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Pizzaballa: in Medio Oriente anni di guerre settarie, è tempo di perdono

Il patriarca di Gerusalemme ha parlato al webinar organizzato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, a trent’anni dal documento su dialogo e annuncio pubblicato dal dicastero assieme alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli

Federico Piana – Città del Vaticano

Il perdono è un imperativo: testimone della drammatica situazione che sta vivendo la Terra Santa, l’arcivescovo francescano Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, ha portato il grido di dolore dei popoli che abitano la regione all’incontro online svoltosi stamane, 19 maggio, nel trentennale della pubblicazione del documento congiunto del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (Pcdi) e della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Cep) Dialogo e Annuncio.

In proposito il presule ha fatto notare come i termini che rimandano a missione e proselitismo siano poco amati nell’area in cui hanno avuto origine ebraismo, cristianesimo e islam, perché evocativi di un passato di crociate e conversioni forzate in un contesto in cui la fede non è solo esperienza religiosa personale, ma anche definizione di identità personale e sociale. «Oggi è il momento per i leader religiosi — ha aggiunto riferendosi all’attualità — di impegnarsi per la giustizia e la pace, profondamente feriti in Medio Oriente da anni di guerre settarie e vergognose tragedie. Il dialogo interreligioso che non considera la responsabilità reciproca, concreta ed effettiva nei confronti della società è destinato a rimanere lettera morta, riducendosi a incontri autoreferenziali, del tutto superflui», ha ammonito.

Con Pizzaballa hanno animato i lavori — con  l’obiettivo di esaminare la recezione e l’attuazione del documento del 1991 nei diversi contesti geografici e presentare lo status quo teologico del dialogo interreligioso — i cardinali Miguel Ángel Ayuso Guixot e Michael Louis Fitzgerald, rispettivamente presidente e già presidente del Pdci, e Luis Antonio G. Tagle, prefetto della Cep; il vescovo indiano Thomas Dabre, i monsignori Indunil J. Kodithuwakku K. e  François Bousquet, i professori Pierre Diarra e Rita George-Tvrtkovic, suor Patricia Madigan e i religiosi Mario Menin e Michael Barnes.

Il ruolo dei Pontefici nella promozione del dialogo è stato al centro dell’intervento di apertura del cardinale Ayuso Guixot: «Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora Papa Francesco, con le loro azioni e insegnamenti, hanno sostenuto il dialogo», ha esordito.

«Apprezzando l’amicizia dei capi religiosi e mostrando loro sincero rispetto e amore — ha aggiunto — durante i viaggi apostolici hanno tutti incluso nell’agenda appuntamenti interreligiosi. Hanno rivolto messaggi di attenzione ai credenti di altre fedi e dedicato tempo agli insegnamenti sul dialogo. Hanno anche promosso valori come la pace e la stabilità nel mondo», attraverso iniziative di carattere spirituale, durante le quali «leader di diverse tradizioni hanno potuto riunirsi e pregare» insieme.

Quindi il porporato comboniano ha fatto riferimento a Fratelli tutti, l’enciclica di Papa Bergoglio, che «si sofferma ampiamente sul dialogo». Esso — insegna infatti il documento pontificio — è «avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto» (Ft 198). E «l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore» (Ft 271).

Da qui l’auspicio conclusivo del cardinale presidente affinché si studi sempre meglio Dialogo e Annuncio, «per conoscere gli impatti della sua ricezione per la nostra pratica presente e futura di questi compiti, difficili ma assolutamente necessari».

L’origine e la rilevanza del documento sono stati approfonditi dal cardinale Fitzgerald, che è stato segretario del Segretariato per i non cristiani (1987-1988) e, quando esso ha mutato nome, del Pcdi (1988-2002) e poi presidente di quest’ultimo (2002-2006). «È stato il primo documento ufficiale prodotto dal Pontificio consiglio», ha affermato, ricordando che esso era stato preceduto nel 1984 da Dialogo e Missione. L’atteggiamento della Chiesa verso i seguaci delle altre religioni: riflessioni e orientamenti sul dialogo e la missione, ma che questo era riconducibile al Segretariato per i non cristiani.

Quindi il porporato dei missionari d’Africa ha spiegato come mai il Segretariato istituito da Papa Montini nel 1964 abbia impiegato tanto tempo a produrlo. «Il primo periodo sotto la presidenza del cardinale Marella (1964-1973) — ha chiarito —  fu quello delle fondamenta, perché le Chiese locali dovevano essere convinte che il rapporto con altri credenti fosse conforme alla fede cattolica. Tale compito è stato svolto dal Segretariato attraverso il suo Bollettino. È stato anche pubblicato un libro per favorire una migliore comprensione delle diverse religioni, e soprattutto il Segretariato ha indicato “linee guida” per il dialogo con buddisti, indù, musulmani e seguaci della religione tradizionale in Africa».

Con il cardinale Pignedoli (1973-1980) nacque poi l’esigenza di un “Direttorio per il dialogo” sulla falsariga di quello ecumenico prodotto dal Segretariato per l’unità dei cristiani. «Alla fine, però, si decise di redigere una Dichiarazione che incoraggiasse il dialogo nella Chiesa». Questa fu finalizzata nel 1984, sotto la presidenza del cardinale Arinze, e pubblicata negli Acta Apostolicae Sedis, poi riprodotta in un numero speciale del Bollettino non solo nell’originale italiano, ma anche in arabo, inglese, francese, tedesco e spagnolo. «È un documento ispiratore — ha commentato il cardinale — ma ha sollevato interrogativi nella mente di alcuni cristiani, mentre da parte dei seguaci di altre religioni è sorta la questione se il dialogo fosse considerato uno strumento di missione, inteso nel senso di un’occasione per predicare Gesù Cristo al fine di realizzare la conversione alla fede cristiana e l’appartenenza al Chiesa».

