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Un momento della preghiera ecumenica con i migranti nella chiesa di Santa Croce (3 dicembre 2021) Un momento della preghiera ecumenica con i migranti nella chiesa di Santa Croce (3 dicembre 2021)

Migranti, Pizzaballa: il futuro dell'Europa si decide nel Mediterraneo

L'ultimo atto della visita apostolica di Papa Francesco a Cipro, la preghiera ecumenica con i migranti, si è aperta con il saluto del patriarca dei Latini di Gerusalemme e con le testimonianze di un membro della Caritas locale e quelle di quattro giovani migranti

Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano

Prima della conclusione del pellegrinaggio di Papa Francesco a Cipro, lo sguardo si distende verso i drammi del Mediterraneo, verso i drammi di famiglie e persone, provenienti da diversi Paesi, che hanno lasciato le loro case in cerca di migliori condizioni di vita.
 

Pizzaballa: il futuro dell'Europa si decide nel Mediterraneo

“Primo fra tutti - ricorda il Patriarca dei Latini di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, accogliendo Papa Francesco nella Chiesa della Santa Croce a Nicosia - quello delle migliaia di famiglie di rifugiati e migranti”. Persone in fuga da guerra e miseria e che si fermano a Cipro “senza vie di uscita, senza chiare prospettive per il loro futuro”. “Il dramma di queste persone che “non possono rimanere invisibili” ci ricorda che il fenomeno delle migrazioni richiede “risposte globali”. “Il futuro dell’Europa - spiega il Patriarca Pizzaballa - si decide nel Mediterraneo, dove non passano solo le fonti di energia e di ricchezza, ma anche le risorse umane, persone e popolazioni, con le quali ci si dovrà confrontare”. E senza le quali “non ci sarà sviluppo, né futuro”. I modelli sociali, economici e di sviluppo “richiedono un ripensamento”. La Chiesa, conclude il Patriarca latino di Gerusalemme, non è in grado “di influire su questi enormi processi, ma può dare ascolto alla voce di queste persone, dare loro un volto e un nome”. “Non possiamo ignorare. Non possiamo tacere”.

La sfida dell’accoglienza

Dopo monsignor Pizzaballa, Elizabeth Chrysantou, membro del Consiglio di Caritas Cipro, ripercorre la storia dell’isola e gli sforzi compiuti per aiutare le persone più fragili. Ricorda che tra le priorità di Caritas Cipro c’è quella di “dare voce a chi altrimenti non sarebbe ascoltato, in particolare a coloro che sono stati colpiti dagli eventi che hanno diviso l’Isola nel 1974”. In questo periodo “Cipro accoglie più richiedenti asilo di qualsiasi altro Paese dell’Unione europea”. Caritas Cipro, aggiunge, cerca di “rispondere alla sfida dell’accoglienza”: sull’isola sono arrivate in cerca di rifugio “persone che fuggono dalle diverse crisi del Libano, del Medio Oriente e in regioni ancora più lontane”. “Molti hanno sperimentato la violenza, l’inganno e le privazioni”. E, come tutti - sottolinea Elizabeth Chrysantou - hanno dovuto affrontare “la pandemia lontani da casa, senza alcuna certezza e sempre emarginati”.

Le testimonianze di 4 giovani migranti

Dopo il membro di Caritas Cipro, si sono alternate le testimonianze di quattro giovani migranti. La prima è Rozh, irachena, che lontana dalla sua casa, dalla sua famiglia, dal suo villaggio e dal suo Paese, si scontra con delle domande che “non hanno lo scopo di ferire, ma si sentono come dei colpi”: chi sei? Perché sei qui? Qual è il tuo status? Pensi di rimanere? Dove andrai? “Ogni giorno devo ridurre tutto ciò che posso essere, o che spero di essere, o che voglio diventare, in un segno di spunta accanto a una casella su un modulo”: straniero, vittima, richiedente asilo, rifugiato, migrante.  

Si definisce invece “una persona ferita dall’odio”, Maccolins, del Camerun. Odio che assume diverse forme, alcune “orribili”: quello che mutila, uccide, rompe le ossa agli altri, che porta a piantare mine nel terreno, che si concretizza anche nella noncuranza e nell’incuria di chi appicca incendi, distrugge le foreste, inquina l’acqua di cui si ha bisogno per dissetarsi. “L’odio, una volta sperimentato, non può essere dimenticato. Mi ha cambiato; ci cambia”, dice il giovane.

Di violenza, bombe, coltelli, fame, dolore, parla anche Thamara, fuggita dallo Sri Lanka in un camion, nascosta nei bagagliai delle auto, gettata in barche fatiscenti: “Ingannata, sfruttata, dimenticata”. Ma nel suo viaggio c’è sempre stata la speranza “di raggiungere una nuova destinazione. Un luogo di sicurezza e salute, che offrisse libertà e scelte, un luogo dove poter dare e ricevere amore”.

Mariamie, proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo, che si definisce “una persona piena di sogni”: “Sogno un mondo dove nessuno è costretto a combattere, ad arrendersi, a fuggire o a piangere (tranne forse per la gioia). Un mondo dove nessuno viene strappato dal suo letto nel buio della notte lasciandosi dietro i giocattoli preferiti, abbandonando tutto per scappare. Sogno un mondo di pace - dice la ragazza - in cui i Paesi non combattano tra di loro e che le persone di uno stesso Paese non si facciano del male tra di loro, negandosi reciprocamente la libertà o i diritti umani”. 

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03 dicembre 2021, 15:30