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Erdö: la Chiesa lavora per la riconciliazione e la pace

“La situazione economica, sociale e spirituale dei Paesi dell’Europa centrale alla luce della Dottrina sociale della Chiesa” è il convegno che si è concluso ieri a Budapest, in Ungheria. L’incontro è stato promosso dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, in collaborazione con l’Università cattolica ungherese “Pázmány Péter”

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Una due giorni convocata per ricordare il 30.mo anniversario della caduta del Muro di Berlino e per fare il punto sui cambiamenti avvenuti nell’Europa Centrale anche nella Chiesa. E’ il nono Simposio internazionale di studio promosso dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, in collaborazione con l’Università cattolica ungherese “Pázmány Péter, che si è concluso ieri a Budapest sul tema: “La situazione economica, sociale e spirituale dei Paesi dell’Europa Centrale alla luce della Dottrina sociale della Chiesa”.

Il crollo del regime comunista

Nell’intervento del cardinale Péter Erdő, ripreso in alcuni passaggi dall’Osservatore Romano, il primate d’Ungheria ha messo in luce il cammino della Chiesa dal crollo dell’ideologia comunista fino ai nostri giorni. Una storia che si intreccia con i cambiamenti della società, con la transizione pacifica segnata anche da alcune contraddizioni. Il porporato ha ricordato infatti come il cambiamento sia stato caratterizzato anche dall’aumento della malavita, dal commercio degli stupefacenti e dalla penetrazione della criminalità internazionale in questi Paesi. In Ungheria venne segnalato pure il problema del traffico di organi e di persone. Il tutto generato dalla “mancanza iniziale di legittimità della proprietà privata” e dal fatto che la ricchezza proveniva non dal lavoro ma “dalla speculazione e dagli affari sporchi”. In questo buio, la Chiesa è stata considerata, ha spiegato il cardinale Erdő,  uno dei “fattori in grado di trasmettere dei valori alla società e di organizzare la vita comunitaria”.

La Chiesa più libera

Secondo il porporato, il cambiamento politico ha avuto una ripercussione immediata sulla vita della Chiesa con l’elaborazione di testi legislativi relativi alla libertà religiosa. “In Ungheria – ha spiegato - la novità essenziale di questa legge era che le comunità religiose e le Chiese non avevano più bisogno del permesso per il loro funzionamento, ma avevano il diritto di svolgere la loro attività senza alcun permesso statale”. Possibile quindi la gestione di scuole, ospizi, ospedali e altre istituzioni qualificate come di utilità pubblica. Fondamentale, per il cardinale, fu poi l’indicazione di San Giovanni Paolo II nel 1991 nella visita in Ungheria, di celebrare sinodi diocesani, “utili per rafforzare l’unità tra il vescovo, i sacerdoti e i diversi gruppi di fedeli laici e riscoprire il valore della presenza dei religiosi nella Chiesa”. Furono invece esagerate, per il cardinale, le critiche dei mass media contro la cosiddetta collaborazione di alcuni ecclesiastici con gli organi statali di epoca comunista, “è stato necessario resistere spiritualmente – ha spiegato - a delle pressioni di anticlericalismo o di ostilità contro la Chiesa”.

La vocazione alla pace

“Nell’Europa centrale la storia è stata piena di conflitti nazionali, di ingiustizie e di ricordi amari. Proprio per questo la Chiesa cattolica sente la vocazione di lavorare per la riconciliazione dei popoli”: così il primate d’Ungheria ha ricordato i rapporti di amicizia e collaborazione che si sono aperti, ad esempio, anche con le comunità protestanti e con la comunità ebraica, alzando insieme la voce nei casi di antisemitismo e razzismo. “La transizione pacifica dal sistema comunista al sistema capitalista ha offerto più libertà alla Chiesa, ma al tempo stesso ha comportato anche moltissimi nuovi impegni istituzionali. Eppure – ha concluso il cardinale Erdő - ci ha offerto maggiori possibilità di promuovere la riconciliazione e la pace all’interno del nostro paese e nella nostra regione”.

Ponti non muri

Padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, ha ricordato nel suo intervento la “rivoluzione del velluto” avvenuta quasi senza spargimento di sangue e con il rovesciamento del regime comunista cecoslovacco. Un momento, unito a quello della caduta del Muro di Berlino,  nel quale si nutrì la speranza di “un tempo nuovo di libertà e di costruzione della pace”. Nel suo discorso, Lombardi ha ripercorso i pronunciamenti degli ultimi Papi; da Giovanni Paolo II che espresse il desiderio che l’Europa tornasse a respirare a “due polmoni”, occidentale ed orientale; a Benedetto XVI che parlò del Muro di Berlino come di uno “spartiacque nella storia mondiale”. Infine Francesco che auspicò il diffondersi di una cultura dell’incontro capace di far cadere i muri. “Dove c’è un muro, c’è chiusura di cuore. Servono – disse il Papa  - ponti, non muri!”. “I dibattiti e le tensioni che oggi si riscontrano nel nostro continente sui temi dei cosiddetti populismo e sovranismo – ha dichiarato padre Lombardi -  non ci hanno scoraggiato o spaventato, anzi, ci hanno fatto pensare che fosse particolarmente utile e urgente cercare di affrontare il nostro tema con profondità scientifica e obiettività, sfuggendo alle insidie delle polemiche superficiali e degli slogan, ispirandoci alla visione e alla sensibilità cristiana per un bene comune superiore”.

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10 ottobre 2019, 12:33