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Il Segretario generale Caritas Internationalis: "Aprire i cuori in una fraternità globale"

Oggi, sulle pagine dell'Osservatore Romano, la lettura di Aloysius John dell’emergenza globale che attraversa il mondo, il racconto dell'azione della Caritas a sostegno di diverse realtà coinvolte e dei rischi legati al perdurare della pandemia

di Francesco Ricupero

«In questa situazione di emergenza sanitaria Caritas Internationalis è in prima linea per attuare un piano contro il diffonfersi della pandemia, ma è fondamentale una cooperazione globale»: è l’appello che, tramite l’Osservatore Romano, lancia il segretario generale di Caritas Internationalis, Aloysius John, il quale teme che la crisi pandemica possa «portare alla stigmatizzazione dei malati di Covid-19, nonché alla discriminazione di gruppi vulnerabili della società, come migranti e rifugiati». Di fronte all’escalation di contagiati e di morti in ogni angolo del pianeta, John auspica dunque una coralità  di intenti che coinvolga «non solo i governi locali e le agenzie internazionali, ma anche la società civile e i gruppi religiosi».

In che modo le organizzazioni collegate alla Caritas stanno cercando di garantire il maggior numero possibile di servizi a chi ha bisogno?

R. - In questo momento di forte crisi e persino di tragedia, Caritas Internationalis continua a lavorare per accogliere, accompagnare e aiutare coloro che sono colpiti direttamente o indirettamente. Per affrontare al meglio il  Covid-19, la raccolta di informazioni e la  sensibilizzazione sono un obiettivo chiave. Le persone, in particolare quelle più vulnerabili, devono avere diritto all’informazione e ricevere  il giusto orientamento per evitare di essere infettate. Ciò viene fatto attraverso l’utilizzo dei media come le radio e i giornali gestiti dalla Chiesa cattolica. In Rwanda, per esempio,  la Caritas trasmette messaggi di sensibilizzazione della Chiesa alle comunità  per renderle consapevoli del rischio. A Singapore, la Caritas locale ha messo in atto servizio di vigilanza ricordando a tutti la necessità di adottare misure indispensabili per  una buona igiene personale. In Italia, l’ente caritativo  continua la sua missione con i poveri attraverso le mense, la distribuzione di pasti caldi, i dormitori. Inoltre, fornisce un servizio “da remoto” agli anziani attraverso l’aiuto dei giovani volontari. In Caritas Internationalis, abbiamo messo in atto una cellula di crisi Covid-19 e istituito una task-force  per monitorare, seguire e fornire informazioni e assistenza alla nostra rete. Il  servizio ai  poveri non può essere fermato dal virus. Cercando di essere creativi e prendendo tutte le precauzioni, continueremo ad assistere i più vulnerabili.

Ritiene che sia giunto il momento di realizzare una rete di responsabilità nella quale ognuno può intervenire in aiuto degli altri?

R. - Siamo interconnessi e anche fragili; lottare contro la propagazione del virus è soprattutto una responsabilità collettiva. Allo stesso tempo, dobbiamo andare incontro alle esigenze di coloro che non sono infettati, ma sono vittime collaterali di questa crisi. Mi chiedo come le migliaia di cittadini del Bangladesh, che lavorano nei  mercati all’aperto, stiano gestendo  questo particolare momento. In Caritas Internationalis, siamo anche preoccupati per i lavoratori dei Paesi più poveri che rischiano di non percepire più uno stipendio perché non possono continuare la loro attività. E che dire poi di quei lavoratori precari che non hanno alcuna sicurezza sociale. Penso che sia giunto il momento di mostrare solidarietà, amore e cura. Venerdì scorso, Papa Francesco ci ha detto che il coronavirus deve anche far emergere il meglio di noi; ebbene sì, deve far emergere l’umanità perché siamo tutti esseri umani e dobbiamo vivere in solidarietà come un’unica comunità umana. Ciò potrebbe essere possibile attraverso la condivisione di mezzi, aiutando quanti hanno bisogno di sostegno, come fanno  le  Caritas del sud del mondo. Questo spirito sarà tanto più necessario quando usciremo da questa tragedia. Inoltre, spero che ciò che sta accadendo in Europa non ci impedirà di prenderci cura e di  condividere da lontano i problemi e le difficoltà degli altri.

Cosa stanno facendo le Caritas per aiutare le popolazioni in Africa e in Asia?

R . - Per fortuna, al momento, la pandemia non ha ancora raggiunto in maniera così seria l’Africa, dove si sta riflettendo su come coinvolgere la Chiesa locale e i suoi organismi, compresa la Caritas, per affrontare questa crisi. In Asia, penso ad  India e Sri Lanka, i governi hanno adottato misure drastiche. La Caritas insieme alla Chiesa sta contribuendo a creare consapevolezza, informando le popolazioni sul giusto atteggiamento da adottare al fine di impedire al virus di  propagarsi. A livello di confederazione stiamo valutando gli strumenti mediatici a disposizione  della Chiesa  in modo da intraprendere un’azione rapida qualora  dovesse esserci  un focolaio.  È un momento in cui abbiamo bisogno di  coordinamento e immaginazione. Una delle specificità della rete Caritas è quella di offrire servizi di preghiera. Dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di credere che Dio può  fare l’impossibile. Infatti,  in Sri Lanka, Filippine e India  sono stati organizzati servizi di preghiera.

