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Amoris laetitia: la Chiesa rinnovi la vocazione alla prossimità

Ogni mese, per 10 puntate, un video con le riflessioni del Papa e testimonianze di famiglie di ogni parte del mondo - realizzato in collaborazione tra il Dicastero Laici Famiglia e Vita e Vatican News - aiuta a rileggere l'Esortazione apostolica, con il contributo di un sussidio scaricabile per l'approfondimento personale e comunitario. Perché essere famiglia, ricorda Francesco, è sempre "principalmente un'opportunità"

Amoris laetitia
(n. 199-258)

ALCUNE PROSPETTIVE PASTORALI

199. I dialoghi del cammino sinodale hanno condotto a prospettare la necessità di sviluppare nuove vie pastorali, che cercherò ora di riassumere in modo generale. Saranno le diverse comunità a dover elaborare proposte più pratiche ed efficaci, che tengano conto sia degli insegnamenti della Chiesa sia dei bisogni e delle sfide locali. Senza pretendere di presentare qui una pastorale della famiglia, intendo limitarmi solo a raccogliere alcune delle principali sfide pastorali.

Annunciare il Vangelo della famiglia oggi

200. I Padri sinodali hanno insistito sul fatto che le famiglie cristiane, per la grazia del sacramento nuziale, sono i principali soggetti della pastorale familiare, soprattutto offrendo «la testimonianza gioiosa dei coniugi e delle famiglie, chiese domestiche».[225] Per questo hanno sottolineato che «si tratta di far sperimentare che il Vangelo della famiglia è gioia che “riempie il cuore e la vita intera”, perché in Cristo siamo “liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento” (Evangelii gaudium, 1). Alla luce della parabola del seminatore (cfr Mt 13,3-9), il nostro compito è di cooperare nella semina: il resto è opera di Dio. Non bisogna nemmeno dimenticare che la Chiesa che predica sulla famiglia è segno di contraddizione»,[226] ma gli sposi apprezzano che i Pastori offrano loro motivazioni per una coraggiosa scommessa su un amore forte, solido, duraturo, capace di far fronte a tutto ciò che si presenti sulla loro strada. La Chiesa vuole raggiungere le famiglie con umile comprensione, e il suo desiderio «è di accompagnare ciascuna e tutte le famiglie perché scoprano la via migliore per superare le difficoltà che incontrano sul loro cammino».[227] Non basta inserire una generica preoccupazione per la famiglia nei grandi progetti pastorali. Affinché le famiglie possano essere sempre più soggetti attivi della pastorale familiare, si richiede «uno sforzo evangelizzatore e catechetico indirizzato all’interno della famiglia»,[228] che la orienti in questa direzione.

201. «Per questo si richiede a tutta la Chiesa una conversione missionaria: è necessario non fermarsi ad un annuncio meramente teorico e sganciato dai problemi reali delle persone».[229] La pastorale familiare «deve far sperimentare che il Vangelo della famiglia è risposta alle attese più profonde della persona umana: alla sua dignità e alla realizzazione piena nella reciprocità, nella comunione e nella fecondità. Non si tratta soltanto di presentare una normativa, ma di proporre valori, rispondendo al bisogno di essi che si constata oggi, anche nei paesi più secolarizzati».[230] Inoltre «si è parimenti sottolineata la necessità di una evangelizzazione che denunzi con franchezza i condizionamenti culturali, sociali, politici ed economici, come l’eccessivo spazio dato alla logica del mercato, che impediscono un’autentica vita familiare, determinando discriminazioni, povertà, esclusioni e violenza. Per questo va sviluppato un dialogo e una cooperazione con le strutture sociali, e vanno incoraggiati e sostenuti i laici che si impegnano, come cristiani, in ambito culturale e sociopolitico».[231]

202. «Il principale contributo alla pastorale familiare viene offerto dalla parrocchia, che è una famiglia di famiglie, dove si armonizzano i contributi delle piccole comunità, dei movimenti e delle associazioni ecclesiali».[232] Insieme con una pastorale specificamente orientata alle famiglie, ci si prospetta la necessità di «una formazione più adeguata per i presbiteri, i diaconi, i religiosi e le religiose, per i catechisti e per gli altri agenti di pastorale».[233] Nelle risposte alle consultazioni inviate a tutto il mondo, si è rilevato che ai ministri ordinati manca spesso una formazione adeguata per trattare i complessi problemi attuali delle famiglie. Può essere utile in tal senso anche l’esperienza della lunga tradizione orientale dei sacerdoti sposati.

203. I seminaristi dovrebbero accedere ad una formazione interdisciplinare più ampia sul fidanzamento e il matrimonio, e non solamente alla dottrina. Inoltre, la formazione non sempre permette loro di esprimere il proprio mondo psicoaffettivo. Alcuni portano nella loro vita l’esperienza della propria famiglia ferita, con assenza di genitori e con instabilità emotiva. Occorrerà garantire durante la formazione una maturazione affinché i futuri ministri possiedano l’equilibrio psichico che il loro compito esige. I vincoli familiari sono fondamentali per fortificare la sana autostima dei seminaristi. Perciò è importante che le famiglie accompagnino tutto il processo del seminario e del sacerdozio, poiché aiutano a fortificarlo in modo realistico. In tal senso è salutare la combinazione di tempi di vita in seminario con altri di vita in parrocchia, che permettano di prendere maggior contatto con la realtà concreta delle famiglie. Infatti, lungo tutta la sua vita pastorale il sacerdote si incontra soprattutto con famiglie. «La presenza dei laici e delle famiglie, in particolare la presenza femminile, nella formazione sacerdotale, favorisce l’apprezzamento per la varietà e la complementarietà delle diverse vocazioni nella Chiesa».[234]

204. Le risposte alle consultazioni esprimono anche con insistenza la necessità della formazione di operatori laici di pastorale familiare con l’aiuto di psicopedagogisti, medici di famiglia, medici di comunità, assistenti sociali, avvocati per i minori e le famiglie, con l’apertura a ricevere gli apporti della psicologia, della sociologia, della sessuologia e anche del counseling. I professionisti, specialmente coloro che hanno esperienza di accompagnamento, aiutano a incarnare le proposte pastorali nelle situazioni reali e nelle preoccupazioni concrete delle famiglie. «Itinerari e corsi di formazione destinati specificamente agli operatori pastorali potranno renderli idonei ad inserire lo stesso cammino di preparazione al matrimonio nella più ampia dinamica della vita ecclesiale».[235] Una buona preparazione pastorale è importante «anche in vista delle particolari situazioni di emergenza determinate dai casi di violenza domestica e di abuso sessuale».[236] Tutto ciò in nessun modo sminuisce, bensì integra il valore fondamentale della direzione spirituale, delle inestimabili risorse spirituali della Chiesa e della Riconciliazione sacramentale.

Guidare i fidanzati nel cammino di preparazione al matrimonio

205. I Padri sinodali hanno affermato in diversi modi che bisogna aiutare i giovani a scoprire il valore e la ricchezza del matrimonio.[237] Devono poter cogliere l’attrattiva di un’unione piena che eleva e perfeziona la dimensione sociale dell’esistenza, conferisce alla sessualità il suo senso più grande, e al tempo stesso promuove il bene dei figli e offre loro il miglior contesto per la loro maturazione ed educazione.

