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Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar Ahamad al-Tayyib firmano il documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune (Abu Dhabi, 4 febbraio 2019) Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar Ahamad al-Tayyib firmano il documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune (Abu Dhabi, 4 febbraio 2019)

Ayuso: tutti siamo chiamati ad essere “artigiani di pace”

L’intervento del presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso in occasione del Dies academicus della Facoltà teologica del Triveneto

di Isabella Piro

È il tema della fratellanza in un contesto di guerra come quello attuale, segnato dalla drammatica attualità del conflitto russo-ucraino, a fare da filo conduttore all’intervento del cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso per il Dies academicus della Facoltà teologica del Triveneto. Oggi, il porporato avrebbe dovuto partecipare a Padova all’inaugurazione del nuovo anno dell’istituzione, ma ha dovuto rinunciare per sopraggiunti motivi personali. La sua ampia riflessione sulle religioni a servizio della fraternità universale nel contesto europeo, a partire dall’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti, è stata comunque letta. Erano presenti alla cerimonia, tra gli altri, il Gran cancelliere della Facoltà, il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, e il vescovo di Padova, Claudio Cipolla. Oggi più che mai, è la premessa dell’intervento del porporato, è importante promuovere il dialogo interreligioso, sviluppandolo «lungo le direttrici della fraternità e dell’amicizia sociale», perché solo così «si risponde all’appello di Papa Francesco ad essere tutti “artigiani di pace”».

 

Qual è, dunque, il ruolo delle religioni in questo scenario? In primo luogo, è spiegato nel testo, esse hanno il compito di «conoscersi nel dialogo, di arricchirsi reciprocamente e di ragionare su ciò che unisce, e non su ciò che divide, e sulla collaborazione in vista del bene delle società nelle quali si vive». In sostanza, si tratta di mettere in pratica l’insegnamento del Pontefice a «costruire ponti e non muri», a guardare con misericordia al prossimo, ad avere compassione del povero, a lavorare insieme alla salvaguardia del Creato. In tal modo, si potrà contribuire al bene comune, lottando contro l’ingiustizia, condannando la violenza e costruendo sia una convivenza civile che una società inclusiva. «Il dialogo interreligioso - viene ribadito - è una condizione necessaria per la pace nel mondo».

In tale contesto, si sottolinea che «le religioni hanno il diritto ed il dovere di intervenire nel dialogo sociale e nel dibattito pubblico» e che, per questo motivo, «è necessario affermare che la libertà religiosa è un diritto fondamentale e che tutte le religioni debbono poter esprimere pubblicamente il proprio punto di vista sulle questioni sociali». I valori testimoniati da un credente, infatti - vale a dire la rettitudine, l’amore per il bene comune, l’attenzione al prossimo, la misericordia - sono elementi condivisi da varie religioni. Proprio per questo, «nel mondo di oggi, segnato tragicamente dalla dimenticanza di Dio o dall’abuso che si fa del Suo nome, le persone appartenenti alle diverse religioni sono chiamate, con un impegno solidale, a difendere e promuovere la pace e la giustizia, la dignità umana e la protezione dell’ambiente», mettendo a disposizione di tutti «quei profondi valori e convinzioni comuni che riguardano il carattere sacro ed inviolabile della vita e della persona umana».

Il tutto, però, sarà possibile solo partendo da due principî fondamentali: il primo è il bisogno di una riflessione sulla propria identità, «senza la quale non si ha un dialogo interreligioso autentico». Il secondo punto è rappresentato dalle radici comuni dell’umanità, perché «Dio è il Creatore di tutto e di tutti, perciò noi siamo membri di un’unica famiglia e come tali dobbiamo riconoscerci», in modo da «passare dalla mera tolleranza alla convivenza fraterna».

