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Inquinamento Amazzonia brasiliana a Piquia De Baixo Inquinamento Amazzonia brasiliana a Piquia De Baixo 

Sinodo, il grido di dolore della comunità di Piquia De Baixo

Nell’Amazzonia brasiliana c’è una comunità che muore lentamente a causa dell’inquinamento causato dalle industrie siderurgiche. L’appello al mondo intero di Flavia Silva, membro dell’Associazione dei residenti: l’Onu ci ignora, solo la Chiesa è a fianco di chi combatte per la sopravvivenza

Federico Piana - Città del Vaticano

La Taranto dell’Amazzonia brasiliana si trova nel quartiere Piquia De Baixo della cittadina di Açailândia, nello stato del Maranhão. Qui dal 1980 l’insediamento delle industrie siderurgiche ha provocato un alto tasso d’inquinamento ambientale e malattie respiratorie, cutanee e visive che hanno portato alla morte decine di persone, tra le quali molti bambini. Da subito la comunità di Piquia De Baixo ha tentato di intavolare, per alcuni anni, un dialogo serrato con imprese ed istituzioni per trovare una soluzione condivisa ma, non avendo fruttato alcun passo concreto, ha avviato una protesta che ha lambito anche gli organismi internazionali. A fianco degli abitanti, molti dei quali si sono allontanati dalla zona aderendo ad un progetto di reinsediamento urbano in altri terreni confiscati dalla municipalità per motivi sociali, si sono schierati fin dall’inizio i missionari comboniani. Che ora portano il grido di dolore delle vittime di quest’aggressione ecologica fin nel cuore del Sinodo per l’Amazzonia.

Al Sinodo il grido per la propria terra

E sono proprio i missionari comboniani che ci permettono di incontrare Flavia Silva, una giovane e impegnata responsabile dell’Associação de Moradores de Piquiá de Baixo (Associazione dei residenti di Piquiá de Baixo), reduce proprio in queste ore da una missione all’Onu per denunciare con forza le violenze subite dalla sua terra e dal suo popolo. “I primi abitanti arrivarono negli anni ’60. Piquiá de Baixo era ancora un luogo quasi vergine: le prime strade vennero costruite a mani nude. Avevano scelto quel luogo perché era il più bello ed incontaminato da poter vivere. Ora non è più così” ricorda.

La vostra battaglia è iniziata molto tempo fa…

R. - Sì. La comunità esiste da circa 45 anni e da 30 vive nell’inquinamento, causato dalle industrie siderurgiche. Ora la comunità si sta impegnando, oltre alla denuncia, a creare un quartiere lontano da questi posti contaminati.

Quando avete pensato di costruire un nuovo quartiere avete chiesto l’ aiuto ai missionari comboniani?

R. - Sì. La Chiesa sempre è stata al nostro fianco. E’ il braccio destro della comunità, cammina con la nostra comunità.

In questi giorni lei è stata all’Onu per denunciare la situazione. Com’è andata?

R. - Questa è la seconda volta che siamo stati ricevuti dalle Nazioni Unite. La prima volta non abbiamo ottenuto nulla di concreto, solo parole. Anche stavolta ho raccontato le nostre sofferenze e ho gridato che l’attuale governo sta rallentando tutto il processo di ricollocamento della popolazione. Speriamo che ora le Nazioni Unite facciano davvero qualcosa per noi.

Lei pensa che siano solo promesse?

R. - Quando ho sentito i rappresentanti dell’Onu tornare a promettermi un intervento immediato mi sono arrabbiata. Ho detto loro con determinazione che da molto tempo tutto ciò ci viene promesso ma non sta succedendo nulla. Noi abbiamo bisogno di fatti concreti perché da noi la gente continua a morire.

Ascolta l'intervista a Flavia Silva

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22 ottobre 2019, 13:57