Terza relazione assemblea tutela minori Dr. Valentina Alazraki Terza relazione assemblea tutela minori Dr. Valentina Alazraki  

Valentina Alazraki: più trasparenza nella comunicazione su abusi

Ruota sulla necessità di una comunicazione trasparente e tempestiva l’ultima relazione di questo Incontro sulla protezione dei minori, tenuta oggi pomeriggio dalla giornalista messicana Valentina Alazraki che offre anche uno sguardo come madre. A seguire la Celebrazione penitenziale che chiude questa terza giornata di lavori

Debora Donnini – Città del Vaticano

Una comunicazione trasparente è indispensabile per combattere gli abusi sessuali sui minori da parte di uomini di Chiesa. E’ il cuore della riflessione di Valentina Alazraki, giornalista messicana, corrispondente in Vaticano di Televisa da quasi 45 anni, quindi fin dalla fine del pontificato di Paolo VI. “Comunicazione: per tutte le persone” è il tema della relazione che, con uno sguardo di madre e di giornalista, offre anche consigli pratici su questo fronte: chiede che si punti alla trasparenza e alla rapidità nelle informazioni, a prendere l’iniziativa, ad imparare dagli errori del passato, e in sostanza ad una sorta di alleanza con i giornalisti. La sua speranza, al termine di questo Incontro, è che “non ci evitiate”, dice, ma “ci cerchiate”: “non siamo noi i lupi feroci”, ma, al contrario, “possiamo unire le nostre forze contro i veri lupi”.

Come giornalista e madre

La Alazraki non offre solo una riflessione come rappresentante dei giornalisti ma anche delle madri, delle famiglie e della società civile. “Ad un primo sguardo - dice - c’è poco in comune tra voi, vescovi e cardinali, e me, una donna laica, senza incarichi nella Chiesa, e per di più giornalista”. “Eppure condividiamo qualcosa di molto forte: tutti abbiamo una madre, tutti siamo qui perché una donna ci ha generati. Rispetto a voi, io ho forse un privilegio in più: sono prima di tutto una mamma”.

Si parte dalla maternità

Ed è proprio dall’esperienza della maternità che la Alazraki sviluppa l’argomento che le è stato affidato, cioè come la Chiesa dovrebbe comunicare sul tema degli abusi.  Parole che ricordano quanto ha detto ieri il Papa dopo la relazione di Linda Ghisoni, sull’importanza di ripensare la Chiesa con le categorie e lo stile della donna. Dalla Chiesa come madre parte infatti la sua relazione, che è la terza di una donna e l’ultima di questo Incontro sulla protezione dei minori.  Per una madre infatti non ci sono figli di prima o seconda classe, ma figli più forti e figli più vulnerabili, ai quali una madre si dedica di più, pur amandoli tutti allo stesso modo. Così dovrebbe essere per la Chiesa: “i suoi figli apparentemente più importanti”, come vescovi e cardinali non lo sono di più di qualsiasi altro “che abbia vissuto la tragedia di essere vittima di abuso da parte di un sacerdote”, afferma. Quindi, di fronte a “condotte delittuose come gli abusi sui minori”, non c’è altra via per la Chiesa se non quella di stare dalla parte della vittima.

Alleati contro gli abusi

Per i giornalisti, le madri e l’intera società, gli abusi sono uno dei principali motivi di angoscia, “uno dei crimini più abominevoli”. Sono quindi forti le domande che la giornalista messicana rivolge. “Chiedetevi: siete nemici di quanti commettono abusi o li coprono tanto quanto lo siamo noi?”. “Possiamo essere alleati, non nemici”, “ma - sostiene - se voi non vi decidete in modo radicale a stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad avere paura di noi, perché noi giornalisti, che vogliamo il bene comune, saremo i vostri peggiori nemici”.

Più si copre, maggiore lo scandalo

La giornalista racconta di aver sentito dire, molte volte, che lo scandalo degli abusi sarebbe “un complotto per screditare la Chiesa”, che dietro “ci sono poteri occulti per mettere fine a questa istituzione”. I giornalisti - dice - sono consapevoli che ci sono mass media “più o meno dipendenti da certi poteri”, interessi, politici, ideologici o economici ma ritiene che “non si possa in alcun caso colpevolizzare i mass media per aver rivelato gli abusi o informato su di essi”. “Gli abusi contro i minori non sono pettegolezzi né chiacchiere, sono crimini”, ricorda, sottolineando le parole di Benedetto XVI, durante il volo per Lisbona, sul fatto che la più grande persecuzione alla Chiesa non viene da nemici esterni ma interni. Quindi si rimarca che la missione del giornalista è difendere il diritto ad un’informazione basata sulla verità per ottenere giustizia. I giornalisti sanno che “gli abusi non sono circoscritti alla Chiesa”, sanno che sono nelle famiglie, nelle scuole, nel mondo dello sport ma - sottolinea - “dovete capire che con voi dobbiamo essere più rigorosi”, in virtù del ruolo morale che avete. Come, ad esempio, accade se medici e infermieri avvelenano invece di curare i pazienti.

