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150 anni del Bambino Gesù: una storia di carità e scienza

Nell'anniversario della fondazione del più antico ospedale pediatrico italiano, ripercorriamo la storia che lo ha condotto a diventare un polo d'eccellenza nel mondo e ascoltiamo la testimonianza di chi ci ha lavorato e ha colto l'amore, la professionalità e l'attenzione all'essere umano che lo caratterizza

Gabriella Ceraso - Città del Vaticano

Era il 19 marzo del 1869 quando a Roma, in una piccola stanza in via delle Zoccolette, a due passi dal Tevere, quattro bambine venivano affidate alla cura di due medici e delle suore Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli. Nasceva così il primo nucleo dell'Ospedale - oggi polo d'eccellenza nella qualità e nella complessità delle cure pediatriche - intitolato al Bambino Gesù per espressa concessione di papa Pio IX che scriverà sul documento conservato nell'archivio storico dell'ospedale: "Dio benedica il buon pensiero, lo consolidi e perfezioni". 150 anni fa per la città di Roma si trattò di una rivoluzione perchè, come nel resto d'Italia, i piccoli malati venivano spesso ricoverati senza attenzione particolare e si ritrovavano nelle corsie insieme agli adulti.

La carità e l'amore per i più bisognosi

Tutto ha avuto origine dalla generosità dei duchi Salviati, Arabella e Alessandro, e dal salvadanaio di famiglia che ha iniziato a raccogliere i risparmi dei figli della giovane coppia, per regalare alla mamma l'ospedale che sognava, dedicato ai bimbi romani più poveri. Da allora è stata una gara di solidarietà almeno per vent'anni, tra donazioni private e raccolte nelle parrocchie romane e tante vicende storiche si sono intrecciate con la passione e l'amore per i bisognosi.  Da quattro letti nel 1896, col trasferimento della struttura sul Gianicolo, a inizio "900,nei nuovi padiglioni si effettuano oltre mille ricoveri e in più a Santa Marinella, sul litorale romano, grazie alla donazione della colonia appartenuta alla Regina Elena di Savoia si apre un nuovo spazio dedicato ai bambini malati di tubercolosi ossea.

I Papi e l'ospedale

E' dal 1924 poi che la storia dell'ospedale si unisce profondamente a quella dei Papi, da quando cioè la preoccupazione di dare futuro e stabilità al loro sogno, spinge la famiglia Salviati a donare la struttura al Papa Pio XI: da quel momento diventerà "L'ospedale del Papa".

Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e poi Benedetto XVI e Francesco: la presenza dei pontefici è andata negli anni di pari passo con l'ampliamento e l'incrementarsi della natura dell'ospedale quale polo di ricerca. Nascono le sedi di Palidoro - 1978 - con una specialistica inziale di assistenza a casi di poliomelite o paralisi spastica; la sede di San Paolo - 2012- mentre l'ospedale arriva ad ottenere il riconoscimento di Istituto di Ricovero e Cura a carattere Scientifico (IRCCS) cui segue quello della Joint Commission international, garanzia degli elevati standard scientifici. ma tutto questo serve solo per "diventare dono per gli altri"- spiega in occasione dell'anniversario a Vatican News la presidente Mariella Enoc. La "ricchezza dell'ospedale è il sapere" - ci dice -  non andiamo nel mondo per costruire ospedali, non siamo una Ong - tranne l'esperienza di Bangui in Centrafrica nata per volere di Papa Francesco  - ma facciamo collaborazione, formazione e progetti nei luoghi più lontani".

Ascolta l'intervista a Mariella Enoc

Al centro i bambini e le famiglie

Certo oggi come ieri lo sguardo resta rivolto al futuro, con ampliamenti previsti e obiettivi di ricerca che puntano ai trapianti, alle staminali, all'ambito immunologico e genetico. Ma la ricerca non è mai fine a se stessa, ha sempre al centro la persona, il bambino. L'Ospedale " ha avuto una storia di amore, carità, attenzione e anche di ricerca," racconta ancora Mariella Enoc, infaticabile ambasciatrice nel mondo del "saper guarire" che cresce tra le corsie. "Al centro della nostra attenzione però resta il bambino e la sua famiglia, papà, mamma, nonni e soprattutto i fratelli. Quello che ripeto ai medici sempre è che non mettano un tempo per fare le visite perchè la relazione fa parte del percorso di cura; che si dedichino tanto all'ascolto così importante nei momenti di difficoltà". 

La fede tra le corsie

"Nell'ospedale si respira una grande aria di fede e di speranza". Non ci sono differenze di Credo e di religione, al Bambino Gesù tutti trovano accoglienza, ma nelle parole di Mariella Enoc è forte la traccia lasciata, parlando di fede, dai genitori dei bambini ricoverati, che, anche davanti ai dolori più grandi, sanno reagire con positività. "Mi è capitato", racconta, "di essere  stata vicino ad una mamma e un papà la cui bambina stava morendo tra le loro braccia. Quando abbiamo capito che non aveva più vita, mi sono avvicinata alla mamma e le ho ho chiesto perdono perchè l'ospedale aveva fallito. E lei tenendola ancora in braccio mi ha risposto  che mi sbagliavo perchè sua figlia aveva avuto tanto amore e tanta dignità". 

L'ospedale e la speranza

Tra i testimoni della speranza che si respira e si vive nell'ospedale c'è Daniele Mencarelli oggi poeta, padre e autore Rai. Lui all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesú di Roma ha lavorato dal 1999 al 2000 poco più che ventenne, come addetto alle pulizie, e ne ha raccontato storie, volti, e incontri indimenticabili anche in forme poetiche forti, vincendo premi e raccogliendo numerosi riconoscimenti.

Ascolta l'intervista a Daniele Mencarelli

A Vatican News parla di come quel luogo ha saputo trasformare il ragazzo che era, incapace di vivere e senza contatto con la realtà e che aveva imboccato un percorso di autodistruzione, in un uomo e in un poeta maturo. Un Ospedale che lo ha “ imbevuto di vita”, che , come una “ trincea, un abisso di dolore" ha spalancato davanti ai suoi occhi inaspettatamente una “quantità enorme di gesti di amore” che gli hanno restituito la speranza. La speranza che l'amore, la condivisione, la vicinanza vincono sul dolore: "tutti sono fratelli nel dolore e questo -  dice Mencarelli - è ancor più tangibile in un ospedale dedicato ai bambini".

“All'Ospedale Bambino Gesù sono accolti tutti, nulla è dato per scontato e soprattutto prima del paziente c'è la persona e il suo bisogno di sponde umane”

Nelle poesie dedicate al nosocomio romano che compie 150 anni, ci sono “ corpi scarniti”, tubi trasparenti”, dolore urlato, odore di formalina, ma c’è anche spazio per il gioco, le risate, il canto. Come è possibile? "Perché l’ho sperimentato -afferma - ho visto bambini in condizioni di gravissima malattia aver bisogno di ridere e giocare e al Bambino Gesù la sciagura del dolore che si incontra nelle corsie e nei padiglioni è visibile ma anche la gioia e la voglia di vivere non viene mai meno, quella che i bambini riescono ad avere comunque, nonostante le loro sofferenze”.

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19 marzo 2019, 08:00