206. «La complessa realtà sociale e le sfide che la famiglia oggi è chiamata ad affrontare richiedono un impegno maggiore di tutta la comunità cristiana per la preparazione dei nubendi al matrimonio. È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale. Riguardo a questa necessità i Padri sinodali sono stati concordi nel sottolineare l’esigenza di un maggiore coinvolgimento dell’intera comunità privilegiando la testimonianza delle stesse famiglie, oltre che di un radicamento della preparazione al matrimonio nel cammino di iniziazione cristiana, sottolineando il nesso del matrimonio con il battesimo e gli altri sacramenti. Si è parimenti evidenziata la necessità di programmi specifici per la preparazione prossima al matrimonio che siano vera esperienza di partecipazione alla vita ecclesiale e approfondiscano i diversi aspetti della vita familiare».[238]

207. Invito le comunità cristiane a riconoscere che accompagnare il cammino di amore dei fidanzati è un bene per loro stesse. Come hanno detto bene i Vescovi d’Italia, coloro che si sposano sono per la comunità cristiana «una preziosa risorsa perché, impegnandosi con sincerità a crescere nell’amore e nel dono vicendevole, possono contribuire a rinnovare il tessuto stesso di tutto il corpo ecclesiale: la particolare forma di amicizia che essi vivono può diventare contagiosa, e far crescere nell’amicizia e nella fraternità la comunità cristiana di cui sono parte».[239] Ci sono diversi modi legittimi di organizzare la preparazione prossima al matrimonio, e ogni Chiesa locale discernerà quale sia migliore, provvedendo ad una formazione adeguata che nello stesso tempo non allontani i giovani dal sacramento. Non si tratta di dare loro tutto il Catechismo, né di saturarli con troppi argomenti. Anche in questo caso, infatti, vale che «non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose».[240] Interessa più la qualità che la quantità, e bisogna dare priorità – insieme ad un rinnovato annuncio del kerygma – a quei contenuti che, trasmessi in modo attraente e cordiale, li aiutino a impegnarsi in un percorso di tutta la vita «con animo grande e liberalità».[241]Si tratta di una sorta di “iniziazione” al sacramento del matrimonio che fornisca loro gli elementi necessari per poterlo ricevere con le migliori disposizioni e iniziare con una certa solidità la vita familiare.

208. E’ inoltre opportuno trovare i modi, attraverso le famiglie missionarie, le famiglie stesse dei fidanzati e varie risorse pastorali, per offrire una preparazione remota che faccia maturare il loro amore con un accompagnamento ricco di vicinanza e testimonianza. Sono spesso molto utili i gruppi di fidanzati e le proposte di conferenze facoltative su una varietà di temi che interessano realmente ai giovani. Comunque, sono indispensabili alcuni momenti personalizzati, dato che l’obiettivo principale è aiutare ciascuno perché impari ad amare questa persona concreta, con la quale desidera condividere tutta la vita. Imparare ad amare qualcuno non è qualcosa che si improvvisa, né può essere l’obiettivo di un breve corso previo alla celebrazione del matrimonio. In realtà, ogni persona si prepara per il matrimonio fin dalla nascita. Tutto quanto la sua famiglia gli ha dato dovrebbe permettergli di imparare dalla propria storia e renderlo capace di un impegno pieno e definitivo. Probabilmente quelli che arrivano meglio preparati a sposarsi sono coloro che hanno imparato dai propri genitori che cos’è un matrimonio cristiano, in cui entrambi si sono scelti senza condizioni e continuano a rinnovare quella decisione. In questo senso, tutte le azioni pastorali tendenti ad aiutare i coniugi a crescere nell’amore e a vivere il Vangelo nella famiglia, sono un aiuto inestimabile perché i loro figli si preparino per la loro futura vita matrimoniale. Non bisogna nemmeno dimenticare i validi contributi della pastorale popolare. Per fare un semplice esempio, ricordo il giorno di San Valentino, che in alcuni Paesi è sfruttato meglio dai commercianti che non dalla creatività dei pastori.

209. La preparazione di quanti hanno già formalizzato un fidanzamento, quando la comunità parrocchiale riesce a seguirli con buon anticipo, deve anche dare loro la possibilità di riconoscere incompatibilità e rischi. In questo modo si può arrivare ad accorgersi che non è ragionevole puntare su quella relazione, per non esporsi ad un fallimento prevedibile che avrà conseguenze molto dolorose. Il problema è che l’abbaglio iniziale porta a cercare di nascondere o di relativizzare molte cose, si evitano le divergenze, e così solamente si scacciano in avanti le difficoltà. I fidanzati dovrebbero essere stimolati e aiutati a poter esprimere ciò che ognuno si aspetta da un eventuale matrimonio, il proprio modo di intendere quello che è l’amore e l’impegno, ciò che si desidera dall’altro, il tipo di vita in comune che si vorrebbe progettare. Queste conversazioni possono aiutare a vedere che in realtà i punti di contatto sono scarsi, e che la sola attrazione reciproca non sarà sufficiente a sostenere l’unione. Nulla è più volubile, precario e imprevedibile del desiderio, e non si deve mai incoraggiare una decisione di contrarre matrimonio se non si sono approfondite altre motivazioni che conferiscano a quel patto possibilità reali di stabilità.

210. In ogni caso, se si riconoscono con chiarezza i punti deboli dell’altro, occorre avere una fiducia realistica nella possibilità di aiutarlo a sviluppare il meglio della sua persona per controbilanciare il peso delle sue fragilità, con un deciso interesse a promuoverlo come essere umano. Questo implica accettare con ferma volontà la possibilità di affrontare alcune rinunce, momenti difficili e situazioni conflittuali, e la salda decisione di prepararsi a questo. Si devono poter individuare i segnali di pericolo che potrà avere la relazione, per trovare prima di sposarsi i mezzi che permettano di affrontarli con successo. Purtroppo molti arrivano alle nozze senza conoscersi. Si sono solo divertiti insieme, hanno fatto esperienze insieme, ma non hanno affrontato la sfida di mostrare sé stessi e di imparare chi è realmente l’altro.

211. Tanto la preparazione prossima quanto l’accompagnamento più prolungato devono fare in modo che i fidanzati non vedano lo sposarsi come il termine del cammino, ma che assumano il matrimonio come una vocazione che li lancia in avanti, con la ferma e realistica decisione di attraversare insieme tutte le prove e i momenti difficili. La pastorale prematrimoniale e la pastorale matrimoniale devono essere prima di tutto una pastorale del vincolo, dove si apportino elementi che aiutino sia a maturare l’amore sia a superare i momenti duri. Questi apporti non sono unicamente convinzioni dottrinali, e nemmeno possono ridursi alle preziose risorse spirituali che sempre offre la Chiesa, ma devono essere anche percorsi pratici, consigli ben incarnati, strategie prese dall’esperienza, orientamenti psicologici. Tutto ciò configura una pedagogia dell’amore che non può ignorare la sensibilità attuale dei giovani, per poterli mobilitare interiormente. Al tempo stesso, nella preparazione dei fidanzati, si deve poter indicare loro luoghi e persone, consultori o famiglie disponibili, a cui potranno rivolgersi per cercare aiuto quando si presentassero delle difficoltà. Ma non bisogna mai dimenticare di proporre loro la Riconciliazione sacramentale, che permette di porre i peccati e gli errori della vita passata, e della stessa relazione, sotto l’influsso del perdono misericordioso di Dio e della sua forza risanatrice.

