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Gallagher: dialogo e multilateralismo per un mondo libero dalle armi nucleari

L’arcivescovo Segretario per i Rapporti con gli Stati spiega l’impegno della Santa Sede per il Trattato che proibisce gli armamenti atomici e che entra in vigore il 22 gennaio: “La pace e la sicurezza internazionali non possono essere basate sulla minaccia della distruzione reciproca”

ANDREA TORNIELLI

“Mai più la guerra, mai più il boato delle armi, mai più tanta sofferenza”, l’uso dell’energia atomica a scopi bellici è “immorale”, così come lo è il “possesso” di armi nucleari. Il 24 novembre 2019 dal Memoriale della Pace di Hiroshima, Papa Francesco levava il suo grido per un mondo finalmente libero dagli armamenti atomici. Undici mesi dopo, nell’ottobre scorso, veniva ratificato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPAN), che da venerdì 22 gennaio entra in vigore. Ne parliamo con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati.
 

Eccellenza, il Trattato per la proibizione delle armi nucleari rappresenta il primo accordo legalmente vincolante che vieta sviluppo, test, produzione, immagazzinamento e trasferimento delle armi nucleari, oltre al loro utilizzo. Perché è importante?

Come sappiamo, le armi nucleari rientrano nella più ampia categoria delle armi di distruzione di massa, così come le armi chimiche e quelle biologiche. Si tratta di armi che hanno un impatto indiscriminato, che possono in breve tempo uccidere una grande quantità di persone e che provocano danni, anche irreversibili o di lunghissima durata, agli ecosistemi, pure nel raggio di centinaia di chilometri. Si tratta di ordigni che sono stati particolarmente sviluppati a partire dal secolo scorso e il cui utilizzo può avvenire anche da parte di attori non statali di stampo terroristico. Di fronte a tali gravi conseguenze e preoccupazioni, la comunità internazionale è fortemente impegnata non solo nell’impedire la loro proliferazione, ma anche nel promuovere una reale interdizione del loro uso, così come del possesso di tali armi. A tal fine, sono stati elaborati e implementati numerosi strumenti multilaterali giuridicamente vincolanti che cercano di giungere al conseguimento di questo obiettivi.

L''arcivescovo Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati
L''arcivescovo Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati

Può spiegare brevemente la storia questi precedenti strumenti multilaterali?

Il primo strumento giuridico internazionale per la messa a bando di un’intera categoria di armi di distruzione di massa è stata la “Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, la produzione e l’accumulo delle Armi Batteriologiche (Biologiche) e delle Armi Tossiche e sulla loro distruzione”, entrata in vigore nel 1975 e attualmente con 183 Stati Parte. Venti anni dopo, il 13 gennaio 1993, è stata aperta alla firma a Parigi la “Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, la produzione, lo stoccaggio e l’uso delle Armi Chimiche e sulla loro distruzione”; essa è entrata in vigore il 29 aprile 1997 e conta attualmente 193 Stati che si sono impegnati alla sua attuazione. Si tratta in entrambi i casi di importanti strumenti che vede coesa la comunità internazionale nel contrastare lo sviluppo e l’utilizzo di armi chimiche e biologiche; strumenti i quali devono ovviamente fronteggiare continue insidie, che richiedono un incessante e attento seguito della loro corretta attuazione. D’altronde, il XXI secolo è fortemente caratterizzato da rapidi sviluppi tecnologici in campo chimico e biologico, che richiedono aggiornamenti persistenti di quegli strumenti finalizzati a impedirne un uso criminale.
 

Mancava però un trattato che si riferisse alle armi atomiche…

Fino all’adozione nel 2017 del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPAN) non vi era alcuno strumento giuridico internazionale che vietasse esplicitamente tali armi. L’entrata in vigore del TPAN, il 22 gennaio 2021, chiude questo “gap” tra le differenti tipologie di armi di distruzione di massa.

Perché la Santa Sede si è particolarmente impegnata per la sua ratifica?

