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"Apparecchiare la santità. Il cibo nella predicazione di Papa Francesco", il volume delle Libreria Editrice Vaticana di Pierluigi Plata "Apparecchiare la santità. Il cibo nella predicazione di Papa Francesco", il volume delle Libreria Editrice Vaticana di Pierluigi Plata 

Il “menù spirituale” di Papa Francesco in un libro della Lev

Il volume “Apparecchiare la santità. Il cibo nella predicazione di Papa Francesco” di don Pierluigi Plata studia l’uso del Pontefice di immagini legate alla cucina per spiegare il suo magistero

Michele Raviart – Città del Vaticano

“Buona domenica e buon pranzo!”. Fin dal primo Angelus del 17 marzo 2013 Papa Francesco ha spesso usato immagini legate al cibo e alla convivialità nelle sue parole verso i fedeli. Quasi un “magistero del cibo” che don Pierluigi Plata, sacerdote e teologo, ha studiato e analizzato nel volume “Apparecchiare la santità. Il cibo nella predicazione di Papa Francesco”, edito della Libreria Editrice Vaticana e presentato oggi a Roma:

Ascolta l'intervista integrale a don Pierluigi Plata

R. – A ogni cibo il Papa assegna un valore, per esempio la gioia, la gratuità, la convivialità, l’aiutarsi… Assegna un sacramento: l’Eucaristia, il pane; la speranza, il pesce; la fede, la torta… Fin dal primo Angelus ci ha abituato con la frase - e l’ha detto anche domenica: “Pregate anche per me e buon pranzo”. Perché? La domenica è il giorno dell’Eucaristia ma poi finita la preghiera dell’Angelus, noi non dobbiamo limitare la preghiera ad essere sterile: io e il Signore e basta; ma bisogna pensare anche alle situazioni concrete di chi non avrà da mangiare. Ecco il collegamento del “buon pranzo” che fa il Papa, tutte le volte all’Angelus: non solo perché è l’orario, non perché vuol essere compiacente: “Che bello ci fa gli auguri di buon appetito, di buon pranzo”. Ma per porci una riflessione: preghiera ma anche azione concreta perché quello che mangi che non deve essere sprecato.

Qual è una delle immagini del cibo usata da Papa Francesco che l’ha colpita di più?

R. – Ad esempio usa la pizza per parlare di ecclesiologia. Quando dice: “Non ho mai visto un pizzaiolo in vita mia che mette un chilo di lievito e 10 grammi di farina. Non va bene!”. Così nella Chiesa, cominciando da lui Papa, vescovi, preti, tutti i fedeli, devono dare il proprio contributo in modo armonico come una pizza! Se no, non è buona.

Nel volume parla di una sorta di menù spirituale: qual è la sua composizione ideale?

R. – Prima di tutto bisogna vedere che tipo di fame io ho, di affetti, di conoscenza, di amicizia. Poi devo selezionare i prodotti - lui cita tante volte il mercato, il supermercato - e incominciare da quelli più naturali. Il menù ideale è non comprare prodotti già da mettere nel forno, nel microonde, nel congelatore ma genuini perché anche preparare i ravioli - lui dice, per esempio -, preparare la pizza con le proprie mani, aiuta se stessi, aiuta gli altri. Poi dopo, non deve mancare, dopo questo del pane e della pasta, il pesce, che sappiamo dalle catacombe, è simbolo di Gesù. Alla fine, come dolce, io direi i biscotti, che il Papa ricorda faceva sua nonna.

Il Papa parla anche di dolci nelle sue metafore?

R.  – Parla anche dei dolci. È molto interessante perché dice che la fede non è come un po’ di panna che guarnisce la torta: non è un optional, non va tirata fuori solo in certi momenti ma deve essere costante… Oppure, sempre legato ai dolci, c’è un interessante discorso, quando lui dice del “zuccherare”, zuccherare le cose: attenzione a chi è troppo addolcito nel rapportarsi con te, perché potrebbe nascondere qualcosa, essere troppo dolce ma magari avere dietro qualcosa di amaro. Poi parla delle merendine. Io ho una fame magari falsa, non reale, e mangio la merendina. Poi mangio un’altra merendina. Invece quando poi devo mangiare a pranzo, a cena, non ho più fame. Allora dice: oggi ci accontentiamo delle merendine, cioè dei surrogati e non mangiamo più un pasto completo che poi sarebbe, fuori dalla metafora, nel mondo spirituale, ci accontentiamo anche di realtà magari spirituali non profonde che non nutrono la nostra fede, speranza e carità.

Invece per quanto riguarda le bevande?

R.  – La prima è l’acqua, quest’oro bianco al quale tutti devono avere accesso. La responsabilità dell’acqua. Poi lega l’acqua anche allo Spirito Santo, il battesimo, i sacramenti che dicevo prima. E poi l’ultimo aggancio che io ho selezionato, è: attenzione che l’acqua ci può anche stagnare, non è buona, anzi è nociva. Ecco perché lui nelle sue omelie, nel suo magistero continua a dire quella famosa frase, di non dire “si è fatto sempre così” perché sarebbe come un’acqua stagnante che inquina, che fa venire le malattie allo stomaco.

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19 settembre 2019, 14:24