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La Santa Sede aderisce alla Convenzione sul trasferimento dei condannati

Dal prossimo primo maggio entrerà in vigore per lo Stato della Città del Vaticano la Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate del 1983 e il Protocollo addizionale alla Convenzione del 1997

Barbara Castelli – Città del Vaticano

E’ stato mons. Paolo Rudelli, inviato speciale della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, lo scorso 15 gennaio, a depositare gli strumenti di adesione della Santa Sede, a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, alla Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate, del 21 marzo 1983, e al Protocollo addizionale del 18 dicembre 1997. A norma dell’articolo 18, paragrafo 3, della Convenzione, e dell’articolo 4, paragrafo 3, del Protocollo addizionale del 1997, si apprende oggi, questi due accordi entreranno in vigore per lo Stato della Città del Vaticano il prossimo primo maggio.

Nello stesso atto, il presule ha depositato lo strumento di ratifica della Santa Sede del Protocollo di emendamento del Protocollo addizionale alla Convenzione sul trasferimento dei condannati, del 22 novembre 2017. Quest’ultimo accordo, invece, entrerà in vigore una volta che saranno adempiute le condizioni previste all’articolo 4 dello stesso Protocollo.

Nell’esprimere il consenso dello Stato della Città del Vaticano ad essere vincolato da questi Trattati, la Santa Sede ha formulato sei dichiarazioni interpretative, che fanno parte integrale dei rispettivi strumenti di adesione e di ratifica.

Trasferimento delle persone condannate

Quando si parla di trasferimento delle persone condannate si intende la procedura in base alla quale un condannato che sta già scontando la pena in un Paese viene trasferito in un altro Paese, generalmente quello d’origine, per terminare l’esecuzione della pena. Tale sistema opera su un piano diverso rispetto all’estradizione e agli altri strumenti di cooperazione giudiziaria: ha, infatti, finalità prevalentemente di carattere umanitario, nel senso che mira a favorire, in determinati casi, il reinserimento sociale delle persone condannate avvicinandole al loro Paese d’origine. In tal modo è possibile superare tutte quelle difficoltà che, su un piano umano, sociale e culturale, oltre che per l’assenza di contatti con i familiari, possono derivare dall’esecuzione della pena in un Paese straniero. In tale prospettiva, risulta evidente la necessità del consenso della persona interessata, dalla quale, nella maggior parte dei casi, partirà l'impulso che mette in moto la procedura, diversamente da quanto avviene generalmente nelle procedure estradizionali o di consegna, che prescindono dal consenso dell'interessato.

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12 aprile 2019, 12:01