L’obiettivo principale del Trattato è quello di vietare le armi nucleari in maniera inequivocabile, inserendole nella stessa categoria di altre armi di distruzioni di massa come le armi chimiche e quelle biologiche, già proibite. In tal modo, pone anche le armi nucleari all’interno di quelle armi il cui uso e possesso vanno continuamente stigmatizzati e delegittimati. Questo è uno dei motivi per cui la Santa Sede si è impegnata per l’entrata in vigore del Trattato e ha attivamente partecipato al suo processo di redazione. Tale attiva partecipazione è, d’altronde, ben evidenziata dal Messaggio che Papa Francesco ha rivolto all’inizio della “Conferenza dell’ONU finalizzata a negoziare uno strumento giuridicamente vincolante per proibire le armi nucleari e giungere allo loro totale eliminazione”, svoltasi a New York, dal 27 al 31 marzo 2017. Un testo molto chiaro che mette in luce anche il perché la Santa Sede incoraggia gli Stati non solo ad aderire al Trattato, ma anche a cercare di comprenderlo nella lettera e nello spirito e a dare seguito a ciò che esso promuove. Molte sue disposizioni richiamano in maniera diretta o indiretta la centralità della persona umana, il paradigma umanitario e le strette connessioni del Trattato con la pace.
 

Qual è la relazione tra questo Trattato e quello sulla non proliferazione delle armi nucleari del 1970?

Il TPAN è il primo strumento giuridico vincolante che vieta le armi nucleari, mentre il Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari (TNP) prevede essenzialmente tre obiettivi: la non proliferazione delle armi nucleari, il disarmo graduale di tali ordigni e la cooperazione nell’uso pacifico della tecnologia nucleare. Il TNP, entrato in vigore nel 1970, rappresenta indubbiamente un elemento fondamentale, una colonna portante della infrastruttura internazionale volta a contrastare le armi nucleari. Ma non è l’unico componente di questa struttura; di essa fanno, infatti, parte altri elementi: oltre al TPN e al TPAN vanno considerati strumenti giuridici come il Trattato per il bando degli esperimenti nucleari (CTBT), le zone libere da armi nucleari, gli Accordi di salvaguardi che l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) ha firmato con numerosi Stati, i Trattati bilaterali come lo START (Trattato di riduzione delle armi strategiche tra USA e Russia, che scadrà il mese prossimo). Si tratta di strumenti tra di loro complementari e ognuno di essi rappresenta una tessera di quel mosaico che compone il quadro di un “mondo libero da ami nucleari”.

Ammetterà che si tratta di un mosaico la cui realizzazione appare ancora lontana…

Diciamo che è un mosaico, purtroppo, ancora piuttosto “sfocato”, poiché alcuni degli strumenti citati, alcune di quelle “tessere”, devono ancora essere ben “modellate”, perché non sono entrati in vigore o non vengono implementati in modo coerente. Su queste “tessere” è necessario continuare a lavorare con l’impegno di tutti, attori governativi e non governativi; è necessario intensificare gli sforzi per contrastare le pressioni contro il multilateralismo e superare la dinamica del sospetto e della sfiducia. La corretta implementazione di questi strumenti rappresenta, infatti, un passo fondamentale nel “cammino” verso un mondo libero dalle armi nucleari. C’è, poi, un altro aspetto significativo che questo “percorso” richiede; aspetto che è pienamente riconosciuto nel TPAN: l’importanza sia dell’educazione alla pace e del disarmo in tutti i suoi aspetti, sia della sensibilizzazione sui rischi e le conseguenze delle armi nucleari per la generazione presente e quelle future; non è possibile sottovalutare questi due aspetti: anche l’educazione e la sensibilizzazione rappresentano due altre importanti tessere che contribuiscono a comporre il mosaico di un mondo libero dalle armi nucleari e che richiedono un impegno per iniziative significative volte a promuovere una cultura che rifiuta tali ordigni, una cultura della vita e della pace, una cultura della cura.

Un cammino che ha visto la Santa Sede sempre in prima linea, come attestano anche le parole pronunciate da Papa Francesco durante il suo viaggio in Giappone.

La Santa Sede è da sempre impegnata a perseguire questa direzione, come dimostrato dal fatto che ha ratificato tutti i principali Trattati nucleari (TPN, CTBT, TPAN, Accordi di Salvaguardia con l’AIEA) e dai suoi continui sforzi per promuovere una concreta cultura di pace, basata sulla dignità della persona umana e sul primato del diritto, favorendo una collaborazione responsabile, onesta e coerente con tutti i membri della famiglia delle nazioni. Tutto ciò richiede un’attenta mediazione per facilitare un dialogo politico efficace, con particolare attenzione all’importanza di utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per costruire la fiducia, per andare oltre la “teoria della paura e il nemico”, per sottolineare come la deterrenza nucleare rappresenti un falso senso di sicurezza e di stabilità, per ancorare la questione della sicurezza a quella dello sviluppo, per far leva sul concetto di “memoria” e dialogo. D’altronde, come detto dal Santo Padre ad Hiroshima il 24 novembre 2019: «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno». La memoria «va custodita non solo per non commettere di nuovo gli stessi errori o perché non vengano riproposti gli schemi illusori del passato, ma anche perché essa, frutto dell’esperienza, costituisca la radice e suggerisca la traccia per le presenti e le future scelte di pace» (cfr. Papa Francesco, Messaggio per 53^ Giornata Mondiale della Pace: la pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica, n. 2).

