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Sud Africa #coronavirus. Il dramma dei bambini migranti apolidi

L’apolidia è un fenomeno in crescita in tutto il mondo, in particolare nell’Africa australe: l’appello degli Scalabriniani per un maggiore assistenza sociale, soprattutto per i minori migranti

Isabella Piro - Città del Vaticano 

“Un certificato di nascita è un passaporto alla vita”: si legge così nel Bollettino settimanale sulle persone vulnerabili e fragili in movimento in epoca di Covid-19, a cura della Sezione per i migranti e i rifugiati del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale, che, tra gli altri temi, dedica il numero attuale al dramma dei bambini migranti apolidi in tempo di pandemia. La riflessione prende spunto da una nota dello Scalabrini Institute for Human Mobility in Africa (Sihma) che riporta i dati del Rapporto mondiale 2020 sull’apolidia curato dall’Istituto per l’apolidia e l’inclusione (Isi). Ebbene: secondo l’Isi, 15 milioni di persone al mondo sono da considerarsi apolidi. E si tratta di dati parziali poiché non tutti i Paesi raccolgono e comunicano statistiche complete al riguardo. Il che rende gli apolidi “ancora più invisibili, aumentandone i rischi di emarginazione e discriminazione, senza alcun accesso al riconoscimento e alla tutela” legale.

Le Convenzioni Onu sull’apolidia

In Sudafrica, la situazione è particolarmente grave: il Paese, infatti, ricorda il Sihma, non è tra i firmatari delle Convenzioni Onu del 1954 e del 1961, rispettivamente sullo status e sulla riduzione degli apolidi. Entrambi gli accordi sono stati siglati da Angola, Benin, Burkina Faso, Ciad, Costa d'Avorio, Eswatini, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Lesotho, Liberia, Libia, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Ruanda, Senegal, Sierra Leone e Tunisia, ma non dal Sudafrica in cui, quindi, non c’è una definizione chiara e legale di chi deve essere considerato apolide. Inoltre, per quanto riguarda l’apolidia infantile, i percorsi sono molteplici, spiega il Sihma: oltre alla mancata registrazione delle nascite, infatti, si verifica anche il perpetuarsi dell'apolidia da una generazione all'altra. Quando i bambini nascono da genitori apolidi, diventano anch’essi apolidi e spesso "ereditano lo status di immigrazione dei loro genitori”, il che li porta a essere definiti "migranti irregolari", nonostante siano nati in Sudafrica”. Questo dimostra che “l'apolidia non riguarda solo i bambini migranti, che potrebbero aver perso i documenti o essere stati separati dalla famiglia durante il viaggio, ma anche i neonati in Sudafrica”. “Non solo si può diventare apolidi, ma si può nascere apolidi”, ribadiscono gli Scalabriniani.

Covid-19 aggrava vulnerabilità degli apolidi

Altro punto fondamentale è il rischio di sfruttamento sul lavoro e di traffico di esseri umani che corrono i minori apolidi, poiché non si ha alcuna prova legale della loro età. Inoltre, limitati nell’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e ad ogni tipo di tutela, i bambini privi di un certificato di nascita patiscono anche “la mancanza di un senso di appartenenza ad una nazione”, cruciale per il loro sviluppo, e ciò ha “conseguenze negative sul loro benessere mentale e sociale”. Purtroppo, fa notare l’Istituto Scalabriniano, “l’attuale pandemia da Covid-19 ha aggravato la vulnerabilità degli apolidi”. Ad esempio, a causa delle restrizioni negli spostamenti e nei viaggi, “le donne migranti incinte hanno dovuto partorire lontane dal proprio Paese, negando così la nazionalità ai loro figli”. E, al contrario, “la paura di far diventare i figli apolidi ha spinto alcune madri a tornare in patria, nonostante i rischi per la salute, mettendo in pericolo la propria vita e quella del nascituro”.

Donare un senso di appartenenza

Di fronte a tutto questo, il Sihma lancia diversi appelli: agli Stati, affinché includano “la protezione dei diritti degli apolidi nelle risposte alla pandemia da Covid-19”; al Sudafrica e a tutti i Paesi che non l’hanno ancora fatto, affinché aderiscano alle Convenzioni Onu sull’apolidia, donando così “un senso di appartenenza a tutte le persone in movimento, compresi i bambini”; infine, alla società civile, perché potenzi l’assistenza sociale, “fattore-chiave” per combattere l’apolidia, in quanto aiuta a mantenere un contatto diretto con i più fragili e vulnerabili ed a tener conto costantemente delle loro necessità.

