Immagine di acque marine Immagine di acque marine 

Nuove regole per tutelare e sfruttare le risorse del mare

Gli Stati siano obbligati a condividere la responsabilità dell’impatto ambientale delle loro attività scientifiche e commerciali e a prevenire i rischi di possibili danni all’ecosistema nelle zone marine extra territoriali: la richiesta di mons. Bernardito Auza all’Onu

Roberta Gisotti – Città del Vaticano

Cambiare la prospettiva “basata sui diritti” in una prospettiva “basata sulla responsabilità”. E’ questo il nodo della questione nell’affrontare il futuro sviluppo delle risorse del mare, messo in evidenza da mons. Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, nel suo intervento alla Conferenza intergovernativa - aperta ieri a New York – finalizzata a trovare un accordo giuridicamente vincolante per l’uso sostenibile della biodiversità marina fuori dalle acque territoriali, in base alla Convenzione internazionale sul diritto del mare.

Una strategia a lungo termine

Data l’importanza del diritto su scala globale per fermare la distruzione della Terra, come sottolineato dal Papa nell’enciclica Laudato sì, la Santa Sede ritiene – ha premesso il rappresentante vaticano – che nuove regole per proteggere l’ambiente siano “non solo un imperativo morale ma una soluzione vitale per una situazione terribile, che richiede un’azione immediata”. “Per raggiungere  i nostri obiettivi condivisi di conservazione ed uso sostenibile delle biodiversità marina, – ha spiegato mons. Auza - è necessaria una strategia a lungo temine per un sano rinnovamento e sviluppo degli oceani.”

L’accordo che riguarderà attività scientifiche e commerciali dovrà – ha suggerito il rappresentante vaticano – “non solo colmare le lacune del presente quadro normativo e non compromettere le esistenti strutture zonali, settoriali e regionali, ma evitare la necessità di rinegoziare un accordo globale ogni volta che venga scoperta una nuova risorsa o una diversa attività commerciale venga svolta in acque extraterritoriali.”

Un approccio pratico

Da qui la proposta dell’arcivescovo Auza di un “approccio pratico” che dovrebbe includere sei aspetti. Anzitutto che l’attenzione ai nostri oceani e alle numerose forme di vita sia al centro di ogni dibattito sulle risorse e i benefici economici e comporti degli obblighi per gli Stati e i loro cittadini. Quindi distinguere i due mandati di conservazione ed uso sostenibile e promuovere poi la cooperazione tecnologica e le ricerche sulle risorse oceaniche, in particolare sull’acqua, per avere indicazioni utili allo sviluppo sostenibile, accedendo ai relativi finanziamenti, inquadrando migliori licenze e concetti commerciali. Distinguere anche le risorse con valore economico immediato come i minerali da quelle con valore potenziale come il vento e l’energia solare. E, distinguere infine l’accesso, ad esempio per scopi di ricerca scientifica marina o della navigazione, che dovrà essere solo controllato, e l’uso che dovrà essere pienamente regolamentato. Obbligare gli Stati ad effettuare non solo valutazioni d’impatto ambientale ma anche del danno probabile, attivando misure di prevenzione dei rischi, in aree che sono lontane dalle loro coste.

La difesa della vita in prima linea

“Il bisogno di risorse dell’umanità suggerisce” – ha concluso l’osservatore vaticano – che la ‘blu economy’ (basata modelli di business in grado di conciliare sostenibilità ambientale e redditività imprenditoriale) “è pronta per una crescita epocale. E’ nostro compito – ha detto – anticipare questi cambiamenti. Dare priorità alla vita in tutte le sue forme e porre la nostra casa comune in prima linea.”

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05 settembre 2018, 14:40