Christus vivit: la voce dei giovani, speranza della Chiesa
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!”. Inizia così “Christus vivit”, l’Esortazione di Papa Francesco presentata ieri in Sala Stampa Vaticana. Il documento post-sinodale è stato firmato dal Pontefice lo scorso 25 marzo a Loreto, e dal 27 marzo la copia in spagnolo è esposta nel Museo Pontificio.
Margherita Anselmi: la speranza, filo conduttore di “Christus vivit”
Al Sinodo suii giovani dello scorso ottobre ha preso parte anche Margherita Anselmi come esperta collaboratrice del segretario speciale. Originaria di Ascoli Piceno, è progettista sociale e impegnata in Azione Cattolica. Per lei l’Esortazione del Papa ha una parola-chiave: speranza:
R. – Credo che effettivamente si trovi tantissimo, in tutto il testo: un grande senso di speranza e di respiro ampio. Le citazioni del Papa nei vari passaggi sono davvero cariche di emozioni e di un grandissimo amore che si sente, e che lui vuole trasmettere: quello di Cristo. È bellissimo poi quando parla di un Cristo che vive, che è presente, e che è Colui che possiamo prendere come esempio affinché tutto si possa superare. Basta desiderarlo, volerlo, e sentirsi soprattutto amati.
Nel corso della presentazione del documento, si è sottolineata anche la forte impronta mariana, non solo perché è stato firmato a Loreto, ma anche perché Papa Francesco parla di Maria, la ragazza di Nazareth, e del suo “Sì”. Non sono mancate polemiche sulla presenza della donna in questa Lettera che sarebbe un po’ marginale. Tu come l’hai letta?
R. – Credo che sia relativamente marginale in quanto c’è proprio un paragrafo che espone con forza il desiderio dei giovani di vedere donne nella Chiesa che siano esempi, e io credo che ce ne siano moltissimi. E credo che in questo gioco di danza e di relazione tra uomo e donna nella Chiesa, in questa Esortazione ci sia il desiderio del Papa di porre un ruolo, che non sia un ruolo di potere o di rappresentanza, ma proprio un ruolo di collaborazione tra uomo e donna per la crescita della Chiesa. Ovviamente c’è anche molto su cui lavorare: se queste sono Linee Guida, il Papa esplicita che poi devono essere le Chiese locali e la Chiesa tutta ad adoperarsi e a lavorare per la pastorale giovanile. Quindi, credo che anche questo sia un atto di estremo affetto.
C’è anche l’altro aspetto che riguarda la sessualità. Francesco, accennando ai desideri, alle ferite, alle ricerche, parla della sessualità in un mondo che lei enfatizza, e per cui è difficile mantenere una buona relazioni con il proprio corpo…
R. – Mi è piaciuto moltissimo il fatto che lui lo inserisca non come un tabù, ma come un argomento sul quale confrontarsi. Anche il tema dell’identità sessuale è un argomento con il quale confrontarsi per comprendere quali sono le ferite, quali possono essere invece i momenti di speranza e di prossimità. Il Papa ha un’apertura ad accogliere la persona con le sue sfaccettature, le sue fragilità, il suo cammino di comprensione. E quindi è bellissimo vedere che si identifica la persona come spirituale e anche corporale. E la stessa importanza la si dà ad entrambi questi due aspetti, che è un pochino anche l’incarnazione di Gesù Cristo. Nostro Signore non era semplicemente un Dio ma era fatto di carne, e ugualmente noi che siamo fatti di carne dobbiamo non aver paura di parlare di questi due nostri aspetti, ed entrambi devono essere compresi fino in fondo.
