

Becciu interrogato per otto ore sugli investimenti e i contatti con Marogna

Quindicesima udienza del Processo vaticano interamente occupata dalle risposte del cardinale alle domande del Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, che ha voluto proiettare i documenti sul muro dell’Aula dei Musei Vaticani. Rigettata parzialmente la costituzione di parte di civile di monsignor Perlasca

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Non lo so, non mi ricordo”. Le ha ripetute molte volte queste frasi, il cardinale Angelo Becciu, dinanzi alle centinaia di documenti che il Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, ha voluto far proiettare durante la quindicesima udienza del processo in Vaticano per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato. La più lunga udienza svolta finora (iniziata alle 9.50 e finita alle 17.45) e forse quella dai toni più accesi tra il Promotore spazientito perché interrotto più volte dagli avvocati, gli stessi legali che si opponevano con veemenza a domande “fuori dai capi di imputazione” e il cardinale Becciu che, sbattendo la mano sul tavolo, ha esclamato: “Ho sempre e solo operato per il bene della Santa Sede!”. Lo stesso presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, a un certo punto ha sospeso l’udienza per qualche minuto così da calmare gli animi.

Documenti video proiettati 

Chat, messaggi, atti, lettere, minute della Segreteria di Stato, articoli di giornali, si sono susseguiti sul muro dell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani, facendo emergere nuovi contorni della vicenda della compravendita del Palazzo di Londra e di altri investimenti, come quello alla Caritas di Ozieri. Seduto al banco degli imputati, il cardinale ha risposto ad ogni domanda.

Il report di Perlasca

A suscitare polemiche è stato, in particolare, l’esibizione di un lungo rapporto di monsignor Alberto Perlasca, allora capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, in cui il prelato nel luglio 2019 (due mesi prima delle perquisizioni e dell’avvio delle indagini) si diceva preoccupato per la vicenda dell’acquisto del palazzo Sloane Avenue e per i rapporti con i finanzieri Gianluigi Torzi e Raffaele Mincione (entrambi imputati). Diddi ha chiesto conto a Becciu di queste informazioni che il cardinale ha detto di non sapere o non sapere contestualizzare. I legali della difesa hanno invece protestato perché il documento sarebbe stato estratto da una chat presente sul Pc di Perlasca mai consegnato agli atti. “È inaudito”, ha esclamato un legale, “si fanno domande usando documenti sottratti alle parti e alla giurisdizione del Tribunale”. Diddi ha però dimostrato che il documento era stato depositato in una cartella titolata Report.

Rigettata parzialmente la costituzione di parte civile 

A proposito di Perlasca, Pignatone a inizio udienza ha letto un’ordinanza di venti pagine in cui ha in parte respinto e in parte accolto le eccezioni presentate nella scorsa udienza contro la costituzione di parte civile del monsignore. La Corte ha accolto la costituzione solo nei confronti di Becciu per reato di subornazione; respinta invece quella contro Torzi, Tirabassi, Crasso e Squillace per reato di truffa, accusati dal prelato di averlo “indotto in errore” nel firmare il provvedimento con cui venivano lasciate le mille azioni con diritto di voto a Torzi per l’immobile di Sloane Avenue (usate dal broker per estorcere denaro alla Segreteria di Stato). Per il Tribunale vaticano, “non si individua il danno”.

Le dimissioni di Milone

Prima dell’interrogatorio, Becciu ha voluto anzitutto chiarire la “questione” di Libero Milone, l’ex revisore dei conti che ha cessato l’incarico in Vaticano nel 2017 (lui dichiarò contro la propria volontà). Interrogato sul “destino di Milone” il 5 maggio, il cardinale non aveva risposto “per amore del Santo Padre”. Oggi ha invece spiegato di essere stato autorizzato nei giorni scorsi dal Papa stesso a parlare; ha quindi negato ogni responsabilità sulle dimissioni di Milone. Fu il Papa, ha detto, che nel giugno 2017 lo incaricò di riferire al revisore che “da oggi non gode più della fiducia del Santo Padre” e che “deve rendere le dimissioni”. “Le ragioni – ha spiegato – sono contenute nel comunicato della Sala Stampa vaticana (24 settembre 2017): risulta che l’Ufficio del revisore, esulando dalle sue competenze, ha incaricato illegalmente una società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede”.

I compiti dell'Ufficio amministrativo 

Dopo la proiezione di una parte della conferenza stampa di Becciu del 25 settembre 2020, nell’Istituto Santa Maria Bambina, il giorno dopo le dimissioni, si è dato il via al lungo botta e risposta, concentrato soprattutto sugli investimenti della Segreteria di Stato. A queste e a tutte le successive domande simili, Becciu ha risposto allo stesso modo, e cioè che era “l’Ufficio di amministrazione ad aver il compito di preparare bene tutto il dossier” prima di procedere ad operazioni finanziarie. “Aveva l’obbligo morale di non creare problemi al superiore, ma anche di fargli fare brutta figura”. Sul Palazzo di Londra - acquistato, a detta del porporato, con i cespiti della Segreteria di Stato e non con l'Obolo di San Pietro - “mi diedero una proposta totalmente vantaggiosa per la Santa Sede. Entrare nei particolari mi viene difficile, anche perché era loro compito”.