Vescovi Sudafrica: registro anagrafico è servizio essenziale

Da ricordare che la stessa Conferenza episcopale del Sudafrica (Sacbc) ha affrontato il problema dell’apolidia il 10 agosto scorso, in occasione della terza “Giornata della registrazione civile e della statistica vitale”. In quella data, l’Arcivescovo Buti Tlhagale, referente per i per i migranti e i rifugiati all’interno della Sacbc, ha diffuso una nota in cui invita gli Stati a “verificare che la registrazione universale delle nascite avvenga in modo corretto e indipendente dalla nazionalità o dallo status giuridico dei genitori” del bambino. Inoltre, nel pieno della pandemia da Covid-19, il presule sottolinea che il registro anagrafico diventa ancor di più “un servizio essenziale per il monitoraggio e la mitigazione dell’impatto delle emergenze”. “Cifre o statistiche affidabili e precise – scrive Monsignor Tlhagale – possono fare un'enorme differenza in tempi di emergenze, calamità o pandemie”, perché “garantiscono che le autorità dispongano delle informazioni essenziali necessarie per la pianificazione, l'attuazione e il monitoraggio” dei sistemi di prevenzione e cura.

160 milioni di bambini apolidi nel mondo

Dall’Africa all’Europa e, in particolare, all’Italia la situazione migliora, ma solo in parte: le pratiche per la registrazione dei minori migranti sono attive in molti Paesi, però resta ancora molto da fare, come afferma Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef Italia:

Ascolta l'intervista ad Andrea Iacomini

R.- La registrazione è fondamentale perché garantisce ai minori migranti protezione, dà loro un nome, un cognome, un’identità reale. Se pensiamo che, a livello globale, i dati su questo tema sono spaventosi - ci sono 160 milioni di bambini che non sono registrati neanche alla nascita, il che vuol dire che un bambino su quattro di fatto è invisibile! – immaginiamo, traslando questo concetto e pensando ai bambini che arrivano nelle nostre terre, quanto sia davvero importante registrarli. Ogni bambino ed ogni ragazzo, perché parliamo anche di adolescenti, ha diritto ad avere un nome, una nazionalità, un’identità legale e noi dobbiamo fare in modo che registrarli sia una priorità. Questo è sancito anche dalla Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. Per noi, quindi, è fondamentale registrare alla nascita un bambino perché rappresenta uno sforzo per dare una carta di identità anche perché, purtroppo, spesso i minori provengono da Paesi dove questo non viene fatto.

In Italia e in Europa qual è la situazione al riguardo?

R.- In gran parte dell’Italia e dell’Europa, queste attività vengono gestite nel migliore dei modi possibili, ma c’è assolutamente tanto, tanto ancora da fare nei confronti di un tema in particolare: quello della lotta al traffico degli esseri umani. Perché spesso i bambini e i ragazzi che arrivano in un Paese, poi spariscono completamente; questo vuol dire che se non viene fatta una registrazione immediata nella nazione di sbarco, sostanzialmente questi giovani non registrati, di cui non si sa sulla, i così detti “invisibili”, finiscono nelle maglie del traffico, dello spaccio della droga, delle mafie, dello sfruttamento nei campi agricoli. Ecco perché è fondamentale registrarli, identificarli, dare loro un nome e una nazionalità.

La pandemia da Covid-19 ha aggravato ulteriormente questa situazione?

R.- Sicuramente sì, perché l’attenzione degli Stati si è spostata su un altro livello, ovvero quello di far fronte ad un’epidemia che ha provocato molti morti. Non dimentichiamo, però, un dato: oggi, attraverso il Covid-19, stiamo imparando quanto sia importante dare certificazione di dove ci si trova, di chi siamo, di dove siamo, delle persone che abbiamo incontrato. Questo tipo di meccanismo deve assolutamente essere esteso anche a tutti i migranti che arrivano, proprio per tutelarne la sicurezza ed evitare che finiscano in situazioni difficili. Quello che noi chiediamo, quindi, è un’interazione forte tra governi e organizzazioni umanitarie internazionali per cercare un meccanismo comune di registrazione.

L’Unicef ha messo in atto strategie specifiche in questo ambito?

R.- Per noi, è fondamentale continuare a richiamare, continuamente, all’importanza di questo meccanismo. Abbiamo supportato e supportiamo, a livello italiano, europeo e globale, tutti i governi che decidono di impegnarsi in attività di tutela dei minori attraverso la loro registrazione. Quindi, abbiamo più volte chiesto ai governi di fornire a tutti i bambini il certificato di nascita, di dare a tutti i genitori la possibilità di registrare i figli alla nascita, di collegare la registrazione anagrafica ad altri sistemi, così facilitare i diritti dei bambini alla salute, alla protezione, all’istruzione. Inoltre, chiediamo di investire in soluzioni tecnologiche sicure, anche quelle più innovative, proprio per facilitare il sistema di registrazione. Infine, richiamiamo al coinvolgimento delle comunità per chiedere la registrazione non solo alla nascita, ma anche dopo, per quanto riguarda i meccanismi di ingresso dei migranti nei territori di accoglienza. Il nostro lavoro, di fatto, è quello di ricordare ai governi quanto il tema della registrazione sia fondamentale, perché è un diritto dei bambini. Purtroppo, è un tema di cui si parla poco, anche perché a volte non ci consente di avere dati certi neanche su situazioni di violenza. E invece, più è alta la registrazione, più siamo in grado anche di fotografare fenomeni che avvengono all’interno del nostro territorio.

 

Per i precedenti numeri del Bollettino, visitare il sito 

https://migrants-refugees.va/it/blog/2020/04/21/covid-19-nessuno-va-dimenticato/

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25 settembre 2020, 07:13