La preparazione della celebrazione

212. La preparazione prossima al matrimonio tende a concentrarsi sugli inviti, i vestiti, la festa e gli innumerevoli dettagli che consumano tanto le risorse economiche quanto le energie e la gioia. I fidanzati arrivano sfiancati e sfiniti al matrimonio, invece di dedicare le migliori energie a prepararsi come coppia per il gran passo che faranno insieme. Questa mentalità si riscontra anche in alcune unioni di fatto, che non arrivano mai al matrimonio perché pensano a festeggiamenti troppo costosi, invece di dare priorità all’amore reciproco e alla sua formalizzazione davanti agli altri. Cari fidanzati, abbiate il coraggio di essere differenti, non lasciatevi divorare dalla società del consumo e dell’apparenza. Quello che importa è l’amore che vi unisce, fortificato e santificato dalla grazia. Voi siete capaci di scegliere un festeggiamento sobrio e semplice, per mettere l’amore al di sopra di tutto. Gli operatori pastorali e tutta la comunità possono aiutare a far sì che questa priorità diventi la normalità e non l’eccezione.

213. Nella preparazione più immediata è importante illuminare gli sposi perché vivano con grande profondità la celebrazione liturgica, aiutandoli a comprendere e a vivere il senso di ciascun gesto. Ricordiamo che un impegno così grande come quello che esprime il consenso matrimoniale, e l’unione dei corpi che consuma il matrimonio, quando si tratta di due battezzati, si possono interpretare solo come segni dell’amore del Figlio di Dio fatto carne e unito con la sua Chiesa in alleanza d’amore. Nei battezzati, le parole e i gesti si trasformano in un linguaggio che manifesta la fede. Il corpo, con i significati che Dio ha voluto infondere in esso creandolo, «si trasforma nel linguaggio dei ministri del sacramento, coscienti che nel patto coniugale si manifesta e si realizza il mistero».[242]

214. A volte i fidanzati non percepiscono il peso teologico e spirituale del consenso, che illumina il significato di tutti i gesti successivi. E’ necessario evidenziare che quelle parole non possono essere ridotte al presente; esse implicano una totalità che include il futuro: «finché la morte non vi separi». Il significato del consenso mostra che «libertà e fedeltà non si oppongono, anzi piuttosto si sostengono mutuamente, tanto nelle relazioni interpersonali, come in quelle sociali. Effettivamente, pensiamo ai danni che producono, nella civiltà della comunicazione globale, l’inflazione di promesse incompiute […]. Onorare la parola data, la fedeltà alla promessa, non si possono comprare né vendere. Non si possono imporre con la forza, ma nemmeno custodire senza sacrificio».[243]

215. I Vescovi del Kenya hanno osservato che «troppo concentrati sul giorno delle nozze, i futuri sposi si dimenticano che stanno preparandosi per un impegno che dura tutta la vita».[244] Bisogna aiutare a comprendere che il sacramento non è solo un momento che poi entra a far parte del passato e dei ricordi, perché esercita la sua influenza su tutta la vita matrimoniale, in modo permanente.[245] Il significato procreativo della sessualità, il linguaggio del corpo e i gesti d’amore vissuti nella storia di una coppia di coniugi, diventano una «ininterrotta continuità del linguaggio liturgico», e «la vita coniugale diventa, in un certo senso, liturgia».[246]

216. Si può anche meditare con le letture bibliche, e arricchire la comprensione del significato degli anelli che ci si dona a vicenda, o di altri segni che fanno parte del rito. Ma non sarebbe bene che arrivino al matrimonio senza aver pregato insieme, l’uno per l’altro, chiedendo aiuto a Dio per essere fedeli e generosi, domandando insieme a Dio che cosa Lui si aspetta da loro, e anche consacrando il loro amore davanti a un’immagine di Maria. Coloro che li accompagnano nella preparazione al matrimonio dovrebbero orientarli in modo che sappiano vivere questi momenti di preghiera che possono fare loro molto bene. «La liturgia nuziale è un evento unico, che si vive nel contesto familiare e sociale di una festa. Il primo dei segni di Gesù avvenne al banchetto delle nozze di Cana: il vino buono del miracolo del Signore, che allieta la nascita di una nuova famiglia, è il vino nuovo dell’Alleanza di Cristo con gli uomini e le donne di ogni tempo. […] Frequentemente, il celebrante ha l’opportunità di rivolgersi ad un’assemblea composta da persone che partecipano poco alla vita ecclesiale o appartengono ad altra confessione cristiana o comunità religiosa. Si tratta di una preziosa occasione di annuncio del Vangelo di Cristo».[247]

Accompagnare nei primi anni della vita matrimoniale

217. Dobbiamo riconoscere come un gran valore che si comprenda che il matrimonio è una questione di amore, che si possono sposare solo coloro che si scelgono liberamente e si amano. Ciò nonostante, quando l’amore diventa una mera attrazione o una vaga affettività, questo fa sì che i coniugi soffrano una straordinaria fragilità quando l’affettività entra in crisi o quando l’attrazione fisica viene meno. Dato che queste confusioni sono frequenti, si rende indispensabile accompagnare gli sposi nei primi anni di vita matrimoniale per arricchire e approfondire la decisione consapevole e libera di appartenersi e di amarsi sino alla fine. Molte volte il tempo del fidanzamento non è sufficiente, la decisione di sposarsi si affretta per diverse ragioni, mentre, come se non bastasse, la maturazione dei giovani si è ritardata. Dunque, gli sposi novelli si trovano a dover completare quel percorso che si sarebbe dovuto realizzare durante il fidanzamento.

218. D’altro canto, desidero insistere sul fatto che una sfida della pastorale familiare è aiutare a scoprire che il matrimonio non può intendersi come qualcosa di concluso. L’unione è reale, è irrevocabile, ed è stata confermata e consacrata dal sacramento del matrimonio. Ma nell’unirsi, gli sposi diventano protagonisti, padroni della propria storia e creatori di un progetto che occorre portare avanti insieme. Lo sguardo si rivolge al futuro che bisogna costruire giorno per giorno con la grazia di Dio, e proprio per questo non si pretende dal coniuge che sia perfetto. Bisogna mettere da parte le illusioni e accettarlo così com’è: incompiuto, chiamato a crescere, in cammino. Quando lo sguardo verso il coniuge è costantemente critico, questo indica che non si è assunto il matrimonio anche come un progetto da edificare insieme, con pazienza, comprensione, tolleranza e generosità. Questo fa sì che l’amore venga sostituito a poco a poco da uno sguardo inquisitore e implacabile, dal controllo dei meriti e dei diritti di ciascuno, dalle proteste, dalla competizione e dall’autodifesa. Così diventano incapaci di sostenersi l’un l’altro per la maturazione di entrambi e per la crescita dell’unione. Ai nuovi coniugi è necessario presentare questo con chiarezza realistica fin dall’inizio, in modo che prendano coscienza del fatto che stanno incominciando. Il “sì” che si sono scambiati è l’inizio di un itinerario, con un obiettivo capace di superare ciò che potrebbero imporre le circostanze o gli ostacoli che si frapponessero. La benedizione ricevuta è una grazia e una spinta per questo cammino sempre aperto. Spesso aiuta che si mettano seduti a dialogare per elaborare il loro progetto concreto nei suoi obiettivi, nei suoi strumenti, nei suoi dettagli.

219. Ricordo un ritornello che diceva che l’acqua stagnante si corrompe, si guasta. È quanto accade quando la vita dell’amore nei primi anni del matrimonio ristagna, smette di essere in movimento, cessa di avere quella sana inquietudine che la spinge in avanti. La danza proiettata in avanti con quell’amore giovane, la danza con quegli occhi meravigliati pieni di speranza non deve fermarsi. Nel fidanzamento e nei primi anni di matrimonio la speranza è quella che ha in sé la forza del lievito, quella che fa guardare oltre le contraddizioni, i conflitti, le contingenze, quella che fa sempre vedere oltre. E’ quella che mette in moto ogni aspettativa per mantenersi in un cammino di crescita. La stessa speranza ci invita a vivere in pieno il presente, mettendo il cuore nella vita familiare, perché il modo migliore di preparare e consolidare il futuro è vivere bene il presente.

