11 febbraio 1929. Il significato dei Patti lateranensi per la Santa Sede, la Chiesa e l’Italia

Pubblichiamo l’editoriale dell’Osservatore Romano sui Patti lateranensi, siglati 91 anni fa. Gli accordi dell’11 febbraio 1929 posero fine alla Questione Romana, apertasi con la presa di Roma del 1870, di cui quest’anno ricorrono i 150 anni. Recepiti nell’articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana, i Patti diedero alla Santa Sede ampie garanzie per lo svolgimento della sua missione nel mondo

“Oggi ci è difficile e quasi molesto comprendere le passioni che tanto commossero e amareggiarono le vicende di quel tempo e degli anni successivi. Qualche cosa mancò alla vita italiana nella sua prima formazione, non foss’altro la sua interiore unità, la sua consistenza spirituale, la sua umanità patriottica, e di conseguenza la sua piena capacità a risolvere i problemi della sua società disuguale, tanto bisognosa di nuovi ordinamenti, e già fin d’allora attraversata da fiere correnti agitatrici e sovversive. Per nostra fortuna abbiamo raggiunto una soddisfacente composizione con la famosa conciliazione del 1929 e con l'affermazione della libertà e della democrazia nel nostro Paese”.

Così si esprimeva il 10 ottobre 1962 in Campidoglio, alla vigilia dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, il cardinale Giovanni Battista Montini, in un memorabile discorso sulla fine dello Stato Pontificio; un discorso nel quale sostanzialmente valutava gli accadimenti romani del secolo precedente come un fatto provvidenziale. I documenti conciliari, ed in particolare la costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, avrebbero poi implicitamente ma sostanzialmente confermato tale giudizio.

Quelle parole e quel giudizio da parte di chi, pochi mesi dopo, sarebbe stato chiamato ad ascendere al soglio di Pietro, giovano ad una più piena comprensione della duplice ricorrenza di quest’anno e di questo giorno: la fine dello Stato papale, con la presa di Roma il 20 settembre 1870, e la fine della Questione Romana che tale evento politico-militare aveva aperto, con la firma dei Patti lateranensi l’11 febbraio 1929. Il tramonto degli antichi Stati della Chiesa significò per quest’ultima la liberazione da un fardello divenuto ormai troppo ingombrante; promosse processi di riforma dell’istituzione ecclesiastica e del suo diritto volti a metterne maggiormente in evidenza le finalità propriamente spirituali; favorì agli occhi del mondo, e specie della comunità internazionale, l’apparire in tutta la sua realtà della peculiarissima natura della Santa Sede, senza le ambiguità e gli offuscamenti dovuti alla sovranità territoriale.

Gli Accordi del Laterano del 1929, d’altra parte, e più tardi la loro recezione nell’articolo 7 della Costituzione della Repubblica italiana, nel contesto di un inquadramento teorico dei rapporti tra Chiesa e Stato che richiama alla mente proprio un passaggio del par. 76 della Gaudium et spes, completarono e perfezionarono un assetto nuovo. Alla Santa Sede vennero date le più ampie garanzie per lo svolgimento della sua missione nel mondo; alla Chiesa cattolica che è in Italia si offrirono gli strumenti giuridici idonei ad assicurare – come afferma l’art. 2 dell’Accordo che nel 1984 ha modificato il Concordato lateranense – “la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e santificazione”, come pure “la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”. Per l’Italia i Patti significarono la fine di quella sorta di “secessione morale” dei cattolici dalla vita politica, seguente alla questione di coscienza insorta dopo i fatti di Roma capitale. Da quel momento la Chiesa ed i cattolici hanno assicurato al Paese un impegno grande, generoso, incisivo, diffuso, nell’alimentare il corpo sociale di valori, nel sostenere i grandi princìpi su cui si è ricostruita la casa comune degli italiani dopo il secondo conflitto mondiale, nell’intervenire ampiamente nel cosiddetto terzo settore, in specie nei campi dell’educazione e dei servizi sociali, nel concorrere a farsi carico delle molteplici forme di emarginazione e delle nuove povertà che lo sviluppo della società pure reca con sé.

Più in generale si può osservare che a partire dai Patti lateranensi, Trattato e Concordato, si è sviluppato uno stile di rapporti tra le due sponde del Tevere caratterizzato da lealtà, cordialità, collaborazione nella distinzione delle sfere di competenza, sana laicità, solidarietà nelle emergenze che di tanto in tanto hanno messo alla prova la società. Uno stile di rapporti che è stato esperienza e diventato consuetudine, prima di essere addirittura consacrato nell’art. 1 dell’Accordo di revisione del 1984. Questo, infatti, nella riaffermazione dell’indipendenza e sovranità di Stato e Chiesa ciascuno nel proprio ordine, impegna peraltro ambedue “al rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.

Guardando al corso lungo degli eventi entrambe le Parti possono rilevare, con soddisfazione, che l’esperienza italiana è progressivamente divenuta paradigmatica per molte convenzioni stipulate dalla Santa Sede con Stati, il che appare eloquente circa la bontà delle scelte compiute. Ma soprattutto entrambe le Parti possono trovare, nella detta esperienza, incoraggiamento e stimolo per affrontare e risolvere, secondo lo stile affermatosi e con lo spirito relativo, le questioni nuove che il divenire del tempo e della società può far sorgere in quella che – per usare parole con cui Arturo Carlo Jemolo chiudeva la sua nota opera – è l’“eterna storia dei rapporti tra umano e divino”.

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10 febbraio 2020, 15:28