Il TPAN è stato ratificato da una cinquantina di Paesi, tra questi non ci sono le tradizionali grandi potenze nucleari né quelle che hanno sviluppato in seguito l’atomica, ma nemmeno Paesi che ospitano questi armamenti in quanto alleati di altri Paesi che le possiedono. Quali speranze ci sono che questo trattato porti a dei risultati concreti?

Vorrei riprendere un’altra riflessione di Papa Francesco, prendendo spunto dal Video-Messaggio che egli ha trasmesso il 24 settembre 2020 all’ultima sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU: «Ci troviamo […] di fronte alla scelta tra uno dei due cammini possibili: uno conduce al rafforzamento del multilateralismo, espressione di una rinnovata corresponsabilità mondiale, di una solidarietà fondata sulla giustizia e sul compimento della pace e l’unità della famiglia umana, progetto di Dio per il mondo; l’altro predilige gli atteggiamenti di autosufficienza, il nazionalismo, il protezionismo, l’individualismo e l’isolamento [… che] certamente recherà danno alla comunità intera, essendo autolesionismo per tutti. E questo non deve prevalere». La questione nucleare è fortemente connessa a questa duplice prospettiva. Da un lato, siamo preoccupati per il fatto che le Potenze nucleari spesso sembrano voltarsi di fronte al multilateralismo in campo nucleare e al tavolo dei negoziati, come evidenzia una certa erosione dell’architettura delle armi nucleari, messa in luce dall’abbandono del Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF), dall’indebolimento del JCPoA (Piano d’Azione congiunto comprensivo) iraniano, dall’incertezza del futuro del menzionato START, dalla crescente spesa militare non solo per la manutenzione ma anche per l’ammodernamento degli arsenali nucleari. Dall’altro lato, dobbiamo essere motivati e propositivi rimanendo fermi nei nostri sforzi per lavorare al disarmo nucleare e alla non proliferazione. La promozione e l’attuazione del TPAN e la X Conferenza di Revisione del TNP, in programma nell’agosto di quest’anno, sono due chiare opportunità per far avanzare un mondo senza armi nucleari.

Le decisioni sono nelle mani degli Stati, ma che cosa può essere fatto dalle persone che non siedono nelle “stanze dei bottoni”, da chi sogna un mondo finalmente libero da queste armi?

Rispondo con le parole di Papa Francesco a Nagasaki il 24 novembre 2019: «un mondo in pace, libero da armi nucleari, è l’aspirazione di milioni di uomini e donne in ogni luogo. Trasformare questo ideale in realtà richiede la partecipazione di tutti: le persone, le comunità religiose, le società civili, gli Stati che possiedono armi nucleari e quelli che non le possiedono, i settori militari e privati e le organizzazioni internazionali. La nostra risposta alla minaccia delle armi nucleari dev’essere collettiva e concertata, basata sull’ardua ma costante costruzione di una fiducia reciproca che spezzi la dinamica di diffidenza attualmente prevalente».

Quali sono, a suo avviso, gli atteggiamenti da evitare in questo impegno?

In questo sforzo dobbiamo evitare quelle forme di recriminazione e polarizzazione reciproche che ostacolano il dialogo piuttosto che incoraggiarlo. L’umanità ha la capacità di lavorare insieme per costruire la nostra casa comune; abbiamo la libertà, l’intelligenza e la capacità di guidare e dirigere la tecnologia, di porre dei limiti al nostro potere e di mettere tutto questo al servizio di un altro tipo di progresso: più umano, sociale e integrale (cfr. Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune, 24 maggio 2015, n. 112). Come ho detto, il prossimo agosto si svolgerà a New York la X Conferenza d’Esame del TNP. Si tratta di un momento critico nel quale la comunità internazionale, e in particolare le Potenze nucleari, potranno mostrare la reale volontà di promuovere la pace e la sicurezza internazionali e la loro capacità di comprendere le importanti lezioni della pandemia da Covid-19, che ci ha messo di fronte a quella che possiamo chiamare una vera e propria “crisi della sicurezza”.