La Alazraki afferma che gli abusi “sono stati coperti in modo sistematico”, ribadisce che abusare di un minore è “tanto spregevole quanto coprire l’abuso”, esortando a prendere coscienza che quanto più si coprono e quanto meno si informano i mass media e quindi l’opinione pubblica, “tanto più grande sarà lo scandalo”.

Comunicare per difendersi da nuovi crimini

“Comunicare è un dovere fondamentale” e se non lo si fa, si diventa complici perché “non fornendo le informazioni che potrebbero evitare che queste persone commettano altri abusi non state dando ai bambini, ai giovani, alle loro famiglie gli strumenti per difendersi da nuovi crimini”. E’ come se con una malattia contagiosa non si avvisassero le persone con cui si entra in contatto. La mancanza di trasparenza viene infatti percepita come nuova violenza verso le vittime. Chi non informa, incoraggia “un clima di sospetto” che provoca “rabbia” e “odio verso l’istituzione”, dice la giornalista che ricorda la sua esperienza nel viaggio di Papa Francesco in Cile lo scorso anno. “Non c’era indifferenza: c’erano indignazione e rabbia per l’occultamento sistematico, per il silenzio, per l’inganno ai fedeli, il dolore delle vittime che per decenni non sono state ascoltate, né credute”, racconta.

Le vittime hanno diritto prima di tutto a sapere cosa è stato fatto per allontanare e punire quanti hanno commesso abusi. Anche se il colpevole potrebbe essere morto, il dolore non si prescrive. E anche se non si può più punire il colpevole, si può consolare la vittima e, inoltre, altre vittime oseranno uscire, e così si favorirà la loro guarigione.

La Chiesa punti su rendere conto e trasparenza

Di fronte a questo scenario, per la Alazraki sarebbe molto più positivo se fosse la Chiesa a dare per prima “l’informazione, “in modo proattivo e non reattivo”. Non bisognerebbe attendere per rispondere a domande della stampa. Nell’epoca attuale con le reti sociali e la facilità di postare foto, audio e video, nascondere un segreto è molto difficile. La sua esortazione è dunque quella di puntare sul rendere conto e sulla trasparenza. La prima a beneficiarne sarà proprio l’istituzione.

Imparare da errori del passato

Per la giornalista messicana “il caso forse più terribile che sia accaduto all’interno della Chiesa” è quello di Marcial Maciel, il fondatore dei Legionari di Cristo, di cui è stata “testimone” dall’inizio alla fine. “Al di là del giudizio morale sui crimini commessi da questa persona”, “vi assicuro - dice - che alla base di quello scandalo, che tanto male ha fatto a migliaia di persone, fino a macchiare la memoria di chi ora è santo”, “c’è stata una comunicazione malata”. E ricorda che “nella Legione c’era un quarto voto secondo il quale se un legionario vedeva qualcosa che non lo convinceva di un superiore, non poteva né criticarlo né tanto meno commentarlo”. “Senza questa censura - sottolinea - senza questo occultamento totale, se ci fosse stata trasparenza, Marciel Maciel non avrebbe potuto abusare per decenni di seminaristi e avere tre o quattro vite, mogli e figli, che sono arrivate ad accusarlo di avere abusato della sua stessa prole”. Per la giornalista questo è il “caso più emblematico di una comunicazione malata” da cui si devono trarre delle lezioni. Dietro la mancanza di una comunicazione trasparente non c’è solo la “paura dello scandalo”, “ma anche - afferma - denaro, assegni, doni, permessi per costruire scuole e università in zone dove magari non si poteva costruire. Parlo di quel che ho visto e indagato a fondo”. La trasparenza dunque “vi aiuterà - dice - a lottare contro la corruzione economica”. Come Papa Francesco ricorda sempre, il diavolo entra dalla tasca.