Sulla vicenda degli abusi sessuali nella Chiesa, Papa Francesco anche in questa Lettera non si nasconde, ma affida un compito ai giovani dicendo: “Sostenete gli uomini di Chiesa che vedete vacillare”. Ecco, questa è anche una novità non indifferente…
R. – Credo sia meraviglioso, perché è la massima espressione della corresponsabilità. Nella nostra vita può accadere che vacilliamo. Avere accanto una comunità che ti accoglie, che ti tiene su e ti aiuta in questi momenti, è un dono enorme. Dall’altra parte, bisogna essere capaci – io spero che la Chiesa sia capace – di farsi accompagnare. Anche i sacerdoti devono essere capaci di farsi accompagnare. Il Papa tratta il tema dell’abuso a 360 gradi perché parla proprio di tutti i tipi di abuso: l’abuso di potere, l’abuso di coscienza, l’abuso sessuale. Quindi è anche questa grandissima vastità di abusi che si possono commettere per chi interpreta male il ruolo di pastore, e lo interpreta semplicemente come ruolo di colui che governa gli altri, quando in realtà invece è un ruolo di servizio. E se noi modificassimo tutti quanti questa relazione, che è una relazione di servizio, sarebbe davvero molto più facile – mettiamola così – non cadere nell’abuso.
Don Steffano: il Papa con l’Esortazione ci spinge a inventare strade nuove
Don Paolo Steffano, impegnato da anni nella pastorale giovanile, è parroco a Sant'Arialdo a Baranzate (Milano), il comune più multietnico d'Italia. Per la sua opera nell'integrazione tra italiani e stranieri è stato insignito dal Presidente Sergio Mattarella dell'Ordine al Merito della Repubblica italiana. Antonella Palermo gli ha chiesto un commento sull’Esortazione del Papa:
R. – In pratica è una clonazione al positivo, sul versante dei giovani, della Evangelii Gaudium, sui vari aspetti che vengono toccati, perché è proprio una summa dei vari capitoli ovviamente concentrata sui giovani. A me pare bello perché vengono recuperati i vari passaggi.
In questo documento si dice che serve una “pastorale giovanile popolare più ampia e flessibile che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito ha già seminato tra di loro”. Invita, ancora una volta, ad una Chiesa “con le porte aperte”. In base alla sua esperienza con i giovani, qual è, secondo lei, l’atteggiamento che finora è risultato “vincente”, per così dire?
R. – Sicuramente, questi sono i capisaldi. Con una piccola battuta dico che a me pare che il tentativo che sta facendo Papa Francesco è quello di “autorizzarci”. Prima c’era un’idea di autorità che diceva e indicava; oggi Papa Francesco, dalla sua responsabilità universale, autorizza non solo a lavorare con le porte aperte ma ti dice: “Esci, quello che trovi accompagnalo”, e non: “Cerca di avere un’impostazione che invita ad entrare in un luogo già precostituito, già con le sue fatiche e con le sue strutture”. E mi pare profetica questa cosa.
Non trascura, in questo documento, il rapporto giovani e migranti. Si parla ancora una volta dell’impegno per l’integrazione; si ricorda la condizione di tanti giovani costretti a fuggire da contesti di guerra, di sfruttamento, di manipolazione… A questo proposito si lega molto il suo impegno, il suo laboratorio. Che bilancio può trarne in termini proprio di crescita anche di una coscienza civica di reale inclusione, motivo per cui poi è stato anche insignito di questa onorificenza?
R. – La questione in gioco è che – appunto – non è che ci sono i “migranti”, poi i “giovani”, e poi ci sono le sperimentazioni… Questi paragrafi sui migranti dicono ancora una volta un’attenzione che noi stiamo vivendo, che Papa Francesco ribadisce continuamente. Il bilancio che faccio è che come pastorale giovanile siamo attenti ad una universalità che dice anche strade nuove da percorrere. La questione è sapere che non abbiamo le ricette in questo periodo di storia della Chiesa - forse non le abbiamo mai avute -, ma si tratta di percorrere. Quando dice: “Fatevi sentire, scacciate le paure che vi paralizzano”, oppure: “Correte in avanti”, ribadisce la possibilità di sperimentare qualcosa di nuovo. A me pare anche interessante, perché questo sarà uno dei nodi di sempre, è sempre stato così dagli Atti degli Apostoli: il rapporto con gli anziani. Dice che c’è la combinazione meravigliosa tra le varie generazioni. E questa penso sia una questione da mettere sempre in gioco, perché la domanda è: “Chi legge questo testo?”. Con un’altra immagine dico: Papa Francesco ci invita a prendere delle piccole canoe e ad inventarci strade nuove di incontro, di relazione, portando le fatiche del passato, ma anche tenendo conto anche dei tesori del passato.
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