Rapporti con la Segreteria di Stato

Becciu ha detto di non ricordare - a causa anche dello “stress” provocato dal processo - tutti i documenti proiettati con la sua firma in calce o pareri scritti a penna: “In Segreteria di Stato c’erano centinaia di fogli”. In più di un’occasione è emerso come, pur avendo cessato l’incarico di sostituto, il porporato si fosse interessato alle questioni del Dicastero, come la perquisizione del 2 ottobre 2019: “Mai visto che la Gendarmeria entrasse nel Palazzo Apostolico, eravamo tutti meravigliati e preoccupati. Volevo sapere cos’era successo”, si è giustificato il cardinale. Diddi gli ha fatto presente che, anche se non più sostituto, ha chiesto a Perlasca di “compiere atti di ufficio”. In una chat si leggeva, ad esempio, che il cardinale aveva domandato al suo ex collaboratore 14.150 euro. Soldi legati, sembra, alle operazioni di liberazione di suor Gloria Navaes Goti, francescana colombiana sequestrata in Mali nel 2017 e liberata l’anno scorso. Sulla vicenda Becciu ha tagliato corto dicendo di aver offerto “chiarimenti esaustivi” e “di non dover ulteriormente dettagliare l’operazione di liberazione” della religiosa. Non si parli, poi, di “pagamento di riscatto".

Cecilia Marogna

Ampio spazio invece nell’interrogatorio sui contatti con la manager sarda Cecilia Marogna, conosciuta nel 2016, di cui sapeva il legame con i Servizi Segreti italiani, che avrebbe contribuito insieme alla società di intelligence britannica Inkermann alla liberazione della suora. Contatti proseguiti anche dopo le prime contestazioni che la manager avesse impiegato le somme ricevute dal Vaticano per acquisti “voluttuari”. “Mi innervosii, la chiamai, negò tutto. Ero persuaso che dicesse la verità. Continuai a sentirla perché mi doveva aggiornare sulle trattative”. Becciu incontrò la manager pure dopo la scarcerazione come "atto sacerdotale": “Era distrutta”. Il cardinale ci ha tenuto a chiarire i dettagli del pernottamento della Marogna nel suo appartamento in Vaticano: “Si fermò a parlare fino a tardi. Le suore mi dissero che non voleva tornare in albergo per paura del Covid. Dormì nel loro alloggio. La ritrovai il giorno dopo a colazione, ci salutammo e io poi andai in Congregazione”.

Proposta d'acquisto

L’ex sostituto ha poi dovuto rispondere di un appunto che riferiva di un incontro a fine maggio 2020 con Giancarlo Innocenzi Botti, ex sottogretario del governo Berlusconi, e l’ex ambasciatore italiano negli Usa, Alessandro Cattaneo, che volevano presentare delle proposte di acquisto del Palazzo di Londra. Il progetto fu presentato da Becciu, fiducioso della fama “di serietà” dei due interlocutori, al Papa, al cardinale Parolin e, in un’occasione, anche al Promotore di giustizia, Gian Piero Milano. La proposta invece rivelava diverse criticità e ad esporle fu soprattutto padre Juan Guerrero Alves, attuale prefetto della Segreteria per l’Economia, che in una mail si mostrò “scettico”. Stando alle ipotesi dell’accusa, sembra che dietro la proposta ci fosse una società gestita da Torzi. Becciu ha assicurato di non sapere e ha detto che quando Parolin gli comunicò che la proposta fu rigettata, non insistette oltre: “Per me era finita là”. Chiese però a Parolin di incontrare “a livello personale” Cattaneo e Innocenzi.

Segreteria per l'Economia, Torzi, campagna stampa

Al cardinale è stato chiesto infine conto dei rapporti con la Segreteria per l’Economia sotto la guida del cardinale George Pell che sembrava voler fare una “invasione di campo” sulle finanze “sovrane” della Segreteria di Stato. Interrogato, Becciu, anche su un ‘suggerimento’ a Torzi, tramite l’amico in comune Marco Simeon, a non presentarsi alla convocazione dei Promotori di Giustizia i primi di giugno 2020. “Simeon mi scrisse che Torzi aveva timore, io l’ho buttata lì così di non andare, non mi sono imposto con autorità. Era pourparler”. Allo stesso modo Becciu ha chiarito il contesto di una frase inviata su WhatsApp a Crasso: “Al momento giusto bisognerà fare una bella campagna stampa! Anzi lei potrebbe farla subito, chieda al suo avvocato se è il caso di sbugiardare i nostri magistrati”. “Lei ha commissionato articoli per fare campagna contro?”, ha domandato il Promotore. Il cardinale ha spiegato che il messaggio nasceva dalla conversazione con “un uomo disperato” e che voleva essere un modo per dirgli “difenditi come puoi”.

L’interrogatorio a Becciu proseguirà domani mattina.

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18 maggio 2022, 20:15