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42 anni fa moriva Giovanni Paolo I: un Papa da riscoprire

Il 42.mo anniversario della morte di Papa Luciani ricorre a pochi mesi dell’annuncio della creazione della Fondazione vaticana a lui dedicata. La nipote Lina Petri: le dietrologie sulla sua morte ne hanno messo in ombra la figura. Mauro Velati: Luciani applicava il Concilio calando nella realtà i contenuti di fede

Fabio Colagrande – Città del Vaticano

La notte del 28 settembre di 42 anni fa Giovanni Paolo I moriva improvvisamente in Vaticano mettendo fine al suo Pontificato iniziato solo 34 giorni prima, il 26 agosto. Questo 42.mp  anniversario della scomparsa di Albino Luciani, Pontefice per cui è in corso la causa di beatificazione e canonizzazione, ricorre nell’anno in cui Papa Francesco ha voluto istituire una Fondazione vaticana con lo scopo di approfondirne la figura, il pensiero e gli insegnamenti. A presiederla c’è il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, che ha definito Papa Giovanni Paoli I “un punto di riferimento nella storia della Chiesa universale, la cui importanza è inversamente proporzionale alla durata del suo brevissimo pontificato”. Secondo Parolin, Papa Luciani è stato “un vescovo che ha vissuto l’esperienza del Concilio Vaticano II, l’ha applicato e ha fatto progredire la Chiesa lungo le strade da essa indicate”. Del consiglio d’amministrazione della Fondazione fa parte anche Lina Petri, figlia di Antonia Luciani, la sorella di Papa Giovanni Paolo I. Ai microfoni di Radio Vaticana la nipote di Papa Luciani immagina come lo zio avrebbe accolto la notizia di una Fondazione a lui dedicata.

Ascolta l'intervista a Lina Petri, nipote di Giovanni Paolo I

R.- Sarebbe rimasto sicuramente confuso. Qualsiasi cosa che faceva riferimento alla sua persona per lui era troppo. Lo sappiamo tutti: era una persona estremamente umile. Però credo che allo stesso tempo avrebbe capito la serietà di questa iniziativa. Dopo tanti anni, infatti, era veramente utile e necessario mettere un punto fermo e cercare di delineare bene la sua figura, il suo pensiero e le sue opere. Insomma, credo che possa essere una cosa molto utile.

In questi decenni è stato scritto moltissimo su Papa Luciani. C’è il rischio che la sua personalità sia rimasta un po' oscurata dalle tante parole dette e pubblicate sulla sua morte improvvisa?

R.- Credo proprio di sì. Penso che l’utilità di questa Fondazione sia proprio cercare di evitare che si accendano i riflettori solo sull'ultima notte di mio zio, circostanza che ha generato tante ‘fake-news’, tante stupidaggini che sono state dette e vengono dette ancora oggi, soprattutto in un contesto comunicativo in cui la dietrologia e il ‘noir’ spesso la fanno da padroni. C'è invece veramente bisogno di guardare a tutta la sua opera, mettere in luce tutto il suo operato, tutta la sua vita, tutto quello che è stato. Non può ridursi tutto alla leggenda del “Papa che è stato ammazzato”. Leggenda che poi, oltretutto, è veramente una cosa che ormai non ha più ragione di essere, perché l’epilogo della sua vita è stato sviscerato a tutti i livelli, sia documentali sia di testimonianze, nel corso del processo di canonizzazione. È stato un lavoro lungo, più che decennale, il cui risultato è stato riassunto nel libro di Stefania Falasca, vice-postulatrice della causa, “Papa Luciani: cronaca di una morte”, appena riedito dalla Libreria Editrice Vaticana, dove viene proprio messo nero su bianco e chiarita una volta per tutte in modo definitivo quella che è stata una normale morte per infarto miocardico. Quindi non ha ragione di essere tutta questa dietrologia che purtroppo ha messo molto in ombra la persona di mio zio, la sua pastoralità, il suo essere Papa, anche se solo per trentaquattro giorni.

Il vescovo giornalista che viveva il Concilio

Alla fine di agosto, il cardinale Segretario di Stato Parolin ha indicato i componenti del Comitato scientifico della Fondazione Giovanni Paolo I. Coordinato dalla vicepresidente della Fondazione, Stefania Falasca, il Comitato include fra i suoi membri Mauro Velati, collaboratore della Fondazione per le scienze religiose “Giovanni XXIII” e della causa di canonizzazione di Papa Luciani. Velati ha condotto molte ricerche soprattutto presso l’Archivio del Patriarcato di Venezia ed è un profondo conoscitore della biografia e del pensiero di Giovanni Paolo I che ha riassunto così intervistato da Radio Vaticana Italia:

L'intervista a Mauro Velati del Comitato scientifico della Fondazione Giovanni Paolo I

R.- Papa Luciani non ci ha lasciato come altri suoi predecessori una grande mole di scritti privati, personali, che ci permettano di scrutare la sua interiorità o il modo in cui ha vissuto certi passaggi anche importantissimi della sua vita. Non esistono dei veri e propri diari di Papa Luciani, quindi è difficile accedere a quel nucleo più intimo e più profondo della sua spiritualità e della sua visione del mondo della Chiesa. C'è però una massa di scritti che sono stati la base degli articoli e dei discorsi da lui pronunciati. Perché Papa Luciani concepiva il suo ministero come un’opportunità per mettere a disposizione della Chiesa la propria capacità di divulgazione e infatti la catechesi è stato un campo importantissimo della sua azione pastorale. Luciani intendeva il suo mandato di vescovo come una chiamata ad essere, anche se con umiltà, un maestro, qualcuno che potesse spiegare e raccontare la fede ai suoi contemporanei. Quindi, non ci sono documenti inediti: i suoi testi più importanti sono proprio quelli che ha pubblicato in varie occasioni. Da questo punto di vista è stato un pastore molto particolare: ha pubblicato una quantità di articoli davvero insolita, potremmo definirlo “un vescovo giornalista”.  E lì forse si vede veramente quello che è stato il suo desiderio di contribuire alla vita della Chiesa.

Quanto è attuale il pensiero teologico e pastorale di Giovanni Paolo I?

R.- Mi pare molto attuale. Nel senso che Papa Luciani ha sempre pensato di dover calare dentro la realtà di ogni momento i contenuti della fede. Lui non pensava a un aggiornamento che stravolgesse le categorie tradizionali della dottrina, ma che le ripensasse per parlare agli uomini attraverso un linguaggio semplice, un linguaggio vicino alla gente e attraverso quella che è “la lingua dell'amore”.  Questo lo dimostra anche il privilegio da lui dato, per tutta la sua vita, al popolo, agli uomini semplici. Come vescovo e poi come Papa, lo abbiamo visto anche durante quei pochi giorni di papato, ha sempre desiderato confrontarsi soprattutto con i piccoli, gli ultimi: con i bambini e con i poveri. Non aveva spiccate attitudini di diplomatico come invece molti dei Papi del Novecento. Credo che l’attualità del suo pensiero nasca proprio dal modo in cui ha vissuto l'esperienza del Concilio Vaticano II. Quel momento storico aveva generato in lui un cambiamento interiore, un cambiamento della sua visione della Chiesa e lo aveva portato a cercare di calarsi nei vari momenti della storia che ha vissuto.

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28 settembre 2020, 16:30