Il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi  Il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi  

Card. Ouellet: efficaci misure contro la piaga degli abusi

Il prefetto della Congregazione per i Vescovi illustra il Motu proprio sulle nuove procedure per la lotta agli abusi nella Chiesa: le norme, volute da Papa Francesco, sono il frutto del vertice di febbraio in Vaticano, cui hanno partecipato i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo

Sergio Centofanti – Città del Vaticano

Il Motu proprio Vos estis lux mundi vuole essere una risposta universale e concreta al fenomeno degli abusi: lo afferma a Vatican News il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi. Il porporato spiega le principali novità di questo testo, che è il prodotto di un’ampia collaborazione ecclesiale.

Eminenza, come nasce questo documento?

«Possiamo considerare il Motu proprio Vos estis lux mundi come uno dei frutti dell’incontro per la protezione dei minori convocato da Papa Francesco in Vaticano lo scorso febbraio, al quale hanno partecipato - insieme ai capi dei Dicasteri della Curia romana - i presidenti o i rappresentanti di tutte le conferenze episcopali del mondo. Più volte il Santo Padre ha detto, preparando quell’incontro sinodale, di desiderare concretezza ed efficacia, perché ciascun vescovo o superiore religioso partisse da Roma avendo chiaro in mente che cosa fare e che cosa non fare. Questo nuovo documento stabilisce nuove ed efficaci procedure per contrastare la piaga degli abusi».

Quanto ha influito nella composizione del documento l’esperienza acquisita con i recenti casi più recenti che hanno interessato vari Paesi del mondo in diversi Continenti?

«L’esperienza dolorosa vissuta negli ultimi anni ha insegnato molto e certamente questo Motu proprio ne tiene conto. Vorrei però sottolineare la sua valenza universale: sarebbe sbagliato considerarlo una risposta provocata da questo o quel caso. Il fenomeno è globale e la risposta deve essere universale e, come dice il Papa, concreta. Il Papa l’ha voluta ed è stata studiata e costruita con l’aiuto e l’assistenza dei suoi collaboratori nella Curia, sentendo anche la voce dei partecipanti all’incontro di febbraio e anche di diverse diocesi. È stato un progetto portato avanti con spirito di collaborazione».

Quali sono le principali novità?

«Innanzitutto l’obbligo per ogni diocesi della Chiesa cattolica di dotarsi di sistemi stabili e facilmente accessibili al pubblico per presentare le segnalazioni sugli abusi. Poi l’obbligo per tutti i chierici, i religiosi e le religiose che vengano a conoscenza di un abuso o di un caso di copertura di un abuso, di segnalarlo al vescovo o al superiore religioso. È poi significativo che, oltre agli abusi sui minori e sugli adulti vulnerabili, ci si riferisca anche alle molestie o alle violenze per abuso di autorità: ciò significa includere nella normativa anche i casi di abuso sulle religiose da parte dei chierici, o di abuso su seminaristi o novizi da parte dei loro superiori. Inoltre va segnalato il fatto che chi presenta la segnalazione, non può essere sottoposto a pregiudizi, ritorsioni, discriminazioni. Infine, ma non meno importante, è l’aver codificato la procedura che chiama i vescovi e i superiori religiosi a rendere conto delle loro azioni, non soltanto nel caso di abusi commessi da loro ma anche nel caso di loro omissioni dirette a interferire o a eludere le indagini civili o le indagini canoniche, amministrative o penali nei confronti di un chierico o di un religioso che ha abusato.  Infine, le norme prevedono una più fitta collaborazione tra i Dicasteri: è un segno della necessità, da parte nostra qui in Curia, non solo di servire meglio le diocesi e gli istituti religiosi del mondo, ma di collaborare meglio tra di noi».

L’obbligo di segnalazione per i chierici può rischiare di incrementare delazioni e calunnie contro persone innocenti?

