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Grande Guerra. Card. Parolin: la diplomazia vaticana, artefice di pace

Intervenendo al Convegno presso la Pontificia Università Lateranense, a cento anni dalla fine della Grande Guerra, il Segretario di Stato vaticano il cardinale Pietro Parolin ha ricostruito la storia della diplomazia della Santa Sede di fronte alle sfide del mondo nuovo, nato dal conflitto mondiale

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

“Chiara consapevolezza di assistere a sconvolgimenti di inaudita profondità, ma anche l’ottimismo cattolico pronto ad aprirsi ai nuovi cammini”. Il cardinale Segretario di Stato vaticano Pietro Parolin ricorda così il clima che si respirava al termine della Prima Guerra Mondiale. Nel suo intervento al convegno internazionale: “Santa Sede e cattolici nel mondo post bellico (1918-1922)” organizzato dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche, il porporato ha ripercorso le sfide della diplomazia vaticana.

Lavorare per il rispetto dell’uomo

Parlando alla Pontificia Università Lateranense, il card. Parolin ha ricordato che si avverò il presagio di Benedetto XV – “la guerra come suicidio d’Europa” – perché caddero i 4 grandi imperi del tempo: quello tedesco, austro-ungarico, russo e ottomano. Nella maggioranza degli Stati europei – ha affermato – si registrò un “tacito impeto anticattolico e lo sforzo di espellere Dio e la sua Chiesa dallo spazio pubblico e dalle vite degli uomini”. La Chiesa ebbe solo un unico interesse, non nutrendo “alcuna preferenza per particolari forme di Stato o istituzioni civili”, “il rispetto per la dignità della persona umana e per i diritti della coscienza cristiana”. L’intuizione di Benedetto XV fu quella di capire che “i popoli, le nazioni, le grandi comunità sociali” sarebbero stati “i grandi protagonisti della storia”.  

La Chiesa e il mondo nuovo

Era il momento di accogliere il grido del mondo nuovo che stava nascendo e quindi “il forte richiamo alla libertà – ha affermato il card. Parolin - e ai diritti fondamentali dei milioni di uomini in divisa tornati dalle trincee, dei milioni di donne forzate ad assumersi gli obblighi degli uomini assenti”, “di tutti gli uomini sofferenti, fossero essi aristocratici con cognomi storici o gli ultimi tra gli umili”. Il porporato ha così messo in luce l’opera di mediazione e di pace della diplomazia pontificia e “l’ampissima azione umanitaria continuata anche dopo l’armistizio in modo talmente generoso da svuotare le casse pontificie”. Il Papato si stava ricucendo un ruolo internazionale come “autorità morale, pacificatrice” per tutti gli uomini. 

Il primo impegno è la pace

Di fronte all’ipotesi di una nuova libertà ma anche di una possibile tirannide, il Papa creò una fitta rete di diplomatici chiamati a calarsi in scenari nuovi. Si lavorò – ha spiegato il Segretario di Stato vaticano – sempre per la pace, sensibilizzando le grandi potenze al rispetto della giustizia e dell’equità nei rapporti fra gli Stati e i popoli, del naturale principio di nazionalità e delle legittime aspirazioni dei popoli come il giusto accesso ai beni materiali: temi contenuti nella famosa “Nota di pace” di Benedetto XV del primo agosto 1917.  

La diplomazia vaticana e le sfide del tempo

Spesso la Chiesa – ha ricordato Parolin – è stata travolta da critiche, misure vessatorie, perdite di beni e correnti riformiste che nei Paesi boemi causarono la nascita di una Chiesa nazionale. Per il Papa di allora era necessario difendersi dall’impatto laicista e assolvere a nuove sfide come i nuovi bisogni pastorali, il nominare vescovi della nazionalità dei loro fedeli, “la riforma dell’educazione e della formazione del clero nello spirito veramente cattolico”. “La diplomazia vaticana non ebbe il timore nemmeno di entrare in contatto con i rivoluzionari bolscevichi in frac – ha detto il porporato - ed iniziare delle trattative diplomatiche per assicurare la sopravvivenza al cattolicesimo nell’Unione Sovietica”. Trattativa fallita ma che permise di inviare “una missione caritativa” salvando milioni di vite.

Il rafforzamento della diplomazia

“Detto in semplici termini aritmetici, nel settembre 1914, la Santa Sede aveva relazioni con solo 17 Stati, nel gennaio 1922 il numero dei partner diplomatici salì a 27”, tra di loro anche le grandi potenze come Francia e Gran Bretagna che prima della guerra avevano interrotto i rapporti con il Papa. “Di nuovo divenne evidente che, nonostante tutte le nubi all’orizzonte il Signore non cessava di assistere la sua Chiesa”.

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14 novembre 2018, 19:03