“Nel processo d’informazione interna, qui in Vaticano, dal basso verso l’alto”, prosegue riferendosi ancora al caso di Maciel, “abbiamo saputo grazie  a vari prelati, a vari nunzi, e io posso testimoniarlo perché me lo hanno raccontato in prima persona”, che ci sono stati “ostacoli ad accedere al papa del momento, una sottovalutazione della gravità delle informazioni o un loro screditamento, come se fossero frutto di ossessioni o fantasie”, racconta dicendo che questo veniva detto a chi voleva informare. Ed è stato grazie “ad alcune vittime coraggiose, ad alcuni giornalisti coraggiosi” e “a un papa coraggioso come Benedetto XVI”, che questo scandalo è stato reso noto e il tumore estirpato. La trasparenza sarà di aiuto anche nel lottare contro la corruzione nel governo. La sua forte esortazione è quindi quella di imparare la lezione e non ricommettere lo stesso errore e così attuare il principio per cui nella Chiesa non ci dovrebbero essere “intoccabili”: tutti siamo responsabili davanti a Dio e davanti agli altri.

Evitare segretezza

Per abbracciare la trasparenza bisogna quindi evitare la segretezza: è come una rete di sicurezza di chi abusa del potere. La giornalista parla anche della sua sensazione che all’interno della Chiesa “ci sia ancora molta resistenza a riconoscere che il problema degli abusi esiste e che occorre affrontarlo con tutti gli strumenti possibili”. La trasparenza ha anche i suoi limiti e infatti la giornalista dice di non pretendere che “ci informiate di qualsiasi accusa ad un sacerdote”. Ci deve essere un’inchiesta previa, ma auspica che si faccia celermente, adeguandosi alla legge del paese in cui si vive “e se è previsto, presentate il caso alla giustizia civile”. E chiede, se l’accusa si dimostra credibile, di “informare sui processi in corso, su ciò che state facendo, dovete dire che avete allontanato il colpevole dalla sua parrocchia o da dove esercitava, dovete dirlo voi, sia nelle diocesi sia in Vaticano”. “A volte, il bollettino della Sala Stampa della Santa Sede informa su una rinuncia senza spiegarne le ragioni” e ci sono sacerdoti che sono andati subito a informare i fedeli che erano malati e che non se ne andavano perché avevano coperto. Quindi auspica che “la notizia della rinuncia di un sacerdote che ha commesso abusi dovrebbe essere data con chiarezza, in modo esplicito”. E, in sostanza, per la giornalista il silenzio è ammesso solo se non pregiudica nessuno.

Ascoltare le vittime

Tre i modi concreti per mettere in pratica la trasparenza. Prima di tutto, bisogna mettere le vittime in primo piano. Non sono “numeri” o “dati di statistica” ma persone a cui è stata rovinata la vita. È quindi importante ascoltare le vittime, come peraltro ha chiesto Papa Francesco, altrimenti se non si è condiviso il loro dolore, non si può parlare di questo tema. Conoscendole, invece, avranno un nome e un volto. Il Papa le incontra regolarmente a Santa Marta, “fatelo anche voi”, chiede la Alazraki.

Lasciarsi consigliare e rapidità nell’informazione

Il secondo suggerimento che offre è di lasciarsi consigliare e che tra i consiglieri ci dovrebbero essere dei comunicatori. La Chiesa dovrebbe avere a tutti i livelli esperti di comunicazione. È poi fondamentale la figura del portavoce che deve avere accesso diretto al vescovo perché in qualsiasi momento ci può essere bisogno di reagire. Infine, chiede una migliore comunicazione e di investire sulla comunicazione: dalla parrocchia fino al Vaticano con strutture forse standardizzate ma agili che offrano, con rapidità, informazioni accurate. La risposta non può essere il no comment o il silenzio perché altrimenti – afferma – “cercheremo le risposte chiedendo ad altri”. Non deve esserci la sensazione che non si voglia rispondere: il silenzio dà la sensazione che le accuse – che possono anche essere false o mezze false – siano vere.  Occorre quindi reagire con velocità perché la cattiva o la scarsa informazione ha causato danni enormi.

In conclusione, la donna ricorda la denuncia fatta dalla rivista femminile dell’Osservatore Romano di abusi sessuali di donne consacrate da parte di sacerdoti. Durante il volo da Abu Dhabi il Papa ha detto che si sta lavorando sul tema. Proprio partire da qui, la giornalista esorta la Chiesa a prendere l’iniziativa, ed essere in prima linea nella denuncia di questi abusi “che non solo sessuali ma anche e prima di tutto di potere”.

Infine, il suo riconoscimento al Papa per aver ringraziato, nel discorso alla Curia, i giornalisti che sono stati onesti e obiettivi e hanno cercato di smascherare i lupi e far udire le voci delle vittime. Al termine della sua intensa relazione, questa terza giornata di lavori si chiude con la Celebrazione penitenziale nella Sala Regia.

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23 febbraio 2019, 18:00