«Quando si crea un sistema di norme e procedure – studiate per fare bene e per migliorare le cose – c’è sempre il rischio che qualcuno lo possa strumentalizzare per motivi scorretti. Ma non possiamo rifiutare di fare la cosa giusta semplicemente perché potrebbe essere occasionalmente strumentalizzata. Poi, non credo che il sistema messo in piedi inviti questo, comunque dobbiamo vigilare affinché ciò non accada. Bisogna anche ricordare che il Motu proprio stabilisce le procedure per le segnalazioni e le verifiche stabilendo tempi stretti e certi, con risultati attendibili, anche con l’assistenza di esperti laici, proprio nell’interesse non soltanto delle vittime ma anche della persona segnalata per la quale vale la presunzione di innocenza. Viene tutelato chi fa la segnalazione in buona fede, mentre chi eventualmente inventasse accuse false ne dovrà rispondere».

Eminenza, con la pubblicazione di questo Motu proprio i vescovi si dovranno sentire sotto osservazione o sospettati?

«Assolutamente no. Innanzitutto va ricordato che con questo documento non stiamo chiedendo di più rispetto a ciò che già da anni è stato chiesto ai nostri sacerdoti e questo fatto tocca un tema che sta molto a cuore al Papa: non solo non ci deve essere il clericalismo, ma nemmeno un “elitismo” tra di noi. Abbiamo detto per anni che i sacerdoti devono adeguarsi a certe regole strette e perché i vescovi e altri nella gerarchia ecclesiastica non dovrebbero farlo? Si tratta non solo di una legge, ma di una profonda responsabilità. Noi sappiamo che grazie a Dio la quasi totalità dei vescovi, come i sacerdoti e religiosi, sono uomini che cercano di seguire l’esempio di Gesù Cristo nella vita di ogni giorno testimoniando il suo Vangelo. Ma dove c’è una difficoltà, dobbiamo affrontarla, specialmente se coinvolge un vescovo. I successori degli apostoli come pure i superiori religiosi hanno una responsabilità particolare nel custodire il gregge che è stato loro affidato e se qualcuno non agisce secondo verità e giustizia mettendo al primo posto la salvaguardia dei minori e della loro fede, ne deve rendere conto».

Può spiegarci questo nuovo ruolo dell’arcivescovo metropolita nelle indagini?

«La Santa Sede, affidando al metropolita l’investigazione previa sulle segnalazioni che sembrano poter avere qualche fondamento, coinvolge e responsabilizza la Chiesa locale. Come sempre nella Chiesa si procede con riforme e con novità anche importanti come quella di cui parliamo, ma sempre nell’alveo della tradizione. E dunque possiamo ricordare che anche questo affidamento nuovo al metropolita da parte del Dicastero della Curia romana competente della fase di indagine previa s’inserisce in qualche modo in una tradizione che vede la Santa Sede inviare un vescovo esterno come “visitatore apostolico” per svolgere indagini e verifiche su una diocesi.  In fine, vorrei notare che mentre la figura del metropolita gioca un ruolo molto importante, e per le segnalazioni un ruolo essenziale, qualora un particolare metropolita non fosse idoneo a fare un’indagine (per esempio se esiste un conflitto di interessi), il Dicastero competente rimane sempre libero di incaricare una altra figura ecclesiastica».

Un’ultima domanda: può spiegarci il ruolo dei laici previsto in questo testo?

«Le indagini di cui si sta trattando riguardano un’attenta raccolta di informazioni sui fatti, spesso in circostanze difficili, che prevede l’esame di apparecchi elettronici, la consultazione di psicologi e medici, come pure la conoscenza speciale del Diritto e così via. Sono materie e attività che coinvolgono competenze e professionalità esercitate dai laici e dunque non ci sarebbe motivo per escluderli dall’avere un ruolo importante nell’esame di queste questioni. A volte mi pare di avvertire un certo “nervosismo” da parte di alcuni sacerdoti che si sentono “messi da parte” a motivo del ruolo affidato ai laici. Questo nervosismo però non mi sembra giustificato. Rimane naturalmente affidata al vescovo incaricato la responsabilità di mettere insieme le risultanze dell’indagine e di esprimere il suo parere finale».

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09 maggio 2019, 12:01