220. Il cammino implica passare attraverso diverse tappe che chiamano a donarsi con generosità: dall’impatto iniziale caratterizzato da un’attrazione marcatamente sensibile, si passa al bisogno dell’altro sentito come parte della propria vita. Da lì si passa al gusto della reciproca appartenenza, poi alla comprensione della vita intera come progetto di entrambi, alla capacità di porre la felicità dell’altro al di sopra delle proprie necessità, e alla gioia di vedere il proprio matrimonio come un bene per la società. La maturazione dell’amore implica anche imparare a “negoziare”. Non è un atteggiamento interessato o un gioco di tipo commerciale, ma in definitiva un esercizio dell’amore vicendevole, perché questa negoziazione è un intreccio di reciproche offerte e rinunce per il bene della famiglia. In ogni nuova tappa della vita matrimoniale, occorre sedersi e negoziare nuovamente gli accordi, in modo che non ci siano vincitori e vinti, ma che vincano entrambi. In casa le decisioni non si prendono unilateralmente, e i due condividono la responsabilità per la famiglia, ma ogni casa è unica e ogni sintesi matrimoniale è differente.

221. Una delle cause che portano alla rottura dei matrimoni è avere aspettative troppo alte riguardo alla vita coniugale. Quando si scopre la realtà, più limitata e problematica di quella che si aveva sognato, la soluzione non è pensare rapidamente e irresponsabilmente alla separazione, ma assumere il matrimonio come un cammino di maturazione, in cui ognuno dei coniugi è uno strumento di Dio per far crescere l’altro. È possibile il cambiamento, la crescita, lo sviluppo delle buone potenzialità che ognuno porta in sé. Ogni matrimonio è una “storia di salvezza”, e questo suppone che si parta da una fragilità che, grazie al dono di Dio e a una risposta creativa e generosa, via via lascia spazio a una realtà sempre più solida e preziosa. La missione forse più grande di un uomo e una donna nell’amore è questa: rendersi a vicenda più uomo e più donna. Far crescere è aiutare l’altro a modellarsi nella sua propria identità. Per questo l’amore è artigianale. Quando si legge il passo della Bibbia sulla creazione dell’uomo e della donna, si osserva prima Dio che plasma l’uomo (cfr Gen 2,7), poi si accorge che manca qualcosa di essenziale e plasma la donna, e allora vede la sorpresa dell’uomo: “Ah, ora sì, questa sì!”. E poi sembra di udire quello stupendo dialogo in cui l’uomo e la donna incominciano a scoprirsi a vicenda. In effetti, anche nei momenti difficili l’altro torna a sorprendere e si aprono nuove porte per ritrovarsi, come se fosse la prima volta; e in ogni nuova tappa ritornano a “plasmarsi” l’un l’altro. L’amore fa sì che uno aspetti l’altro ed eserciti la pazienza propria dell’artigiano che è stata ereditata da Dio.

222. L’accompagnamento deve incoraggiare gli sposi ad essere generosi nella comunicazione della vita. «Conformemente al carattere personale e umanamente completo dell’amore coniugale, la giusta strada per la pianificazione familiare è quella di un dialogo consensuale tra gli sposi, del rispetto dei tempi e della considerazione della dignità del partner. In questo senso l’Enciclica Humanae vitae (cfr 10-14) e l’Esortazione apostolica Familiaris consortio (cfr 14; 28-35) devono essere riscoperte al fine di ridestare la disponibilità a procreare in contrasto con una mentalità spesso ostile alla vita […]. La scelta responsabile della genitorialità presuppone la formazione della coscienza, che è “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità” (Gaudium et spes, 16). Quanto più gli sposi cercano di ascoltare nella loro coscienza Dio e i suoi comandamenti (cfr Rm 2,15), e si fanno accompagnare spiritualmente, tanto più la loro decisione sarà intimamente libera da un arbitrio soggettivo e dall’adeguamento ai modi di comportarsi del loro ambiente».[248] Rimane valido quanto affermato con chiarezza nel Concilio Vaticano II: «I coniugi [...], di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi».[249] D’altra parte, «il ricorso ai metodi fondati sui “ritmi naturali di fecondità” (Humanae vitae, 11) andrà incoraggiato. Si metterà in luce che “questi metodi rispettano il corpo degli sposi, incoraggiano la tenerezza fra di loro e favoriscono l’educazione di una libertà autentica” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2370). Va evidenziato sempre che i figli sono un meraviglioso dono di Dio, una gioia per i genitori e per la Chiesa. Attraverso di essi il Signore rinnova il mondo».[250]

Alcune risorse

223. I Padri sinodali hanno indicato che «i primi anni di matrimonio sono un periodo vitale e delicato durante il quale le coppie crescono nella consapevolezza delle sfide e del significato del matrimonio. Di qui l’esigenza di un accompagnamento pastorale che continui dopo la celebrazione del sacramento (cfr Familiaris consortio, parte III). Risulta di grande importanza in questa pastorale la presenza di coppie di sposi con esperienza. La parrocchia è considerata come il luogo dove coppie esperte possono essere messe a disposizione di quelle più giovani, con l’eventuale concorso di associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Occorre incoraggiare gli sposi a un atteggiamento fondamentale di accoglienza del grande dono dei figli. Va sottolineata l’importanza della spiritualità familiare, della preghiera e della partecipazione all’Eucaristia domenicale, incoraggiando le coppie a riunirsi regolarmente per promuovere la crescita della vita spirituale e la solidarietà nelle esigenze concrete della vita. Liturgie, pratiche devozionali ed Eucaristie celebrate per le famiglie, soprattutto nell’anniversario del matrimonio, sono state menzionate come vitali per favorire l’evangelizzazione attraverso la famiglia».[251]

224. Questo cammino è una questione di tempo. L’amore ha bisogno di tempo disponibile e gratuito, che metta altre cose in secondo piano. Ci vuole tempo per dialogare, per abbracciarsi senza fretta, per condividere progetti, per ascoltarsi, per guardarsi, per apprezzarsi, per rafforzare la relazione. A volte il problema è il ritmo frenetico della società, o i tempi imposti dagli impegni lavorativi. Altre volte il problema è che il tempo che si passa insieme non ha qualità. Condividiamo solamente uno spazio fisico, ma senza prestare attenzione l’uno all’altro. Gli operatori pastorali e i gruppi di famiglie dovrebbero aiutare le coppie di sposi giovani o fragili a imparare ad incontrarsi in quei momenti, a fermarsi l’uno di fronte all’altro, e anche a condividere momenti di silenzio che li obblighino a sperimentare la presenza del coniuge.

225. Gli sposi che hanno una buona esperienza di “apprendistato” in questo senso possono offrire gli strumenti pratici che sono stati utili per loro: la programmazione dei momenti per stare insieme gratuitamente, i tempi di ricreazione con i figli, i vari modi di celebrare cose importanti, gli spazi di spiritualità condivisa. Ma possono anche insegnare accorgimenti che aiutano a riempire di contenuto e di significato questi momenti, per imparare a comunicare meglio. Questo è di somma importanza quando si è spenta la novità del fidanzamento. Perché quando non si sa che fare col tempo condiviso, uno o l’altro dei coniugi finirà col rifugiarsi nella tecnologia, inventerà altri impegni, cercherà altre braccia o scapperà da un’intimità scomoda.

