Sinodo. Taveira Corrêa (Brasile): lavorare e pregare per le vocazioni

Il rapporto con le popolazioni indigene e il loro modo di percepire la presenza di Dio, l’importanza dell’evangelizzazione e della formazione dei seminaristi, la preghiera per le vocazioni. Racconta la sua esperienza con la realtà dell'Amazzonia, monsignor Alberto Taveira Corrêa, arcivescovo di Belém do Pará, in Brasile, che partecipa al Sinodo in corso in Vaticano

Debora Donnini – Città del Vaticano

E’ considerata la porta d’accesso al Rio delle Amazzoni, Belém do Pará: una metropoli in mezzo alla foresta, situata alla foce del grande fiume. A guidare la diocesi, nel nord est del Brasile, da 10 anni è monsignor Alberto Taveira Corrêa, che vive in quella che, assieme a Manaus, è la città più importante di tutta la Regione amazzonica, il maggior porto sul Rio delle Amazzoni ed il più grande mercato dei prodotti agricoli e forestali come cacao, manioca, legname, caucciù. Prima, per 14 anni è stato arcivescovo di Palmas, una zona con una forte presenza di popolazioni indigene, con incarichi significativi nella Fondazione Populorum Progressio. Intervistato da Vatican News, ci racconta la sua esperienza:

Monsignor Alberto Taveira Corrêa
Monsignor Alberto Taveira Corrêa

R. – É la prima volta che partecipo ad un Sinodo. È una gioia immensa, una possibilità di portare qui la realtà della nostra Amazzonia. Io sono arcivescovo a Belém, nello Stato del Pará, in Brasile. Porto qui la realtà di una metropoli che si trova in mezzo alla foresta. È una realtà diversa, grandissima; ho la responsabilità di evangelizzare tutta questa gente e così il Sinodo ha portato questa via di scambio di esperienze per cercare le soluzioni per l’evangelizzazione della nostra Regione.

Quali nuovi cammini bisogna percorrere per portare il Vangelo, per aiutare le popolazioni indigene…

R. - La prima cosa è puntare sull’evangelizzazione. Secondo me è importante il contatto con le comunità, con tutta la gente e cercare di trovare la formazione adatta per i sacerdoti. Secondo me bisogna lavorare prima di tutto per le vocazioni, la cosa più importante. Il Papa ha esortato in parecchie occasioni a pregare per le vocazioni. Questa è la cosa più importante.

È importante secondo lei anche formare delle vocazioni autoctone?

R. - Senza dubbio. Abbiamo un seminario con circa 70 seminaristi di filosofia e teologia nell’arcidiocesi di Belém. Oltre ai tanti seminaristi che studiano lì - a Belém sono circa 300, appartenenti a diverse diocesi e Congregazioni - la cosa importante è che sono vocazioni del posto, della nostra Regione. È chiaro che noi a Belém non abbiamo indigeni. La situazione lì è diversa, però nelle altre diocesi ci sono e bisogna lavorare perché ci siano vocazioni indigene, vocazioni autoctone. Questo per noi è importantissimo.

Dalla sua esperienza, anche nella Fondazione della Populorum Progressio, oltre all’evangelizzazione, come possono essere ascoltate e sostenute le popolazioni indigene?

R. - Ho lavorato per 14 anni a Palmas, nello Stato di Tocantis. Lì, sì, la presenza delle popolazioni indigene era significativa. Al tempo, c’erano circa 33 villaggi indigeni. Lì c’era la presenza, il dialogo, la conoscenza, il rapporto con loro, conoscenza del loro modo di percepire la presenza di Dio. Ad esempio, abbiamo cercato di capire come loro considerano Dio. Loro chiamavano Dio “Padre grande”. Così abbiamo trovato questo rapporto, abbiamo incominciato tutto un rapporto di conoscenza, di preghiera, di presenza, assieme a questi indigeni. La Fondazione Populorum Progressio, in cui ho lavorato per tanti anni è stata ed è ancora per noi una presenza importante in Amazzonia. La Fondazione ha offerto il suo aiuto in molti progetti. Nella mia diocesi ci sono 42 isole. La Fondazione ci ha aiutato per l’accesso all’acqua potabile e per i servizi sanitari ecologici.

Ascolta l'intervista a monsignor Alberto Taveira Corrêa

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09 ottobre 2019, 14:46