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Crepaldi: il cardinale Van Thuan, "una grande storia cristiana"

Nel 18.mo anniversario della morte il ricordo del presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, che Papa Francesco nel 2017 ha dichiarato Venerabile. Mise la sua umile e intensa esperienza di vita spirituale a servizio della evangelizzazione e della Chiesa, sopravvivendo grazie alla fede a 13 anni di prigionia e torture nelle carceri vietnamite

Gabriella Ceraso - Città del Vaticano 

Mettere Dio al primo posto e abbandonarsi alle sue mani è la garanzia per poter guardare al futuro con fiducia e speranza anche nei momenti più bui e tristi: questo al cuore della spiritualità e della vita del cardinale François Xavier Van Thuân, morto il 16 settembre di diciotto anni fa dopo una lunga malattia attraversata con il sorriso nonostante le forti sofferenze. Dichiarato Venerabile servo di Dio, il cardinale vietnamita - per quattro anni presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace a cavallo tra la fine e l'inizio del nuovo secolo - fu un testimone umile e gioioso del Vangelo, per questo incarcerato dai Viet Kong, per 13 anni, nove dei quali in isolamento e sottoposto a torture indicibili.

“Mai un lamento e una totale dedizione a Dio, àncora di salvezza fino alla fine”: a testimoniarlo oggi è l'arcivescovo di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi, fondatore e presidente dell’"Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa" e suo stretto collaboratore in quanto segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, di cui il cardinale fu presidente dal 24 giugno 1998 al 16 settembre 2002. Monsignor Crepaldi ha anche avuto la grazia di essergli vicino nell’ultimo periodo della sua vita terrena trascorsa perlopiù nelle carceri o in domicilio forzato, eppure in grado di convertire guardie e compagni di cella, di celebrare Messa e scrivere preghiere e meditazioni colme dell'amore a Cristo che aveva ricevuto dalla sua mamma e da una famiglia di martiri cristiani. Il ricordo emozionato di monsignor Crepaldi:

Ascolta l'intervista a monsignor Crepaldi

R. - Lui spesso mi raccontava che, impaurito e sfiduciato, meditava sulla domanda dei discepoli a Gesù, durante la tempesta: "Maestro, non ti importa che moriamo?" Poi, il cardinale, con la sua solita amabilitià e il suo sorriso, continuava con questo singolare racconto che credo sia l'interpretazione della sua figura, della sua spiritualità, che dà anche una luce sugli ultimi momenti della sua vita. Lui mi raccontava che una notte durante la prigionia, sentì una voce che gli diceva: "Perché ti tormenti così? Devi distinguere tra Dio e le opere di Dio. Tutto ciò che è compiuto e che desideri continuare a fare - visite pastorali, formazione di seminaristi, laici, missioni - sono opere di Dio ma non sono Dio. Se Dio vuole che tu abbandoni tutte queste opere, mettendole nelle sue mani, fallo subito e abbi fiducia in Lui, Dio lo farà infinitamente meglio di te e Egli affiderà le sue opere ad altri, molto più capaci di te. Tu hai scelto Dio solamente e non le sue opere. Ecco, proprio in quella terribile tribolazione della prigionia, durata 13 anni, che lo aveva privato di tutto, lo raggiunse la grazia divina della speranza cristiana, Dio gli si era manifestato come il "Tutto" e questo gli bastava. E lui mi confidava che fu questa ispirazione a salvarlo. E nella Settimana santa che abbiamo vissuto come tutti, quest'anno, in lockdown, il riferimento al cardinale mi ha fatto capire che per me e i vescovi e tutti i sacerdoti, mettere Dio al primo posto era assolutamente necessario e che doveva bastarci. Attraverso il cardinale credo che Dio mi abbia chiesto di scegliere Lui e questo tratto è stato il filo rosso dell'esperienza della vita del cardinale fino alla persenza in Vaticano e poi alla morte .

Quindi, fino all'ultimo la sua, fu una scelta solo di Dio?

R. - Sì esattamente. Se vogliamo capire il cardinale, credo che dobbiamo tornare sempre a questa esperienza di fondo: lui ha vissuto tutto, anche quella esperienza terribile della prigionia, come una grazia di Dio. Le dirò che nella mia vita io ho incontrato tanta gente, ma rimanevo sempre impressionato come quest'uomo, che aveva vissuto 9 anni in isolamento completo, mantenesse una salute psicologica, una capacità costante di sorriso, una capacità umana di relazioni coinvolgenti, autentiche, vere, una semplice ma profonda coltivazione della prospettiva soprannaturale, che era un miracolo! Veramente il Signore lo aveva accompagnato perchè lui si era totalmente affidato.