Nel contesto attuale del mondo, ormai molto diverso rispetto a quello diviso in due blocchi del secolo scorso, ha ancora senso parlare di “deterrenza”?

Il Santo Padre, nel Messaggio alla Conferenza Onu del 2017 che ho citato in precedenza, ha detto: «Se si prendono in considerazione le principali minacce alla pace e alla sicurezza con le loro molteplici dimensioni in questo mondo multipolare del XXI secolo, come, ad esempio, il terrorismo, i conflitti asimmetrici, la sicurezza informatica, le problematiche ambientali, la povertà, non pochi dubbi emergono circa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a rispondere efficacemente a tali sfide. Siffatte preoccupazioni assumono ancor più consistenza quando consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari con devastanti effetti indiscriminati e incontrollabili nel tempo e nello spazio. Simile motivo di preoccupazione emerge di fronte allo spreco di risorse per il nucleare a scopo militare, che potrebbero invece essere utilizzate per priorità più significative, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, così come la lotta alla povertà e l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Dobbiamo anche chiederci quanto sia sostenibile un equilibro basato sulla paura, quando esso tende di fatto ad aumentare la paura e a minare le relazioni di fiducia fra i popoli». Da questo punto di vista, dovremmo chiederci che tipo di sicurezza vogliamo e quali sono i mezzi più efficaci per garantire tale sicurezza.

Che cosa ci insegna in proposito ciò che il mondo sta vivendo a causa del coronavirus?

La pandemia da Covid-19 ci sta insegnando molto: infatti, una delle lezioni che possiamo apprendere è l’importanza di riconsiderare il nostro concetto di sicurezza. La pace e la sicurezza internazionali non possono essere basate sulla minaccia della distruzione reciproca o dell’annientamento totale, né sul mantenimento di un equilibrio di potere o sulla regolamentazione delle relazioni sostituendo “la forza della legge” con “la legge della forza”. La pace e la sicurezza devono essere costruite sul dialogo e sulla solidarietà, sulla giustizia, sullo sviluppo umano integrale, sul rispetto dei diritti umani fondamentali, sulla cura del creato, sulla promozione delle strutture educative e sanitarie, sulla costruzione della fiducia tra i popoli. In questa prospettiva, è necessario andare oltre la deterrenza nucleare. La comunità internazionale è chiamata ad adottare strategie lungimiranti per promuovere questo obiettivo di pace e sicurezza internazionale ed evitare approcci miopi ai problemi di sicurezza nazionale e internazionale. Realizzare un mondo senza armi nucleari si inserisce in questa strategia lungimirante, basata sulla consapevolezza che “tutto è connesso”, in quella prospettiva di ecologia integrale così ben delineata da Papa Francesco nella Laudato si’ (cfr. nn. 117 e 138). Il TPAN va in questa direzione. Questa strategia può essere costruita solo attraverso un dialogo solidamente orientato al bene comune e non alla tutela di interessi velati o particolari.

Quali passi concreti si possono fare per raggiungere l’obiettivo di un mondo libero da questi micidiali armamenti che mettono a rischio l’esistenza stessa dell’umanità?

L’obiettivo finale dell’eliminazione totale delle armi nucleari è sia una sfida che un imperativo morale e umanitario. Un approccio concreto dovrebbe promuovere una riflessione su un’etica della pace e della sicurezza multilaterale e cooperativa che vada oltre la paura e l’isolazionismo che dominano oggi molti dibattiti. Il destino comune dell’umanità esige il rafforzamento pragmatico del dialogo e la costruzione e il consolidamento di meccanismi di fiducia e cooperazione, capaci di creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari. Mi vengono in mente le parole del Santo Padre nel suo Messaggio per la celebrazione della 54^ Giornata mondiale della pace: “La cultura della cura come percorso di pace”: «Quanta dispersione di risorse vi è per le armi, in particolare per quelle nucleari, risorse che potrebbero essere utilizzate per priorità più significative per garantire la sicurezza delle persone, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, la lotta alla povertà, la garanzia dei bisogni sanitari. Anche questo, d’altronde, è messo in luce da problemi globali come l’attuale pandemia da Covid-19 e dai cambiamenti climatici. Che decisione coraggiosa sarebbe quella di “costituire con i soldi che s’impiegano nelle armi e in altre spese militari un “Fondo mondiale” per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri”» (n. 7).

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21 gennaio 2021, 14:30