Guardando, poi, all’Europa, ne è stata ricordata la lunga tradizione fatta di coabitazione fra varie religioni e società multiculturali, connotate da pluralismo religioso. Oggi, il Vecchio continente ha bisogno di «un surplus di dialogo interreligioso e collaborazione fra credenti e persone di buona volontà», perché di fronte a problemi come la questione migratoria, la crisi economica, l’invecchiamento della popolazione e l’emergenza sanitaria provocata dal Covid-19, si possa agire in modo fraterno e unitario. Il frequente innalzamento di muri, così come la nascita di partiti populisti, infatti, «non sono il risultato del disaccordo fra le diverse tradizioni religiose, ma della mancanza di fraternità». Occorre, dunque, «un’Europa unita, pacificata e solidale, che non speculi sui conflitti sociali e sulle divisioni politiche, che non pratichi l’incultura della paura e della xenofobia, ma che costruisca la cultura della fraternità e della solidarietà per un nuovo sviluppo della promozione umana».

Nell’intervento del presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, anche l’omaggio a due personalità scomparse di recente: l’arcivescovo Aldo Giordano, nunzio apostolico presso l’Unione europea, morto di Covid-19 a dicembre 2021, e David Maria Sassoli, presidente del Parlamento europeo, deceduto l’11 gennaio scorso: entrambi ricordati come «persone di fede, fautori del dialogo ecumenico e di quello interreligioso, convinti della necessità di costruire ponti di fraternità». Dal loro esempio, si può comprendere quanto sia importante la testimonianza religiosa «in un contesto secolarizzato» come quello europeo: i credenti, infatti, «sono chiamati a contribuire concretamente al bene comune, a un’autentica solidarietà, al superamento delle crisi, al dialogo interreligioso, e devono partecipare al dialogo pubblico nelle società di cui sono membri».

Quattro le sfide evidenziate in tale ambito: la prima è quella di uscire da sé per andare incontro all’altro, anche a chi è diverso per lingua, cultura, colore, religione. «Non si tratta di imporre ma di proporre, ed è  ciò che si realizza con il dialogo interreligioso e con il dialogo ecumenico. Dimostriamo che è possibile vivere la differenza nella fraternità e si potrà passare, poco a poco, dalla paura dell’altro alla paura per l’altro», garantendo «una pace solida e duratura», è l’auspicio. La seconda sfida è quella di «dare un volto concreto all’accoglienza e alla solidarietà», vivendo nei fatti il servizio ai più indigenti. Un esempio di ciò è stato indicato nei corridoi umanitari, l’esperienza ecumenica avviata dalla Comunità di Sant’Egidio assieme alla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, cui ha recentemente aderito anche l’Unione buddhista italiana.

 

E ancora: la terza sfida è quella di «passare dalla solidarietà alla fratellanza»: la prima, infatti, cerca di rendere uguali, di colmare le disuguaglianze, mentre la seconda «sancisce il diritto di crescere come persone diverse, combinato con il dovere di mettere questa diversità a servizio del bene comune». La quarta sfida riguarda, infine, il dialogo tra le religioni al servizio della pace. «Forse, per la prima volta nella storia — rimarca il cardinale —, le comunità religiose debbono considerare la comune responsabilità della pace tra i popoli. Non nell’uniformità delle fedi. Ma nella loro comune tensione di fraternità».

In questo momento storico le “armi” di cui l’Europa ha bisogno sono «la cultura del dialogo e dell’incontro», così da realizzare “coalizioni” culturali, educative, filosofiche, religiose capaci di «mettere in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici» e in grado di «difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri». E proprio in quest’ottica, viene richiamata la necessità di formulare «una “teologia del dialogo” nella formazione degli operatori pastorali», così da costruire insieme a tutte le istanze della società «una “cultura del dialogo”, nella quale tutte le persone, a qualsiasi religione appartengano, siano considerate soggetto con cui relazionarsi e ascoltarsi reciprocamente», forti nella propria religione, ma anche aperte all’accoglienza dell’altro nella sua «irriducibile diversità». Ciascuno è perciò chiamato a diventare «artigiano della pace», perché «nessuno si salva da solo». E perché, come diceva Vinicius de Moraes, citato da Papa Francesco nella Fratelli tutti, «la vita, amico mio, è l’arte dell’incontro».

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15 marzo 2022, 15:30