226. I giovani sposi vanno anche stimolati a crearsi delle proprie abitudini, che offrono una sana sensazione di stabilità e di protezione, e che si costruiscono con una serie di rituali quotidiani condivisi. È buona cosa darsi sempre un bacio al mattino, benedirsi tutte le sere, aspettare l’altro e accoglierlo quando arriva, uscire qualche volta insieme, condividere le faccende domestiche. Ma nello stesso tempo, è bene interrompere le abitudini con la festa, non perdere la capacità di celebrare in famiglia, di gioire e di festeggiare le belle esperienze. Hanno bisogno di sorprendersi insieme per i doni di Dio e alimentare insieme l’entusiasmo per la vita. Quando si sa celebrare, questa capacità rinnova l’energia dell’amore, lo libera dalla monotonia e riempie di colore e di speranza le abitudini quotidiane.

227. Noi Pastori dobbiamo incoraggiare le famiglie a crescere nella fede. Per questo è bene esortare alla Confessione frequente, alla direzione spirituale, alla partecipazione ai ritiri. Ma non bisogna dimenticare di invitare a creare spazi settimanali di preghiera familiare, perché “la famiglia che prega unita resta unita”. Come pure, quando visitiamo le case, dovremmo invitare tutti i membri della famiglia a un momento per pregare gli uni per gli altri e per affidare la famiglia alle mani del Signore. Allo stesso tempo, è opportuno incoraggiare ciascuno dei coniugi a prendersi dei momenti di preghiera in solitudine davanti a Dio, perché ognuno ha le sue croci segrete. Perché non raccontare a Dio ciò che turba il cuore, o chiedergli la forza per sanare le proprie ferite e implorare la luce di cui si ha bisogno per sostenere il proprio impegno? I Padri sinodali hanno anche evidenziato che «la Parola di Dio è fonte di vita e spiritualità per la famiglia. Tutta la pastorale familiare dovrà lasciarsi modellare interiormente e formare i membri della Chiesa domestica mediante la lettura orante e ecclesiale della Sacra Scrittura. La Parola di Dio non solo è una buona novella per la vita privata delle persone, ma anche un criterio di giudizio e una luce per il discernimento delle diverse sfide con cui si confrontano i coniugi e le famiglie».[252]

228. È possibile che uno dei coniugi non sia battezzato, o che non voglia vivere gli impegni della fede. In tal caso, il desiderio dell’altro di vivere e crescere come cristiano fa sì che l’indifferenza del coniuge sia vissuta con dolore. Ciò nonostante, è possibile trovare alcuni valori comuni da poter condividere e coltivare con entusiasmo. In ogni modo, amare il coniuge non credente, dargli felicità, alleviare le sue sofferenze e condividere la vita con lui è un vero cammino di santificazione. D’altra parte, l’amore è un dono di Dio, e lì dove si diffonde fa sentire la sua forza trasformatrice, in modi a volte misteriosi, fino al punto che «il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente» (1 Cor 7,14).

229. Le parrocchie, i movimenti, le scuole e altre istituzioni della Chiesa possono svolgere diverse mediazioni per curare e ravvivare le famiglie. Per esempio, tramite strumenti come: riunioni di coppie vicine o amiche, ritiri brevi per sposi, conferenze di specialisti su problematiche molto concrete della vita familiare, centri di consulenza matrimoniale, operatori missionari preparati per parlare con gli sposi sulle loro difficoltà e aspirazioni, consulenze su diverse situazioni familiari (dipendenze, infedeltà, violenza familiare), spazi di spiritualità, laboratori di formazione per genitori con figli problematici, assemblee familiari. La segreteria parrocchiale dovrebbe essere in grado di accogliere con cordialità e di occuparsi delle urgenze familiari, o di indirizzare facilmente verso chi possa dare aiuto. C’è anche un sostegno pastorale che si dà nei gruppi di sposi, tanto di servizio che di missione, di preghiera, di formazione o di mutuo aiuto. Questi gruppi offrono l’opportunità di dare, di vivere l’apertura della famiglia agli altri, di condividere la fede, ma al tempo stesso sono un mezzo per rafforzare i coniugi e farli crescere.

230. È vero che molte coppie di sposi spariscono dalla comunità cristiana dopo il matrimonio, ma tante volte sprechiamo alcune occasioni in cui tornano a farsi presenti, dove potremmo riproporre loro in modo attraente l’ideale del matrimonio cristiano e avvicinarli a spazi di accompagnamento: mi riferisco, per esempio, al Battesimo di un figlio, alla prima Comunione, o quando partecipano ad un funerale o al matrimonio di un parente o di un amico. Quasi tutti i coniugi riappaiono in queste occasioni, che potrebbero essere meglio valorizzate. Un’altra via di avvicinamento è la benedizione delle case, o la visita di un’immagine della Vergine, che offrono l’occasione di sviluppare un dialogo pastorale sulla situazione della famiglia. Può anche essere utile affidare a coppie più adulte il compito di seguire coppie più recenti del proprio vicinato, per incontrarle, seguirle nei loro inizi e proporre loro un percorso di crescita. Con il ritmo della vita attuale, la maggior parte degli sposi non saranno disposti a riunioni frequenti, e non possiamo ridurci a una pastorale di piccole élites. Oggi la pastorale familiare dev’essere essenzialmente missionaria, in uscita, in prossimità, piuttosto che ridursi ad essere una fabbrica di corsi ai quali pochi assistono.

Rischiarare crisi, angosce e difficoltà

231. Una parola vada a coloro che nell’amore hanno già invecchiato il vino nuovo del fidanzamento. Quando il vino si invecchia con questa esperienza del cammino, lì appare, fiorisce in tutta la sua pienezza, la fedeltà dei piccoli momenti della vita. È la fedeltà dell’attesa e della pazienza. Questa fedeltà piena di sacrifici e di gioie va come fiorendo nell’età in cui tutto diventa “stagionato” e gli occhi diventano scintillanti in contemplazione dei figli dei propri figli. Così era fin dal principio, ma ormai si è fatto consapevole, sedimentato, maturato nella sorpresa quotidiana della riscoperta giorno dopo giorno, anno dopo anno. Come insegnava san Giovanni della Croce, «gli amanti vecchi [sono] quelli già esercitati e provati». Essi sono privi «dei fervori sensibili, delle ebollizioni e dei fuochi esterni di fervore. Essi gustano ormai la soavità del vino di amore nella sostanza, già fermentato e posato dentro l’anima».[253] Questo suppone l’essere stati capaci di superare uniti le crisi e i tempi di angoscia, senza sfuggire dalle sfide e senza nascondere le difficoltà.

La sfida delle crisi

232. La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza. Bisogna aiutare a scoprire che una crisi superata non porta ad una relazione meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell’unione. Non si vive insieme per essere sempre meno felici, ma per imparare ad essere felici in modo nuovo, a partire dalle possibilità aperte da una nuova tappa. Ogni crisi implica un apprendistato che permette di incrementare l’intensità della vita condivisa, o almeno di trovare un nuovo senso all’esperienza matrimoniale. In nessun modo bisogna rassegnarsi a una curva discendente, a un deterioramento inevitabile, a una mediocrità da sopportare. Al contrario, quando il matrimonio si assume come un compito, che implica anche superare ostacoli, ogni crisi si percepisce come l’occasione per arrivare a bere insieme il vino migliore. È bene accompagnare i coniugi perché siano in grado di accettare le crisi che possono arrivare, raccogliere il guanto e assegnare ad esse un posto nella vita familiare. I coniugi esperti e formati devono essere disposti ad accompagnare altri in questa scoperta, in modo che le crisi non li spaventino né li portino a prendere decisioni affrettate. Ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore.

