Mario Calabresi con la madre Gemma (credit @Davide Greco) Mario Calabresi con la madre Gemma (credit @Davide Greco)  Editoriale

Il podcast di Gemma, al cuore del perdono cristiano

“La memoria ha le gambe” è il titolo del racconto di Chora Media firmato da Mario Calabresi che racchiude un dialogo con sua madre, vedova del commissario assassinato nel 1972

ANDREA TORNIELLI

“La memoria ha le gambe” è il titolo del podcast di Chora Media firmato da Mario Calabresi che racchiude un dialogo con sua madre Gemma Capra. Trentaquattro minuti che corrono veloci ma non lasciano indifferenti. La moglie del commissario Luigi Calabresi, giovane mamma rimasta vedova con due figli piccoli e un terzo in arrivo, stava raccontando la sua storia e i suoi ricordi quando è giunta la notizia dell’arresto in Francia dei terroristi condannati per fatti di sangue in Italia tra i quali anche Giorgio Pietrostefani, condannato in via definitiva insieme ad altri due complici dopo il processo più lungo della storia italiana e rifugiatosi Oltralpe. La notizia dell’arresto dell’ultima persona condannata per l’omicidio del commissario Calabresi, assassinato sotto casa il 17 maggio 1972, ha fatto sì che le parole di Gemma e di suo figlio diventassero rilevanti per la cronaca. Qualcuno è rimasto sorpreso che non vi sia stata esultanza nei commenti della vedova del commissario, e in quelli di suo figlio che la intervistava. È stata fatta giustizia, la sentenza definitiva potrà ora con l’estradizione, essere attuata, ma c’è poco da esultare - ha detto Mario Calabresi - quando un uomo anziano e malato finisce dietro le sbarre.

Il dibattito sul cambio di passo del presidente francese Emmanuel Macron, deciso a porre fine ad una certa interpretazione della “dottrina Mitterand” e cioè all’asilo offerto a persone colpevoli di azioni violente ma di natura politica, ha rischiato però di mettere in secondo piano i tratti più belli e commoventi della testimonianza di Gemma, una donna dalla fede profonda le cui parole rendono evidente in modo semplice, immediato e sorprendente il miracolo del perdono cristiano.

Di “miracolo” bisogna parlare, perché è un miracolo se una giovane donna a cui è stato assassinato il marito riesce a perdonare. È un miracolo se nelle sue parole non appare neanche un briciolo di risentimento, pur nel dramma ancora presente nel suo ricordo, nella sua carne, nella sua vita. Gemma racconta di come la possibilità di perdonare sia passata attraverso la conversione del cuore, anche se tutto era già presente fin dal primo momento, fin dalla scelta della frase da mettere nel necrologio pubblicato quel maggio del 1972, quando su suggerimento della madre, la giovane vedova decise di riprodurre le parole di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.

La tragica morte del marito è ciò che ha portato Gemma a riscoprire la fede cristiana vissuta in precedenza come un’abitudine. Ma questo, racconta la donna dialogando con il figlio giornalista, non è stato sufficiente, perché non si può perdonare con la mente. Si perdona soltanto con il cuore. E così come la fede è un dono mai scontato, un dono di grazia, anche la capacità di perdono, di uno sguardo che riverbera la misericordia di Dio, non può mai essere un esito scontato, predeterminato.

È commovente ascoltare, nel podcast, come Gemma - insegnante di religione nella scuola elementare - sia stata poco a poco messa in discussione nel suo atteggiamento da ciò che cercava di trasmettere in classe ai suoi bambini. Gesù nel Vangelo perdona, e lei si è sentita interrogata da questo perché non aveva ancora perdonato gli assassini del marito. Così, poco a poco, nella preghiera di ogni giorno, le parole di Gesù usate per il necrologio sono sgorgate anche dal suo cuore. Le ha lette diversamente: ha osservato che Gesù, uomo sulla croce, non perdona direttamente i suoi uccisori, perché "come uomo si rendeva conto che noi uomini nel momento dell'abbandono, del tradimento, della solitudine, della calunnia, del dolore fisico, del dolore morale, non saremmo mai riusciti a perdonare, e quindi chiede al Padre di farlo Lui al posto nostro lasciando a noi il tempo del cammino. A quel punto mi sono sentita come liberata, leggera. Ho pensato: Lui lo ha già fatto per me, al posto mio, perché questo è l'esempio che ci ha dato Gesù. E quindi io adesso ho il tempo del cammino e non sarò sola a farlo".

Ma c’è un'altra perla preziosa che vale la pena scoprire nel podcast e sono le parole con le quali la madre di Mario Calabresi parla del bene presente negli uccisori di suo marito. È una caratteristica che emerge in tante pagine del Vangelo: Gesù guardava le persone che incontrava senza “inchiodarle” alla croce del loro peccato, del male compiuto. Non le guardava secondo il male commesso ma secondo il bene che avevano compiuto e soprattutto quello che potevano ancora compiere. C’era e c’è nei Suoi occhi uno sguardo di misericordia inguaribilmente positivo, grazie a Dio. Uno sguardo che ci permette di sperare sempre di essere accolti e perdonati, perché, agli occhi di Dio, nessuno di noi sarà mai definito soltanto dal male compiuto.

Anche Gemma è stata capace di questo sguardo e, ancora una volta, ne è stata capace grazie alla fede e alla provocazione dei suoi piccoli alunni, che gli chiedevano come mai quando moriamo tutti diventiamo buoni e di un defunto non si parla mai male. Coloro che hanno ideato l’omicidio di Luigi Calabresi e coloro che lo hanno commesso, sono ancora vivi, ma Gemma ha saputo pensare alle loro vite e ai loro figli, al bene che hanno compiuto, e non soltanto all’azione più brutta della loro esistenza, quel barbaro omicidio di un uomo innocente. E il perdono cristiano che si accompagna, nelle parole di questa piccola grande donna, a uno sguardo di misericordia capace di valorizzare il bene anche in chi avremmo ragione di odiare ci offre una boccata d’ossigeno e un’iniezione di speranza.

ASCOLTA IL PODCAST:

https://www.spreaker.com/user/choramedia/00009-08-def

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03 maggio 2021, 14:30