Francesco: l’inculturazione del Vangelo rispetta i popoli, non si impone

Nella catechesi dell’udienza generale di oggi, l’undicesima dedicata alla Lettera di san Paolo ai Galati, il Papa ha sottolineato che la libertà donata dal Cristo risorto non entra in conflitto con le culture e le tradizioni. E che la tentazione dell’uniformità, di “un solo modello culturale”, ha provocato tanti “errori nell’ evangelizzazione”

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

La libertà dal peccato e dalla morte, che la passione e risurrezione di Gesù ci hanno donato, “non entra in conflitto con le culture, con le tradizioni che abbiamo ricevuto”, ma anzi “immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo”. C’è tutto il dono e la forza dell’inculturazione del Vangelo nelle parole di Papa Francesco nella catechesi di questa mattina, in aula Paolo VI, l’undicesima dedicata alla Lettera ai Galati di san Paolo. Un’ inculturazione grazie alla quale “il Vangelo prende la cultura nella quale vive la comunità cristiana e parla di Cristo, ma con quella cultura”. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Gli errori nella storia dell’evangelizzazione

Ma non è facile, sottolinea Francesco “essere capaci di annunciare la Buona Notizia di Cristo Salvatore rispettando ciò che di buono e di vero esiste nelle culture”. E ricorda i tanti errori “compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale”, perché l’uniformità non è cristiana, l’unità sì. E questo ha privato la Chiesa “della ricchezza di tante espressioni locali che portano con sé la tradizione culturale di intere popolazioni”.

I fondamentalisti contro san Paolo

Il Pontefice esordisce ricordando che per San Paolo siamo liberi “perché liberati gratuitamente” per grazia, dall’amore di Gesù Cristo che è morto e risorto per noi. E questa novità di vita ci deve aprire “ad accogliere ogni popolo e cultura” e nello stesso tempo deve aprire “ogni popolo e cultura a una libertà più grande”. L’Apostolo delle Genti infatti scrive, nella Lettera ad Galati, che “per chi aderisce a Cristo non conta più essere giudeo o pagano. Conta solo ‘la fede che si rende operosa per mezzo della carità’ ”.

I detrattori di Paolo, questi fondamentalisti che erano arrivati lì, lo attaccavano per questa novità, sostenendo che egli avesse preso questa posizione per opportunismo pastorale, cioè per “piacere a tutti”, minimizzando le esigenze ricevute dalla sua più stretta tradizione religiosa. Lo stesso discorso dei fondamentalisti di oggi, no? La storia si ripete sempre. Come si vede, la critica nei confronti di ogni novità evangelica non è solo dei nostri giorni, ma ha una lunga storia alle spalle.

Paolo non vuol piacere a tutti, ma servire Cristo

Paolo, sottolinea Papa Francesco, risponde con coraggio a queste critiche dei “fondamentalisti”, ricordando che non cerca il consenso degli uomini, ma quello di Dio, perché “Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo”. Anche ai Tessalonicesi l’apostolo aveva detto di non aver mai usato “parole di adulazione” né aver “cercato la gloria umana”, che sono le strade del “far finta di”, commenta il Papa, “una fede che non è fede, è mondanità”. E sintetizza così il pensiero di Paolo “di una profondità ispirata”.

Accogliere la fede comporta per lui rinunciare non al cuore delle culture e delle tradizioni, ma solo a ciò che può ostacolare la novità e la purezza del Vangelo. Perché la libertà ottenutaci dalla morte e risurrezione del Signore non entra in conflitto con le culture, con le tradizioni che abbiamo ricevuto, ma anzi immette in esse una libertà nuova, una novità liberante, quella del Vangelo.

Innestati nelle nostre culture, aperti all’universalismo della fede

Infatti, prosegue Francesco “la liberazione ottenuta con il battesimo”, ci permette “di acquisire la piena dignità di figli di Dio”, e quindi, mentre “rimaniamo ben innestati nelle nostre radici culturali”, al tempo stesso “ci apriamo all’universalismo della fede che entra in ogni cultura, ne riconosce i germi di verità presenti e li sviluppa portando a pienezza il bene contenuto in esse”. Se accettiamo “che noi siamo stati liberati da Cristo”, dobbiamo  “portare la pienezza anche alle diverse tradizioni di ogni popolo”.

Parlare di Cristo con le culture del mondo

Quindi, sottolinea il Pontefice il vero senso dell’inculturazione del Vangelo, è che  “il Vangelo prende la cultura nella quale vive la comunità cristiana e parla di Cristo, ma con quella cultura”. Ma saper evangelizzare “rispettando ciò che di buono e di vero esiste nelle culture” non è facile. Perché “Sono tante le tentazioni di voler imporre il proprio modello di vita come se fosse il più evoluto e il più appetibile”.

Quanti errori sono stati compiuti nella storia dell’evangelizzazione volendo imporre un solo modello culturale! L’ uniformità come regola di vita, non è cristiano! L’unità sì, uniformità no! A volte, non si è rinunciato neppure alla violenza pur di far prevalere il proprio punto di vista. Pensiamo alle guerre, no? In questo modo, si è privata la Chiesa della ricchezza di tante espressioni locali che portano con sé la tradizione culturale di intere popolazioni. Ma questo è l’esatto contrario della libertà cristiana!

L’apostolato di padre Ricci, nella cultura del popolo

Papa Francesco fa l’esempio positivo del “modo di fare apostolato in Cina con padre Ricci o nell’India con padre De Nobili” e ricorda la critica di chi diceva che questo apostolato non è cristiano. “Sì, è cristiano – afferma - nella cultura del popolo. Come ricorda il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, Cristo, nella sua incarnazione, “si è unito in certo modo ad ogni uomo”. Da qui, per il Papa, “deriva il dovere di rispettare la provenienza culturale di ogni persona, inserendola in uno spazio di libertà che non sia ristretto da alcuna imposizione dettata da una sola cultura predominante”.

È questo il senso di dirci cattolici, di parlare di Chiesa cattolica: non è una denominazione sociologica per distinguerci da altri cristiani; cattolico è un aggettivo che significa universale. La cattolicità, la universalità. Chiesa universale, cioè cattolica, vuol dire che la Chiesa ha in sé, nella sua stessa natura, l’apertura a tutti i popoli e le culture di ogni tempo, perché Cristo è nato, morto e risorto per tutti.

L’annuncio oggi, nella cultura digitale dei giovani

Francesco ricorda, in conclusione, come la cultura “è per sua stessa natura in continua trasformazione”, e oggi “siamo chiamati ad annunciare il Vangelo” in un momento “di grande cambiamento culturale, dove una tecnologia sempre più avanzata sembra avere il predominio”. Non possiamo certo “pretendere di parlare della fede come si faceva nei secoli passati”, perché “rischieremmo di non essere più compresi dalle nuove generazioni”.

La libertà della fede cristiana non indica una visione statica della vita e della cultura, ma dinamica. Non pretendiamo, pertanto, di avere il possesso della libertà. Abbiamo ricevuto un dono da custodire. Ed è piuttosto la libertà che chiede a ciascuno di essere in un costante cammino, orientati verso la sua pienezza.

Liberati dalla grazia, in cammino vero la pienezza della libertà

Siamo quindi nella “condizione di pellegrini”, viandanti, in un continuo esodo: liberati dalla schiavitù dal dono di Gesù “per camminare verso la pienezza della libertà”. Il Signore ci ha liberato dalla schiavitù gratuitamente, conclude il Pontefice, “e ci ha messo sulla strada per camminare nella piena libertà”.

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13 ottobre 2021, 10:19

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