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Da Rocha al Sinodo: discernimento, stile ecclesiale per portare frutto

Ieri pomeriggio al Sinodo dei vescovi sui giovani, dopo la preghiera e il discorso del Papa, a prendere la parola è stato prima il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, e poi il cardinale Sergio da Rocha, Relatore generale, che ha illustrato l’Instrumentum laboris nella sua Relazione introduttiva

“Il Sinodo si trasformi in un'occasione di crescita della Chiesa nella capacità di discernere, in modo da rendere davvero generativo, anche oggi, quel patrimonio spirituale che la storia della Chiesa ci consegna perché ancora una volta possiamo elaborarlo in modo che porti frutto”. E’ l’esortazione che il Relatore generale del Sinodo, il cardinale Sérgio da Rocha, ha rivolto ieri pomeriggio, nel corso della prima Congregazione Generale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Servono coraggio, prudenza e pazienza, ha sottolineato perché “optare per il discernimento, anziché per soluzioni preconfezionate dettate dal ‘si è sempre fatto così’, implica l’assunzione del rischio di creare sentieri nuovi”. Il suo auspicio è che “questo Sinodo sia una bella esperienza per ristabilire e riqualificare quelle alleanze intergenerazionali che danno solidità e sicurezza al mondo e alla Chiesa”.

Discernimento

Il suo discorso si è articolato anzitutto sul metodo, che deve essere, appunto, il discernimento. Il Sinodo deve proprio essere vissuto come “un momento di autentico discernimento nello Spirito”. Discernimento, infatti, indica quando una persona o una comunità cercano di riconoscere e accogliere la volontà di Dio nel concreto della loro situazione. Per farlo, bisogna mettersi in ascolto, saper valutare alla luce della fede quanto accade e essere attenti alle persone concrete.

Riconoscere le sfide

Nel percorso del Sinodo, ogni settimana di lavoro sarà concentrata su una delle tre parti dell’ Instrumentum laboris: riconoscere, interpretare e scegliere. La prima tappa durerà una settimana alternando momenti di lavoro insieme (“congregazioni generali”) e lavori in gruppi più ristretti (“circoli minori”),  e si rifletterà sulla «Prima parte» dell’ Instrumentum laboris, caratterizzata appunto dal verbo “riconoscere”. Questo significa “mettersi di fronte alla realtà non per un’analisi sociologica, ma con lo sguardo del discepolo, scrutando le orme e le tracce del passaggio del Signore con un atteggiamento aperto e accogliente”. Per chi desidera accompagnare i giovani verso la vita in pienezza, “è imprescindibile conoscere le realtà che essi vivono, a partire da quelle più dolorose come il disagio, la guerra, il carcere, le migrazioni e tutti gli altri tipi di povertà”, ribadisce il porporato brasiliano, mettendo in rilievo come sia ugualmente necessario “lasciarsi interpellare dalle loro inquietudini, anche quando mettono in questione le prassi della Chiesa (ad esempio la vivacità della liturgia o il ruolo della donna) o riguardano questioni complesse come l’affettività e la sessualità. Altrettanto importante è prendere consapevolezza dei punti di forza della presenza della Chiesa nel mondo giovanile, e delle sue debolezze, a partire dalla scarsa familiarità con la cultura digitale”.

Interpretare alla luce della fede

La seconda tappa sarà segnata dal verbo "interpretare". Centrale sarà andare in profondità per leggere, alla luce della fede, ciò che si è riconosciuto nella concretezza dell’analisi della prima parte. Serve per questo fare riferimento al sapere biblico e antropologico, teologico ed ecclesiologico, spirituale e pedagogico per offrire criteri autentici in grado di interpretare.

Scelte coraggiose di rinnovamento

La terza tappa del cammino si concentrerà sula parola "scegliere": un invito per “la Chiesa intera a compiere delle scelte di cambiamento all’interno di un orizzonte di vitalità spirituale”. “La prospettiva - evidenzia - è quella integrale tracciata dal magistero di Papa Francesco, capace di articolare le diverse dimensioni dell’essere umano, la cura della casa comune, la sollecitudine contro ogni emarginazione, la collaborazione e il dialogo come metodo per la costruzione del popolo di Dio e la promozione del bene comune”.

Il cardinale da Rocha si concentra, poi, su altre parole decisive sulle quali ci si confronterà in questo percorso: giovani, fede, vocazione. E in particolare mette in guardia dall’ideologia del “self-made man” così come da visioni fatalistiche che vedono la vita determinata dal destino o frutto del caso. E’ fondamentale, invece, riguadagnare “un’interpretazione vocazionale dell’esistenza umana”, perché la vocazione è il fulcro di integrazione di tutte le dimensioni della persona. E’ proprio in questo orizzonte di “cultura vocazionale” che trova senso l’impegno specifico per la cura delle vocazioni sacerdotali e alla vita consacrata, da intendersi dunque non nella logica del privilegio o del potere ma del servizio da offrire. Bisogna, infine, interrogarsi anche sul volto della comunità e della Chiesa che si sta offrendo ai giovani e, prima di tutto, mettersi in ascolto di Dio.

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04 ottobre 2018, 08:00