«Da un lato — ha aggiunto —  c’era il pericolo di indebolire la vitalità missionaria, dall’altro quello di suscitare i sospetti di persone di altre religioni riguardo alla finalità del dialogo. Si è deciso così di preparare un nuovo documento per studiare il rapporto tra dialogo e annuncio». Ma il cardinale Tomko, prefetto della Cep e membro del Pcdi, propose una preparazione congiunta — ha rivelato Fitzgerald — prontamente accettata dal cardinale Arinze, ritenendo che se più persone fossero state favorevoli al documento, meglio sarebbe stato accolto.  «Tuttavia — ha avvertito — se il dialogo viene trattato per primo, non è perché ha priorità sull’annuncio, ma solo perché è la prima preoccupazione del Pontificio Consiglio che ne ha avviato la preparazione».

Da ultimo il cardinale Fitzgerald ha analizzato vantaggi e svantaggi delle due principali forme di dialogo: quello bilaterale, «che consente una maggiore focalizzazione su somiglianze e difficoltà, ma a volte può generare tensione»; e quello multilaterale che, sebbene possa «sembrare più superficiale», può però «creare uno spirito di armonia che porta a una maggiore cooperazione».

Infine è stato il cardinale Tagle a trarre le conclusioni rimarcando l’eredità del Vaticano II per la promozione del dialogo e dell’evangelizzazione, con la puntualizzazione che nella storia della Chiesa 55 anni — tanti ne sono trascorsi dalla fine dei lavori conciliari — non sono poi moltissimi.

Il porporato ha elogiato le riunioni dei circoli di specialisti esortando al contempo anche a scendere nelle varie arene del vissuto quotidiano (scuole, famiglie e media) per la promozione del dialogo e dell’annuncio. Parlando della propria esperienza di vescovo asiatico ha messo in luce l’importanza dell’ascolto dell’altro, del rispetto, ma anche del parlare della bellezza del Vangelo. Perché, ha chiarito, «seguire Gesù è dialogico: infatti discepolato e imitazione di Cristo vanno di pari passo, provocando quell’attrazione che non è mai imposizione».

Infine, visibilmente commosso, il prefetto del dicastero missionario ha espresso tristezza per i nazionalismi e i tribalismi che dividono, individuando nella carità un elemento dirompente di servizio comune anche tra seguaci di differenti religioni, soprattutto in questo tempo drammaticamente segnato dalla pandemia.

Un cammino lungo 30 anni

Il documento ‘Dialogo ed annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo’ compie trent’anni. Pubblicato il 19 maggio del 1991 dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e dalla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il testo offre l’opportunità ai fedeli cattolici di imparare ad essere rispettosi dei credenti di altre religioni senza dimenticare la necessità di annunciare il Vangelo. In occasione del trentennale della promulgazione del documento, questa mattina si è svolto un webinar dal titolo ‘Dialogo ed annuncio: trent’anni dopo’ al quale hanno partecipato anche il cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso ed il cardinale Luis Tagle, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.

Conseguenza dell’incontro di Assisi

“Questo documento – afferma Riccardo Burigana, direttore del Centro italiano di Studi per l’Ecumenismo ed il Dialogo - è radicato nel Concilio Vaticano II e mette in evidenza come l’esperienza del dialogo interreligioso sia stata concepita e letta da San Giovanni Paolo II. Non possiamo dimenticarci che il documento è anche uno dei tanti frutti dell’incontro tra le religioni svoltosi ad Assisi cinque anni prima”.

Ascolta l'intervista a Riccardo Burigana

Dunque, è un documento che faceva chiarezza sulla linea del Concilio Vaticano II?

R.- Certamente. Spiega, infatti, che la Chiesa cattolica è chiamata a trovare strade sempre nuove per dialogare con le altre religioni senza rinunciare alla propria identità e alla propria vocazione missionaria.

Nel documento, questa necessità scaturisce da una riflessione teologica?

R.- Sì. Oltre ai documenti del Concilio Vaticano II viene citata ‘Ecclesiam Suam’, l’enciclica di Paolo VI che ebbe molta influenza nell’elaborazione teologica del Concilio, e viene inserita la chiave di lettura che, relativamente al dialogo interreligioso, fu propria di San Giovanni Paolo II. Tutto questo servi a costruire la dimensione teologica.

Il documento mette in evidenza che dialogo ed annuncio sono in relazione…

R.- Non solo sempre in relazione ma anche mai contrapposti. Il dialogo interreligioso non può non partire dalla presentazione della propria identità. E per la Chiesa cattolica presentare la propria identità vuol dire annunciare il Vangelo, certamente in una forma nuova, evangelica e che passa anche attraverso l’ascolto dell’altro.

Che frutti ha portato e quali nuovi risultati porterà questo documento?

R.- Questo documento ha aperto tante strade di confronto e ha aiutato la Chiesa cattolica a comprendere che il dialogo interreligioso è fondamentale. Invece, i frutti nuovi che produrrà saranno da ricercare nella forza che la Chiesa metterà nel vivere con le altre religioni una prospetiva comune, condividendo i valori che conducono alla pace e alla giustizia.

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19 maggio 2021, 15:00