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San Giustino de Jacobis, della Congregazione della Missione, vescovo in Abissinia

San Giustino de Jacobis San Giustino de Jacobis  (Joachim Schäfer - Ökumenisches Heiligenlexikon)

Chiamato l’“apostolo dell'Etiopia”, Giustino de Jacobis è innanzitutto un religioso della Congregazione della Missione, l’uomo che “in una regione assai lontana dalla terra natale” si fece “messaggero del Vangelo di Cristo”. Così Paolo VI tratteggia la figura di questo vescovo vissuto nel 1800, durante la cerimonia di canonizzazione - il 26 ottobre 1975 - aggiungendo al contempo altri caratteri del Santo conosciuto proprio come il “padre della Chiesa d'Etiopia”: “la piena corrispondenza al mandato missionario”, “la costante preoccupazione di formare il clero indigeno”, “l'azione ecumenica”.

La vocazione

Nato a San Fele, provincia di Potenza, il 9 ottobre 1800, ancora bambino si trasferisce a Napoli con la famiglia. È qui che un padre carmelitano nel 1818 intuisce la vocazione del giovane Giustino, indirizzandolo verso la comunità dei missionari vincenziani. Trasferitosi in Puglia, il 18 giugno 1824, nella cattedrale di Brindisi è ordinato sacerdote. Nel 1836 rientra a Napoli. Durante un'epidemia di colera il sacerdote si dedica senza riserve ai malati della città.

La missione vincenziana

Due anni più tardi i vincenziani avviano una missione ad Adua, in Etiopia, dove padre Giustino giunge il 13 ottobre 1839: assume la responsabilità della regione del Tigrè erigendovi, così, la prima vera missione col titolo di Vicariato d'Abissinia. Nel tempo viene affiancato da due confratelli italiani, a cui si aggiunge il monaco etiopico Ghébré Michael, convertitosi al cattolicesimo e proclamato Beato nel 1926. Stessa conversione compiono circa cinquemila indigeni. Per preparare i sacerdoti locali Giustino fonda un seminario, chiamato il “Collegio dell'Immacolata”. Nascono poi altri centri missionari a Gondar, Enticciò, Guala. L'8 gennaio 1849 viene consacrato vescovo titolare di Nilopoli. In seguito alla persecuzione del negus Teodoro, avverrà il martirio del primo sacerdote indigeno, proprio l’abba Ghébré Michael, nel 1855, seguito dall'esilio del vescovo de Jacobis e la sua morte il 31 luglio 1860, a Eidale, in Eritrea.