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Papa Francesco incontra il cardinale Achille Silvestrini (archivio) Papa Francesco incontra il cardinale Achille Silvestrini (archivio)  

Il cardinale Silvestrini, un architetto dell'Ostpolitik vaticana

Il cardinale Parolin è intervenuto alla conferenza ospitata dall'Ambasciata italiana presso la Santa Sede sui 45 anni trascorsi dagli accordi di Helsinki, che migliorarono le relazioni tra Usa e Urss. In quel frangente, afferma il segretario di Stato, il cardinale Silvestrini esplicò un "delicatissimo compito diplomatico" con grande "sensibilità umana e cristiana"

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Il segretario di Stato vaticano ha ricordato la figura del cardinale Silvestrini, uno dei protagonisti della Ostpolitik vaticana e dei primi contatti con le martoriate comunità dell’Europa orientale. Un’attività ispirata da Papa Paolo VI, che, nell’Enciclica Ecclesiam Suam del 1967, scrisse: “Non disperiamo che quei regimi possano aprire un giorno con la Chiesa un positivo colloquio”. Lo stesso Silvestrini – ricorda Parolin – ebbe a dire che fu “questa la chiave della Ostpolitik di Paolo VI, che determinò la sua azione a non desistere da possibili tentativi anche con successo ridotto e anche quando addirittura si dimostrassero infruttiferi». Parole profetiche, anche se c’è ancora molto da fare. Ma l’intesa di Helsinki fu una buona partenza per porre la parola fine, quasi mezzo secolo fa, ad anni di frizioni tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Il cardinale Sivestrini – ha sottolineato Parolin – applicò nell’espletare un compito diplomatico delicatissimo la sua sensibilità umana e cristiana.

Un dialogo partito da lontano

Dall’analisi di quanto egli ci ha lasciato – ha detto il cardinale Parolin nel suo intervento – cogliamo con precisione i passaggi storici che condussero la Chiesa a collocarsi sulla scena internazionale in modo nuovo rispetto all’epoca del ‘grande schiacciamento’ nei Paesi a regime marxista e stalinista. Egli ricorda che i primi passi della Ostpolilik - termine nato con il cambiamento della politica verso l’Est della Germania Federale del Cancelliere Willy Brandt - sono antecedenti e si fondano su alcuni gesti resi possibili dall’attenuazione delle persecuzioni nei Paesi comunisti: l’invio dei delegati della Chiesa ortodossa russa per assistere al Concilio Ecumenico Vaticano II, l’udienza pontificia ai coniugi Ajubei, le prime visite di monsignor Casaroli in Ungheria e in Cecoslovacchia nel maggio del 1963. Si trattava di aperture avviate dalla lungimiranza di Giovanni XXIII che, secondo le parole di Agostino Casaroli, "parve fondere una profonda barriera di ghiaccio". In questo quadro, la Conferenza di Helsinki «ha rappresentato un’esperienza unica nel suo valore. Era la prima volta, dopo il Congresso di Vienna del 1815, che la Santa Sede partecipava come full member in un Congresso di Stati». E, soprattutto, era “un segno concreto della concezione della pace tra le Nazioni come valore morale, prima ancora che come questione politica, e una occasione per rivendicare la libertà religiosa come una delle libertà fondamentali di ogni persona e come valore e di correlazione nei rapporti fra i popoli”.

Il martirio della pazienza

Il cardinale Parolin ha ripercorso poi le tappe di quello scenario, che giunge fino agli inizi degli anni ’60, e che è quello della devastazione, della persecuzione, del tentativo d’annientamento della presenza religiosa e delle Chiese. “Dopo gli arresti, le condanne, la prigionia o la relegazione della maggioranza dei vescovi cattolici negli anni posteriori al ‘45 e in primo luogo di monsignor Stepinac, del cardinal Mindsdzenty, di monsignor Beran, di monsignor Wyszyński e la rottura delle relazioni diplomatiche – cita Parolin – con la Santa Sede nei Paesi comunisti dell’Europa orientale e centrale era scesa una pesante coltre di gelo". Su questo sfondo, ricorda il segretario di Stato, inizia quel "martirio della pazienza" che ha condotto la Chiesa a cogliere ogni pur minino spiraglio di apertura, portando Casaroli e Silvestrini a quel pellegrinaggio doloroso in alcuni Paesi dell’Est europeo come l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia, e che è sfociato nella accettazione della prospettiva di una Conferenza che si sarebbe tenuta ad Helsinki, nel quadro di un Paese neutrale.

Libertà di pensiero, di coscienza e di religione

Fu un procedere "lento", ma coraggioso e ragionato, ricorda il cardinale Parolin, in cui non mancarono gesti significativi, e agli occhi di oggi clamorosi, tra i quali l’adesione, sollecitata dall’Unione Sovietica, della Santa Sede al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Proprio Achille Silvestrini, afferma il porporato, fu protagonista di molti passi nella direzione del dialogo. Tale ruolo lo portò dunque ad essere presente a tutti gli incontri ufficiali, informali, interlocutori e alle innumerevoli riunioni della Conferenza di Helsinki.’ Fino alla sottoscrizione dell’Atto finale di Helsinki, con al suo interno la Dichiarazione sui principi che guidano le relazioni tra gli stati partecipanti. Parolin ne cita alcuni, come il “rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo”, oppure il principio che prevede che “gli Stati partecipanti riconoscono e rispettano la libertà dell’individuo di professare e praticare, solo o in comune con altri, una religione o un credo agendo secondo i dettami della propria coscienza”. E ancora il principio che afferma che “gli Stati partecipanti riconoscono il significato universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il cui rispetto è un fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari ad assicurare lo sviluppo di relazioni amichevoli e della cooperazione fra loro, come fra tutti gli Stati”

Il dialogo: arma più potente per edificare la pace

Gli Accordi di Helsinki, sottolinea il cardinale Parolin, rappresentarono realmente una svolta. Da quel momento, il cammino verso l’applicazione della libertà religiosa e dei diritti fondamentali poté farsi più spedito e realizzarsi progressivamente sino alla caduta del comunismo del 1989. Da la Santa Sede si sentì, sulla base dei principi sanciti ad Helsinki, come il "mediatore diretto delle richieste in materia di coscienza religiosa". Appare evidente, ha concluso il cardinale Parolin, come la Conferenza di Helsinki sia stata uno di quei momenti della storia in cui, per usare un’espressione cara a Papa Francesco, i protagonisti si preoccuparono più di avviare processi che di occupare spazi’. Essa garantì il passaggio da una distensione timida, quasi timorosa, nei rapporti internazionali ad un coraggioso impegno verso la pace e il consolidamento dei diritti umani universali in tutti gli Stati europei. Essa mostrò che il dialogo, quando è sincero e animato da buona volontà, costituisce realmente "l’arma" più potente per edificare una pace che non sia mera assenza di conflitti, ma anzitutto affermazione della dignità trascendente di ogni essere umano e di queste conquiste bisogna dare merito al cardinale Silvestrini.

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14 settembre 2020, 17:42