In questo particolare momento i volontari sono disponibili ad intervenire?

R. - Hanno  buona volontà e vogliono continuare a lavorare. Ma dobbiamo imporre a tutti il principio di precauzione e inventare altri modi per poter continuare a servire, ma dobbiamo prestare molta attenzione. Sul sito web Caritas Internationalis ha dato istruzioni rigorose riguardo al Covid-19 e ha fornito misure precauzionali a tutti.

La crisi pandemica globale può portare alla discriminazione di gruppi vulnerabili, come migranti e rifugiati?

R. - Il Covid-19 ci ha impartito una lezione: l’umanità non ha confini, etnia, casta, religione o status economico. Papa Francesco ci esorta a vivere il meglio che è in noi, tirando fuori l’umanità in ciascuno di noi. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che non siamo immortali e il coronavirus ci ha mostrato come in tre mesi l’intero pianeta sia nel  panico:  bloccato e isolato. È giunto il momento  di aprire i nostri cuori in una fraternità globale di spirito per ricevere e accogliere l’altro. Il Covid-19 ci ha dimostrato quanto  siamo vulnerabili. Ci ha fatto capire che abbiamo bisogno l’uno  dell’altro per combattere  un nemico comune. La memoria  futura dovrà indurci a organizzare  meglio  come  combattere contro il virus dell’egoismo, contro il peccato dell’indifferenza e soprattutto come custodire il valore della persona umana. Questo è qualcosa su cui la Caritas deve continuare a lavorare.

In che modo Caritas Internationalis intende raggiungere tutte le fasce sociali meno fortunate del pianeta?

R. - Quando diciamo Caritas, intendiamo implicitamente la Chiesa locale. La Caritas, che è il servizio della Chiesa locale, è presente in modo capillare ed è in contatto diretto con le comunità parrocchiali. Inoltre, collabora con tutte le comunità religiose. In Mauritania, per esempio, il vescovo di Nouakschot ha diffuso un comunicato  a sostegno delle decisioni del governo e ha chiesto alla popolazione di rispettarle. Questo è un modo per dialogare con la società locale e la Caritas continua a sostenerlo. Quando diciamo Caritas Internationalis, stiamo parlando dei 165 membri che coralmente possono agire in modo efficace ed efficiente.

Può la pandemia distogliere l’attenzione su altre questioni critiche come povertà, violenza e persecuzioni?

R. -Questa pandemia deve essere un momento di kairos. Il mondo non potrà funzionare come prima. Per il futuro dovremo orientare le nostre riflessioni  per cercare di essere più creativi  e mantenere quello slancio di solidarietà  che abbiamo sperimentato durante il C0vid-19.  Dobbiamo cercare un nuovo ordine,  economico ed ecologico, che deve essere integrale. L’approccio frammentario non può più continuare. Dobbiamo combattere la povertà con la stessa determinazione con la quale stiamo affrontando la pandemia. Il virus della povertà è persino più grave di Covid-19. Dobbiamo vedere come il debito internazionale dei Paesi poveri o in via di sviluppo possa essere cancellato e come potrà essere  utilizzato localmente il denaro per aiutare gli indigenti a realizzare  microprogetti ed uscire dalla situazione di povertà. La Chiesa può essere un attore importante insieme alla Caritas perché ha le infrastrutture, la capacità e i mezzi per farlo. Ma tutto questo deve essere affrontato con urgenza. La paura della morte, provocata da Covid-19, e tutto ciò che abbiamo fatto per salvare vite umane, deve convincerci a smettere di uccidere attraverso la guerra e la violenza. Da un lato, vogliamo proteggerci dalla morte, ma dall’altro, continuiamo la guerra che provoca più vittime  del virus. Quanto siamo incoerenti e quanto egoisti? Quando tutto finirà dobbiamo subito programmare  una conferenza internazionale per fermare la violenza; e i leader mondiali devono farsi carico delle proprie responsabilità. È un aspetto importante che dobbiamo coltivare perché tutti sanno cosa significa vivere nella paura della morte, perdere un  familiare e questo è il momento di fermare le guerre.

Gli aiuti saranno accessibile a tutti? Come evitare le ingiustizie?

R. - Il Santo Padre ha detto che abbiamo bisogno di un nuovo ordine, un nuovo paradigma di sviluppo.  Mentre, Sean Callaghan, presidente di Catholic Relief Services  ha dichiarato che «dobbiamo chiedere ai nostri capi di governo di consultare la rete cattolica per promuovere attività di micro sviluppo e di  sviluppo umano integrale». È attraverso tali strumenti di patrocinio e di acquisizione dei mezzi che possiamo continuare a servire e combattere il virus dell’ingiustizia.

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01 aprile 2020, 15:30