233. La reazione immediata è fare resistenza davanti alla sfida di una crisi, mettersi sulla difensiva sentendo che sfugge al proprio controllo, perché mostra l’insufficienza del proprio modo di vivere, e questo dà fastidio. Allora si usa il metodo di negare i problemi, nasconderli, relativizzare la loro importanza, puntare solo sul passare del tempo. Ma ciò ritarda la soluzione e porta a consumare molta energia in un occultamento inutile che complicherà ancora di più le cose. I vincoli si vanno deteriorando e si va consolidando un isolamento che danneggia l’intimità. In una crisi non affrontata, quello che più si compromette è la comunicazione. In tal modo, a poco a poco, quella che era “la persona che amo” passa ad essere “chi mi accompagna sempre nella vita”, poi solo “il padre o la madre dei miei figli”, e alla fine un estraneo.

234. Per affrontare una crisi bisogna essere presenti. È difficile, perché a volte le persone si isolano per non mostrare quello che sentono, si fanno da parte in un silenzio meschino e ingannatore. In questi momenti occorre creare spazi per comunicare da cuore a cuore. Il problema è che diventa più difficile comunicare così in un momento di crisi se non si è mai imparato a farlo. È una vera arte che si impara in tempi di calma, per metterla in pratica nei tempi duri. Bisogna aiutare a scoprire le cause più nascoste nei cuori dei coniugi, e ad affrontarle come un parto che passerà e lascerà un nuovo tesoro. Ma le risposte alle consultazioni realizzate rilevano che in situazioni difficili o critiche la maggioranza non ricorre all’accompagnamento pastorale, perché non lo sente comprensivo, vicino, realistico, incarnato. Per questo, cerchiamo ora di accostarci alle crisi matrimoniali con uno sguardo che non ignori il loro carico di dolore e di angoscia.

235. Ci sono crisi comuni che accadono solitamente in tutti i matrimoni, come la crisi degli inizi, quando bisogna imparare a rendere compatibili le differenze e a distaccarsi dai genitori; o la crisi dell’arrivo del figlio, con le sue nuove sfide emotive; la crisi di allevare un bambino, che cambia le abitudini dei genitori; la crisi dell’adolescenza del figlio, che esige molte energie, destabilizza i genitori e a volte li oppone tra loro; la crisi del “nido vuoto”, che obbliga la coppia a guardare nuovamente a sé stessa; la crisi causata dalla vecchiaia dei genitori dei coniugi, che richiedono più presenza, più attenzioni e decisioni difficili. Sono situazioni esigenti, che provocano paure, sensi di colpa, depressioni o stanchezze che possono intaccare gravemente l’unione.

236. A queste si sommano le crisi personali che incidono sulla coppia, legate alle difficoltà economiche, di lavoro, affettive, sociali, spirituali. E si aggiungono circostanze inaspettate che possono alterare la vita familiare e che esigono un cammino di perdono e riconciliazione. Nel momento stesso in cui cerca di fare il passo del perdono, ciascuno deve domandarsi con serena umiltà se non ha creato le condizioni per esporre l’altro a commettere certi errori. Alcune famiglie soccombono quando i coniugi si accusano a vicenda, ma «l’esperienza mostra che con un aiuto adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia una grande percentuale di crisi matrimoniali si supera in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare».[254] «La faticosa arte della riconciliazione, che necessita del sostegno della grazia, ha bisogno della generosa collaborazione di parenti ed amici, e talvolta anche di un aiuto esterno e professionale».[255]

237. È diventato frequente che, quando uno sente di non ricevere quello che desidera, o che non si realizza quello che sognava, ciò sembra essere sufficiente per mettere fine a un matrimonio. Così non ci sarà matrimonio che duri. A volte, per decidere che tutto è finito basta una delusione, un’assenza in un momento in cui si aveva bisogno dell’altro, un orgoglio ferito o un timore indefinito. Ci sono situazioni proprie dell’inevitabile fragilità umana, alle quali si attribuisce un peso emotivo troppo grande. Per esempio, la sensazione di non essere completamente corrisposto, le gelosie, le differenze che possono emergere tra i due, l’attrazione suscitata da altre persone, i nuovi interessi che tendono a impossessarsi del cuore, i cambiamenti fisici del coniuge, e tante altre cose che, più che attentati contro l’amore, sono opportunità che invitano a ricrearlo una volta di più.

238. In queste circostanze, alcuni hanno la maturità necessaria per scegliere nuovamente l’altro come compagno di strada, al di là dei limiti della relazione, e accettano con realismo che non possa soddisfare tutti i sogni accarezzati. Evitano di considerarsi gli unici martiri, apprezzano le piccole e limitate possibilità che offre loro la vita in famiglia e puntano a rafforzare il vincolo in una costruzione che richiederà tempo e sforzo. Perché in fondo riconoscono che ogni crisi è come un nuovo “sì” che rende possibile che l’amore rinasca rafforzato, trasfigurato, maturato, illuminato. A partire da una crisi si ha il coraggio di ricercare le radici profonde di quello che sta succedendo, di negoziare di nuovo gli accordi fondamentali, di trovare un nuovo equilibrio e di percorrere insieme una nuova tappa. Con questo atteggiamento di costante apertura si possono affrontare tante situazioni difficili! In ogni caso, riconoscendo che la riconciliazione è possibile, oggi scopriamo che «un ministero dedicato a coloro la cui relazione matrimoniale si è infranta appare particolarmente urgente».[256]

Vecchie ferite

239. È comprensibile che nelle famiglie ci siano molte difficoltà quando qualcuno dei suoi membri non ha maturato il suo modo di relazionarsi, perché non ha guarito ferite di qualche fase della sua vita. La propria infanzia e la propria adolescenza vissute male sono terreno fertile per crisi personali che finiscono per danneggiare il matrimonio. Se tutti fossero persone maturate normalmente, le crisi sarebbero meno frequenti e meno dolorose. Ma il fatto è che a volte le persone hanno bisogno di realizzare a quarant’anni una maturazione arretrata che avrebbero dovuto raggiungere alla fine dell’adolescenza. A volte si ama con un amore egocentrico proprio del bambino, fissato in una fase in cui la realtà si distorce e si vive il capriccio che tutto debba girare intorno al proprio io. È un amore insaziabile, che grida e piange quando non ottiene quello che desidera. Altre volte si ama con un amore fissato ad una fase adolescenziale, segnato dal contrasto, dalla critica acida, dall’abitudine di incolpare gli altri, dalla logica del sentimento e della fantasia, dove gli altri devono riempire i nostri vuoti o sostenere i nostri capricci.

240. Molti terminano la propria infanzia senza aver mai sperimentato di essere amati incondizionatamente, e questo ferisce la loro capacità di aver fiducia e di donarsi. Una relazione mal vissuta con i propri genitori e fratelli, che non è mai stata sanata, riappare, e danneggia la vita coniugale. Dunque bisogna fare un percorso di liberazione che non si è mai affrontato. Quando la relazione tra i coniugi non funziona bene, prima di prendere decisioni importanti, conviene assicurarsi che ognuno abbia fatto questo cammino di cura della propria storia. Ciò esige di riconoscere la necessità di guarire, di chiedere con insistenza la grazia di perdonare e di perdonarsi, di accettare aiuto, di cercare motivazioni positive e di ritornare a provare sempre di nuovo. Ciascuno dev’essere molto sincero con sé stesso per riconoscere che il suo modo di vivere l’amore ha queste immaturità. Per quanto possa sembrare evidente che tutta la colpa sia dell’altro, non è mai possibile superare una crisi aspettando che solo l’altro cambi. Occorre anche interrogarsi sulle cose che uno potrebbe personalmente maturare o sanare per favorire il superamento del conflitto.

