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La Dichiarazione congiunta su fine vita. Paglia: non procurare la morte del paziente

Rappresentanti delle religioni monoteiste abramitiche - Cristianesimo, Ebraismo e Islam - hanno firmato stamani in Vaticano una Dichiarazione Congiunta sul fine vita, ribadendo il no ad eutanasia e suicidio assistito e, allo stesso tempo, l’impegno a difendere la vita anche in prossimità della morte

Debora Donnini – Città del Vaticano

Un’importante “presa di posizione chiara e precisa: noi non vogliamo né procurare la morte di un paziente né aiutarlo a darsi la morte”. Così monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha introdotto la cerimonia della firma della “Dichiarazione congiunta delle religioni monoteiste abramitiche sulle problematiche del fine vita”. A firmarla, durante la cerimonia alla Casina Pio IV, rappresentanti di queste religioni, che sono stati, poi, ricevuti in udienza dal Papa. Vari i messaggi inviati, fra cui quello del Metropolita Hilarion, e gli interventi dei membri delle delegazioni che hanno preso parte stamani all’evento della firma. A leggere i punti salienti della Dichiarazione, Rabbi Avraham Steinberg, copresidente del Consiglio Nazionale israeliano di Bioetica, che l’aveva proposta a Papa Francesco. La stesura è stata realizzata da un gruppo congiunto interreligioso, coordinato dalla Pontificia Accademia per la Vita. Fra i presenti anche alcuni cardinali, il Rabbino David Rosen e Syamsul Anwar, presidente del Comitato Centrale della Muhammadiyah Indonesiana.

La medicina non toglie la vita ai pazienti

Nel suo saluto, monsignor Paglia mette in luce come sia “molto significativo riaffermare da parte dei rappresentanti delle tre religioni monoteistiche l’impegno a rispettare e a promuovere la vita umana nei momenti in cui, in prossimità della morte, mostra con particolare evidenza la sua fragilità e debolezza”. Un passo che avviene quindi nella consapevolezza dell’importanza del tema dell’eutanasia e del suicido assistito nel contesto contemporaneo, non solo medico ma della cultura generale. Con la Dichiarazione prima di tutto si vuole richiamare il significato più autentico della medicina che “non ha nel suo orizzonte il dare o il togliere la vita dei pazienti”, sottolinea monsignor Paglia rimarcando che “porre termine alla vita significa negarle il senso”. “Siamo consapevoli – prosegue – di muoverci in un’area in cui è difficile separare le cose in modo netto. Ma questa mai finita ricerca di senso, che proprio la malattia mette in questione, è un compito svolto dalla cultura nel suo complesso”. In questo quadro la medicina “non è tenuta a ripristinare ad ogni costo la salute o a prolungare indefinitamente la vita, ma a prendersi sempre cura della persona, anche quando la malattia è inguaribile”.

Si diffondano le cure palliative

Per questo la Dichiarazione auspica proprio la diffusione delle cure palliative, che si prendono cura della persona a partire dalla terapia del dolore. “Va allontanato ogni dubbio circa una loro collusione con logiche che non sostengono la vita”, evidenzia ancora monsignor Paglia perché, dice, “è vero esattamente il contrario, come ribadito nel 2002 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità quando afferma che le cure palliative non intendono né affrettare né rinviare indiscriminatamente il momento della morte” ma il loro scopo è quello di “accompagnare i pazienti” in modo complessivo  nel delicato passaggio della morte, prendendosi cura anche delle famiglie.

La Dichiarazione, un passo importante nella cultura dell'incontro

Monsignor Paglia sottolinea anche l’importanza della dimensione ecumenica ed interreligiosa di questo evento che ha consentito di scoprire aree di convergenza e portare frutti di comunione per rendere un servizio a tutti gli uomini nei quali “noi tutti vediamo figli e figlie di Dio”, afferma, e così possiamo riconoscerci sempre di più fratelli. “Oggi celebriamo quindi anche un passo importante verso la costruzione di quella cultura dell’incontro che Papa Francesco ci ha insegnato” a praticare, rimarca, richiamandosi, in questo senso, proprio al Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi e ad un dialogo che non sia un singolo atto, ma una virtù, un orientamento “stabilmente coltivato”.

Non rinunciare a solidarietà

Si devono “disinnescare le scorciatoie che porterebbero a rinunciare a quella solidarietà in cui solo è possibile far fronte alla sofferenza e al limite che la morte rappresenta”, prosegue il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, sottolineando ancora come sia un evento di grande rilievo che le religioni abramitiche trovino un’intesa per esprimere in modo condiviso il loro impegno: “una base così ampia, che nel complesso coinvolge una non piccola parte dell’intera umanità (alcuni miliardi di persone!)”, potrà fornire un contributo di peso non solo teorico ma anche pratico “attraverso le relazioni vissute nelle comunità credenti”.

Presenti nella sfera pubblica coinvolgendo persone di buona volontà

Si tratta, ora, di proseguire il cammino. Anzitutto di far conoscere i contenuti della Dichiarazione ma anche coinvolgere altri in questa dinamica di collaborazione nelle diverse comunità religiose. E, anche di più. Bisogna “allargare il raggio della nostra comunicazione”, esorta, allargandolo a soggetti sensibili a questo messaggio, facendosi “lievito nelle società in cui le nostre comunità vivono” e rivolgendosi agli uomini di buona volontà. Per questo monsignor Paglia invita ad “essere presenti nella sfera pubblica elaborando discorsi che possano essere compresi anche da chi si avvale di diverse categorie di interpretazione del mondo e della vita umana, ma che ha ugualmente a cuore la dignità degli esseri umani”. In questo senso, come incoraggia anche la Dichiarazione, bisogna avviare una mediazione comunicativa.

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28 ottobre 2019, 11:40