Chiesa del Santissimo Sacramento a Tor de Schiavi, inaugurata a Roma nel 1968 Chiesa del Santissimo Sacramento a Tor de Schiavi, inaugurata a Roma nel 1968 

Le chiese di Roma dal ‘68 ad oggi sotto la lente degli studiosi

Oggi e domani Convegno sul tema “1968-2018 Roma: arte sacra e spazi di culto”. Intervista a Micol Forti, curatrice della Collezione d’Arte contemporanea dei Musei Vaticani, che insieme a Teresa Calvano ha promosso l’evento.

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Oltre 100 le chiese costruite a Roma, nelle nuove aree urbane della capitale, dalla fine degli anni Sessanta ad oggi. Un arco temporale di mezzo secolo attraversato da variegate correnti architettoniche e artistiche, riflesso del pensiero politico, sociale, culturale sovente di frattura con il passato e in cerca di nuove formule espressive, mentre in ambito ecclesiale si sperimentano le novità portate dal Concilio Vaticano II con le prime aperture all’arte contemporanea.

Il Convegno promosso dai Musei vaticani

Su questo scenario si confronteranno per la prima volta studiosi di architettura, di storia dell’arte e di storia della Chiesa in un Convegno promosso e organizzato dai Musei Vaticani, in collaborazione con l’Associazione nazionale degli insegnanti di Storia dell’Arte (Anisa) e il Museo nazionale della Arti del XXI secolo – MAXXI. I lavori sono ospitati nella prima giornata ai Musei Vaticani e nella seconda al Museo MAXXI segno di un fruttuoso scambio tra le due istituzioni su un tema che tocca sia l’ambito ecclesiale e sacro che l’ambito civile urbanistico e artistico.

Architettura, Concilio Vaticano II e '68

Ma quanto ha contato il Concilio Vaticano II e il movimento socio-politico del ’68 nella storia architettonica delle chiese romane? In modo determinante, spiega ai nostri microfoni la curatrice del Convegno, Micol Forti:

Ascolta l'intervista a Micol Forti

R. - È stato un momento assolutamente fondamentale e lo è ancora oggi, prima di tutto perché il Concilio Vaticano II con la riforma liturgica ha gettato le basi per un cambiamento radicale anche dell’assetto dello spazio liturgico e delle opere che devono dargli vita all’interno – appunto – del rito sacro. In secondo luogo, perché si è fatto carico dei grandi cambiamenti sociali e civili, così radicali e così profondi, che alla fine degli anni ‘60 – per noi il ’68 è un anno simbolo, ma sappiamo quanto queste trasformazioni abbiano interessato anche gli anni successivi - sono stati presi in considerazione dal Concilio Vaticano II per cambiare il rapporto fra la Chiesa, i fedeli e i cittadini.

Dal ’68 ad oggi, come premesso anche nella presentazione dell’evento, gli esiti di queste nuove modalità espressive negli edifici di culto non sempre sono stati apprezzati e spesso anche criticati proprio dai fedeli. Il commento più comune che abbiamo sentito tutti noi, abitando a Roma, è stato quello della ‘freddezza’ di questi luoghi sacri

R. – Non è semplice agire in nuove aree urbane con caratteristiche di sviluppo che spesso sono in fieri quando un nuovo edificio di culto viene realizzato e all’interno di un tessuto sociale spesso molto complesso e anche molto contraddittorio. Certo è che il Concilio Vaticano II chiede una nitidezza dello spazio sacro, una riduzione delle immagini, una semplicità complessiva dell’ambiente liturgico, che non favorisce una sovrabbondanza di decorazioni e di particolari di dettagli architettonici a cui noi siamo abituati venendo da una tradizione per Roma prevalentemente barocca.

Dopo 50 anni di questa ‘rivoluzione’ della concezione del sacro nell’edificio di culto c’è anche qualche ripensamento?

R. – Qualche ripensamento sarà assolutamente necessario perché gli attori che agiscono al momento della creazione di una nuova chiesa devono essere tutti più consapevoli, a partire dai vescovi, dal Vicariato a cui il Concilio Vaticano II riconosce il ruolo di formatore sia dei sacerdoti sia degli artisti e di controllore, di giudice di ciò che viene realizzato sia da parte dei parroci, che gestiscono questi spazi e che dovranno accrescere la loro sensibilità per le esigenze linguistiche della cultura contemporanea, sia degli artisti stessi. Questi ultimi, infatti, devono conoscere più approfonditamente la tradizione e la partecipazione del popolo della comunità - a cui lei faceva riferimento - della comunità dei fedeli, ma della comunità sociale tutta, che riconosce ed ha ancora oggi nella chiesa, e soprattutto nelle chiese delle nostre periferie, una presenza fondamentale per rendere più coeso il tessuto sociale. E di questo aspetto bisogna riconoscere che la Chiesa si è sempre fatta carico, dal dopoguerra ad oggi, non lasciando mai soli i territori periferici.

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15 novembre 2018, 13:45