Accompagnare dopo le rotture e i divorzi

241. In alcuni casi, la considerazione della propria dignità e del bene dei figli impone di porre un limite fermo alle pretese eccessive dell’altro, a una grande ingiustizia, alla violenza o a una mancanza di rispetto diventata cronica. Bisogna riconoscere che «ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza».[257] Comunque «deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano».[258]

242. I Padri hanno indicato che «un particolare discernimento è indispensabile per accompagnare pastoralmente i separati, i divorziati, gli abbandonati. Va accolta e valorizzata soprattutto la sofferenza di coloro che hanno subito ingiustamente la separazione, il divorzio o l’abbandono, oppure sono stati costretti dai maltrattamenti del coniuge a rompere la convivenza. Il perdono per l’ingiustizia subita non è facile, ma è un cammino che la grazia rende possibile. Di qui la necessità di una pastorale della riconciliazione e della mediazione attraverso anche centri di ascolto specializzati da stabilire nelle diocesi».[259] Nello stesso tempo, «le persone divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato. La comunità locale e i Pastori devono accompagnare queste persone con sollecitudine, soprattutto quando vi sono figli o è grave la loro situazione di povertà».[260] Un fallimento matrimoniale diventa molto più traumatico e doloroso quando c’è povertà, perché si hanno molte meno risorse per riorientare l’esistenza. Una persona povera che perde l’ambiente protettivo della famiglia resta doppiamente esposta all’abbandono e a ogni tipo di rischi per la sua integrità.

243. Ai divorziati che vivono una nuova unione, è importante far sentire che sono parte della Chiesa, che “non sono scomunicati” e non sono trattati come tali, perché formano sempre la comunione ecclesiale.[261] Queste situazioni «esigono un attento discernimento e un accompagnamento di grande rispetto, evitando ogni linguaggio e atteggiamento che li faccia sentire discriminati e promovendo la loro partecipazione alla vita della comunità. Prendersi cura di loro non è per la comunità cristiana un indebolimento della sua fede e della sua testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale, anzi essa esprime proprio in questa cura la sua carità».[262]

244. D’altra parte, un gran numero di Padri «ha sottolineato la necessità di rendere più accessibili ed agili, possibilmente del tutto gratuite, le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità».[263] La lentezza dei processi crea disagio e stanca le persone. I miei due recenti Documenti su tale materia[264] hanno portato ad una semplificazione delle procedure per una eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Attraverso di essi ho anche voluto «rendere evidente che lo stesso Vescovo nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati».[265] Perciò, «l’attuazione di questi documenti costituisce una grande responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a giudicare loro stessi alcune cause e, in ogni modo, ad assicurare un accesso più facile dei fedeli alla giustizia. Ciò implica la preparazione di un personale sufficiente, composto di chierici e laici, che si consacri in modo prioritario a questo servizio ecclesiale. Sarà pertanto necessario mettere a disposizione delle persone separate o delle coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare, che potrà pure accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale (cfr Mitis Iudex, art. 2-3)».[266]

245. I Padri Sinodali hanno anche messo in evidenza «le conseguenze della separazione o del divorzio sui figli, in ogni caso vittime innocenti della situazione».[267] Al di sopra di tutte le considerazioni che si vogliano fare, essi sono la prima preoccupazione, che non deve essere offuscata da nessun altro interesse o obiettivo. Ai genitori separati rivolgo questa preghiera: «Mai, mai, mai prendere il figlio come ostaggio! Vi siete separati per tante difficoltà e motivi, la vita vi ha dato questa prova, ma i figli non siano quelli che portano il peso di questa separazione, non siano usati come ostaggi contro l’altro coniuge, crescano sentendo che la mamma parla bene del papà, benché non siano insieme, e che il papà parla bene della mamma».[268] È irresponsabile rovinare l’immagine del padre o della madre con l’obiettivo di accaparrarsi l’affetto del figlio, per vendicarsi o per difendersi, perché questo danneggerà la vita interiore di quel bambino e provocherà ferite difficili da guarire.

246. La Chiesa, sebbene comprenda le situazioni conflittuali che i coniugi devono attraversare, non può cessare di essere voce dei più fragili, che sono i figli che soffrono, spesso in silenzio. Oggi, «nonostante la nostra sensibilità apparentemente evoluta, e tutte le nostre raffinate analisi psicologiche, mi domando se non ci siamo anestetizzati anche rispetto alle ferite dell’anima dei bambini. […] Sentiamo il peso della montagna che schiaccia l’anima di un bambino, nelle famiglie in cui ci si tratta male e ci si fa del male, fino a spezzare il legame della fedeltà coniugale?».[269] Queste brutte esperienze non sono di aiuto affinché quei bambini maturino per essere capaci di impegni definitivi. Per questo, le comunità cristiane non devono lasciare soli i genitori divorziati che vivono una nuova unione. Al contrario, devono includerli e accompagnarli nella loro funzione educativa. Infatti, «come potremmo raccomandare a questi genitori di fare di tutto per educare i figli alla vita cristiana, dando loro l’esempio di una fede convinta e praticata, se li tenessimo a distanza dalla vita della comunità, come se fossero scomunicati? Si deve fare in modo di non aggiungere altri pesi oltre a quelli che i figli, in queste situazioni, già si trovano a dover portare!».[270] Aiutare a guarire le ferite dei genitori e accoglierli spiritualmente, è un bene anche per i figli, i quali hanno bisogno del volto familiare della Chiesa che li accolga in questa esperienza traumatica. Il divorzio è un male, ed è molto preoccupante la crescita del numero dei divorzi. Per questo, senza dubbio, il nostro compito pastorale più importante riguardo alle famiglie, è rafforzare l’amore e aiutare a sanare le ferite, in modo che possiamo prevenire l’estendersi di questo dramma della nostra epoca.

Alcune situazioni complesse

247. «Le problematiche relative ai matrimoni misti richiedono una specifica attenzione. I matrimoni tra cattolici e altri battezzati “presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l’apporto che possono dare al movimento ecumenico”. A tal fine “va ricercata […] una cordiale collaborazione tra il ministro cattolico e quello non cattolico, fin dal tempo della preparazione al matrimonio e delle nozze” (Familiaris consortio, 78). Circa la condivisione eucaristica si ricorda che “la decisione di ammettere o no la parte non cattolica del matrimonio alla comunione eucaristica va presa in conformità alle norme generali esistenti in materia, tanto per i cristiani orientali quanto per gli altri cristiani, e tenendo conto di questa situazione particolare, che cioè ricevono il sacramento del matrimonio cristiano due cristiani battezzati. Sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbiano in comune i sacramenti del battesimo e del matrimonio, la condivisione dell’Eucaristia non può essere che eccezionale e, in ogni caso, vanno osservate le disposizioni indicate” (Pont. Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’Applicazione dei Principi e delle Norme sull’Ecumenismo, 25 marzo 1993, 159-160)».[271]

