San Cirillo, vescovo di Gerusalemme e dottore della Chiesa

San Cirillo di Gerusalemme, sec. XIV San Cirillo di Gerusalemme, sec. XIV 

Sebbene risalgano ai primi secoli del cristianesimo, la testimonianza e le parole chiare e penetranti di Cirillo di Gerusalemme sono ancora di grande attualità. Proclamato Dottore della Chiesa nel 1882 da Leone XIII, con i suoi scritti ha infatti ispirato due importanti costituzioni dogmatiche del Concilio Vaticano II: la Lumen Gentium, sulla Chiesa, e la Dei Verbum, sulla Rivelazione Divina. L’esigenza di formare il popolo alla verità orienta costantemente l’agire e l’opera pastorale di questo Santo.

Le catechesi sull’iniziazione cristiana

Nasce probabilmente a Gerusalemme nel 315, all’inizio dell’età costantiniana, quando il cristianesimo è appena uscito dalla clandestinità divenendo religione ufficiale. Riceve la fede dai genitori. Fin da giovane pratica l’ascesi, vivendo povertà e celibato. Trentenne, viene ordinato sacerdote e da subito si dedica alla preparazione dei catecumeni al Sacramento del Battesimo. Sono di questi anni le celebri 24 catechesi, all’interno delle quali egli riversa l’ottima formazione letteraria incentrata sullo studio della Bibbia. Il rigore dottrinale unito all’innata capacità di trasmettere concetti metafisici attraverso un linguaggio semplice ed evocativo non passano inosservati, tanto che intorno al 348 viene consacrato vescovo di Gerusalemme, succedendo a Massimo.

In lotta contro le eresie

Come vescovo Cirillo si distingue subito per l’attitudine pacifica e la capacità di mediazione, virtù che tuttavia non attenuano la ferma azione contro la divisione della comunità, l’eresia e il malcostume. Difende la purezza della fede, incoraggiando un rinnovamento spirituale. La Chiesa all’epoca è infatti attraversata da correnti eretiche e imperversano forti contrasti teologici con gli ariani. Sebbene Cirillo venga da alcuni ricordato come vicino, soprattutto in età giovanile, alle tesi ariane, nella disputa cristologica egli abbraccia risolutamente il simbolo niceno proclamato dal primo Concilio Ecumenico di Nicea.

Il contrasto con gli ariani e i tre esili

Questa presa di posizione gli procura l’inimicizia degli ariani i quali negando a Gesù Cristo l’uguale divinità del Padre, non possono accettare la ferma difesa da parte di Cirillo della consustanzialità. A motivo di ciò è destituito nel 357 proprio dal vescovo che lo aveva consacrato nove anni prima, Acaio di Cesarea di Palestina: questi, accusando Cirillo di errori dottrinali, pretende che la sede di Gerusalemme sia sottoposta a quella di Cesarea. Dopo un concilio episcopale, nel 359 Cirillo viene riabilitato ma è cacciato una seconda volta a causa delle pressioni di Acaio sull’imperatore filo-ariano Costanzo. Alla morte del sovrano, il presule di Gerusalemme torna in carica, ma solo per poco: anche l’imperatore Valente gli è ostile e lo condanna all’esilio dal 367 al 378.

“Portatori di Cristo”

Al termine di questo lungo periodo il vescovo, grazie al favore di Teodosio, può finalmente e stabilmente tornare a sedere sulla cattedra di Gerusalemme e nel 381 prende parte al secondo Concilio ecumenico di Costantinopoli dove sottoscrive il simbolo niceano-costantinopolitano. Il cristiano è, secondo Cirillo, “portatore di Cristo” e il catechista deve far riecheggiare attraverso la sua voce la Parola di Dio: questa è la missione che ha svolto e continua a svolgere anche oggi il Santo vescovo di Gerusalemme, svelando alla comunità ecclesiale la bellezza dei Sacramenti e dei fondamenti della fede cattolica.