Papa Francesco ha ribadito che chi ha incontrato il cardinale ne è rimasto edificato. Lei può dire la stessa cosa e in che termini?

R. - Il cardinale, fino all'ultimo giorno della sua vita - e io ero lì e c'era una fila interminabile di persone - nonostante sofferenze inenarrabili, aveva una capacità di accoglienza, una disponibilità, un sorriso per tutti che era veramente anche quello un miracolo. Nell'ultimo anno ne ha passate di tutti i colori: non si è mai lamentato e sempre, anche nei momenti più dolorosi, aveva il sorriso sulle labbra e questo abbandono nella mani del Signore era di per sè un Vangelo coinvolgente e avvincente, era una cosa meravigliosa, una grande storia cristiana.

Quando si parla del cardinale si parla di speranza, che può trasformare l'ingiustizia in bene e trasformare persone e cuori. Come, nella difficile situazione di oggi, in cui molti hanno perso la speranza, la fede del cardinale può aiutarci a trasformare tutto in positvo?

R. - In molte delle pubblicazioni del Cardinale e nei suoi libri c'è il riferimento esplicito al tema della speranza, speranza ben fondata. Le sue esperienze tremende avrebbero potuto condurlo, se disancorate dal divino, a esiti di disperazione e fallimento. Lui invece avendo ancorato la sua vita in Dio è riuscito a essere un uomo plasmato dalla speranza. L'attaccamento a Dio era garanzia per andare avanti con serenità e per proiettare lo sguado al futuro. Credo che la grande lezione del cardinale sia qui: una speranza sganciata da Dio non sta in piedi. Il grande messaggio cristiano è che la speranza è tale se agganciamo le vite al Signore, allora è Lui a condurre con la sua mano amorosa le nostre vite e la storia del mondo che  a volte è molto dolorosa, tormentata, complicata e oscura. Però se la vita è agganciata a Dio, ha un senso e uno sbocco. E qui vorrei fare riferimento a Papa Francesco e alla preghiera che mi impressionò molto, la preghiera di marzo scorso nella Piazza San Pietro vuota. In pieno lockdown. Tutto il mondo era impaurito. Ma lì il Papa indicò la strada della speranza: in quella piazza vuota c'era però l'icona della Madonna e il crocifsso e alla fine c'è stata la benedizione eucaristica. Il Papa ci disse: non disperate, perchè comunque, ad accompagnare le vicende personali e collettive e storiche, c'è il Signore. Non siamo soli nè abbandonati: c'è la presenza materna Maria, c'è il nostro Dio crocifisso che condivide le nostre croci e c'è la presenza del Signore nell'Eucarestia. Quello è stato uno straordinario e potente messaggio di speranza, che collego idealmente alla spiritualità del cardinale Van Thuan.

Anche perchè il Papa ha sempre ripetuto che per essere uomini di speranza non dobbiamo essere attaccati a nulla ed essere solo proiettati all'incontro con Cristo. La speranza non è ottimismo, nè buon umore...

R. -  Lo diceva anche il cardinale. Quando sentì nella notte quella voce che gli diceva di aver scelto solo Dio e non le opere... tutto dunque si lega in modo misterioso, nella vicenda spirituale della Chiesa.

Il cardinale era una persona gioiosa anche sul posto di lavoro. Semplice nel suo approccio e aperto a tutti. C'è un ricordo che ce lo può far riapparire proprio in modo gioioso davanti agli occhi?

R. - Tanti ricordi ci sono... Lui era un uomo semplice. Era intellegente e un uomo di governo, capace di coltivare grandi amicizie, specie con san Giovanni Paolo II e con l'allora cardinale Ratzinger. Ma un ricordo sì, curioso, è questo... Aveva sempre un mazzetto di fiori finti sulla scrivania, che aveva comprato a Porta Portese e sotto ci teneva una foto di demoni, non so dove l'avesse trovata. Io la mattina andavo a trovarlo in ufficio appena arrivato, per discutere delle pratiche del giorno. Un giorno incuriosito gli chiesi cosa fosse quella foto e lui mi rispose che erano demoni. "Perché se la tiene lì?", gli chiesi, e lui mi disse che ogni mattina chiedeva ai demoni di starsene tranquilli perchè noi potessimo lavorare in pace e per il regno di Dio. Era una delle sue trovate singolari, che facevano parte anche della sollecitudine paterna che aveva nei nostri confronti.

Sarà santo?

R. - Per me è santo. Poi la Chiesa nella sua saggezza nella sua prudenza, ci penserà. Io credo che il Signore mi abbia fatto una grazia inestimabile nel farmi incontrare questo uomo di Dio.

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16 settembre 2020, 17:00