248. «I matrimoni con disparità di culto rappresentano un luogo privilegiato di dialogo interreligioso […] comportano alcune speciali difficoltà sia riguardo alla identità cristiana della famiglia, sia all’educazione religiosa dei figli. […] Il numero delle famiglie composte da unioni coniugali con disparità di culto, in crescita nei territori di missione e anche nei Paesi di lunga tradizione cristiana, sollecita l’urgenza di provvedere ad una cura pastorale differenziata secondo i diversi contesti sociali e culturali. In alcuni Paesi, dove la libertà di religione non esiste, il coniuge cristiano è obbligato a passare ad un’altra religione per potersi sposare, e non può celebrare il matrimonio canonico in disparità di culto né battezzare i figli. Dobbiamo ribadire pertanto la necessità che la libertà religiosa sia rispettata nei confronti di tutti».[272] «È necessario rivolgere un’attenzione particolare alle persone che si uniscono in tali matrimoni, non solo nel periodo precedente alle nozze. Sfide peculiari affrontano le coppie e le famiglie nelle quali un partner è cattolico e l’altro non credente. In tali casi è necessario testimoniare la capacità del Vangelo di calarsi in queste situazioni così da rendere possibile l’educazione alla fede cristiana dei figli».[273]

249. «Particolare difficoltà presentano le situazioni che riguardano l’accesso al battesimo di persone che si trovano in una condizione matrimoniale complessa. Si tratta di persone che hanno contratto un’unione matrimoniale stabile in un tempo in cui ancora almeno una di esse non conosceva la fede cristiana. I Vescovi sono chiamati a esercitare, in questi casi, un discernimento pastorale commisurato al loro bene spirituale».[274]

250. La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni.[275] Con i Padri sinodali ho preso in considerazione la situazione delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, esperienza non facile né per i genitori né per i figli. Perciò desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare «ogni marchio di ingiusta discriminazione»[276] e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza. Nei riguardi delle famiglie si tratta invece di assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita.[277]

251. Nel corso del dibattito sulla dignità e la missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia»; ed è inaccettabile «che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».[278]

252. Le famiglie monoparentali hanno origine spesso a partire da «madri o padri biologici che non hanno voluto mai integrarsi nella vita familiare, situazioni di violenza da cui un genitore è dovuto fuggire con i figli, morte di uno dei genitori, abbandono della famiglia da parte di uno dei genitori, e altre situazioni. Qualunque sia la causa, il genitore che abita con il bambino deve trovare sostegno e conforto presso le altre famiglie che formano la comunità cristiana, così come presso gli organismi pastorali parrocchiali. Queste famiglie sono spesso ulteriormente afflitte dalla gravità dei problemi economici, dall’incertezza di un lavoro precario, dalla difficoltà per il mantenimento dei figli, dalla mancanza di una casa».[279]

Quando la morte pianta il suo pungiglione

253. A volte la vita familiare si vede interpellata dalla morte di una persona cara. Non possiamo tralasciare di offrire la luce della fede per accompagnare le famiglie che soffrono in questi momenti.[280] Abbandonare una famiglia quando una morte la ferisce sarebbe una mancanza di misericordia, perdere un’opportunità pastorale, e questo atteggiamento può chiuderci le porte per qualsiasi altra azione evangelizzatrice.

254. Comprendo l’angoscia di chi ha perso una persona molto amata, un coniuge con cui ha condiviso tante cose. Gesù stesso si è commosso e ha pianto alla veglia funebre di un amico (cfr Gv 11,33.35). E come non comprendere il lamento di chi ha perso un figlio? Infatti, «è come se si fermasse il tempo: si apre un abisso che ingoia il passato e anche il futuro. […] E a volte si arriva anche ad accusare Dio. Quanta gente – li capisco – si arrabbia con Dio».[281] «La vedovanza è un’esperienza particolarmente difficile […] alcuni mostrano di saper riversare le proprie energie con ancor più dedizione sui figli e i nipoti, trovando in questa espressione di amore una nuova missione educativa. […] Coloro che non possono contare sulla presenza di familiari a cui dedicarsi e dai quali ricevere affetto e vicinanza devono essere sostenuti dalla comunità cristiana con particolare attenzione e disponibilità, soprattutto se si trovano in condizioni di indigenza».[282]

255. In generale il lutto per i defunti può durare piuttosto a lungo, e quando un pastore vuole accompagnare questo percorso, deve adattarsi alle necessità di ognuna delle sue fasi. Tutto il percorso è solcato da domande: sulle cause della morte, su ciò che si sarebbe potuto fare, su cosa vive una persona nel momento precedente alla morte... Con un cammino sincero e paziente di preghiera e di liberazione interiore, ritorna la pace. A un certo punto del lutto occorre aiutare a scoprire che quanti abbiamo perso una persona cara abbiamo ancora una missione da compiere, e che non ci fa bene voler prolungare la sofferenza, come se questa fosse un atto di ossequio. La persona amata non ha bisogno della nostra sofferenza, né le risulta lusinghiero che roviniamo la nostra vita. Nemmeno è la migliore espressione di amore ricordarla e nominarla in ogni momento, perché significa rimanere attaccati ad un passato che non esiste più, invece di amare la persona reale che ora si trova nell’al di là. La sua presenza fisica non è più possibile, ma, se la morte è qualcosa di potente, «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6). L’amore possiede un’intuizione che gli permette di ascoltare senza suoni e di vedere nell’invisibile. Questo non è immaginare la persona cara così com’era, bensì poterla accettare trasformata, come è ora. Gesù risorto, quando la sua amica Maria volle abbracciarlo con forza, le chiese di non toccarlo (cfr Gv 20,17), per condurla a un incontro differente.

256. Ci consola sapere che non esiste la distruzione completa di coloro che muoiono, e la fede ci assicura che il Risorto non ci abbandonerà mai. Così possiamo impedire alla morte «di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio».[283] La Bibbia parla di un Dio che ci ha creato per amore, e che ci ha fatto in modo tale che la nostra vita non finisce con la morte (cfr Sap 3,2-3). San Paolo ci parla di un incontro con Cristo immediatamente dopo la morte: «Ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo» (Fil 1,23). Con Lui, dopo la morte ci aspetta ciò che Dio ha preparato per quelli che lo amano (cfr 1 Cor 2,9). Il prefazio della Liturgia dei defunti lo esprime magnificamente: «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata». Infatti «i nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio».[284]

257. Un modo di comunicare con i nostri cari che sono morti è pregare per loro.[285] Dice la Bibbia che «pregare per i defunti» è cosa «santa e devota» (2 Mac 12,44-45). Pregare per loro «può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore».[286] L’Apocalisse presenta i martiri mentre intercedono per coloro che soffrono ingiustizia sulla terra (cfr 6,9-11), solidali con questo mondo in cammino. Alcuni santi, prima di morire, consolavano i propri cari promettendo che sarebbero stati loro vicini per aiutarli. Santa Teresa di Lisieux sentiva di voler continuare a fare del bene dal Cielo.[287] San Domenico affermava che «sarebbe stato più utile dopo la morte, […] più potente nell’ottenere grazie».[288] Sono legami di amore,[289] perché «l’unione di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata […], è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali».[290]

258. Se accettiamo la morte possiamo prepararci ad essa. La via è crescere nell’amore verso coloro che camminano con noi, fino al giorno in cui «non ci sarà più la morte, né lutto né lamento né affanno» (Ap 21,4). In questo modo ci prepareremo anche a ritrovare i nostri cari che sono morti. Come Gesù restituì a sua madre il figlio che era morto (cfr Lc 7,15), similmente farà con noi. Non sprechiamo energie fermandoci anni e anni nel passato. Quanto meglio viviamo su questa terra, tanto maggiore felicità potremo condividere con i nostri cari nel cielo. Quanto più riusciremo a maturare e a crescere, tanto più potremo portare cose belle al banchetto celeste.

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29 settembre 2021, 15:00