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Sette anni con Francesco, vicino nel tempo della distanza

Il 13 marzo 2013 Francesco veniva eletto Papa. Tra nuove Esortazioni e Lettere apostoliche, opere di riforma, Sinodo dei Vescovi, viaggi e visite pastorali, va avanti il suo ministero missionario al servizio della Chiesa e dell’umanità

Cecilia Seppia – Città del Vaticano

“Vi chiedo come fratello, rimanete nella pace, vi imploro”. È l’11 aprile del 2019 quando  Francesco sorprende il mondo con un umile e potente gesto. A conclusione del ritiro spirituale per la pace in Sud Sudan, ospitato a Casa Santa Marta e scandito da momenti di preghiera e perdono, il Papa ferma le parole chinandosi davanti al presidente della Repubblica, Salva Kiir Mayardit, e a due dei vicepresidenti designati, Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabio. Visibilmente affaticato, il Pontefice sussurra: “Permettetemi di farlo” e poi si inginocchia per baciare i loro piedi, proprio come, secondo l’esempio di Cristo, farà da lì ad una settimana nella celebrazione del Giovedì Santo.

 

Il Servo dei Servi di Dio indica così ai leader sud-sudanesi la strada da percorrere, quella del servizio, per diventare, una volta deposte le armi, padri di nazione e pastori di un popolo, lacerato dal conflitto, che ha urgente bisogno di riconciliazione. In quest’ultimo anno, dal 13 marzo 2019 al 13 marzo 2020, tra viaggi, udienze e Venerdì della Misericordia, Francesco ci ha sorpreso e commosso ancora con le sue azioni, segno e testimonianza di un pontificato ispirato alla carità: quel “regalo di Dio”, capace di guarire il cuore.

Il soffio della speranza

Così, nella visita a Camerino, comune marchigiano tra quelli del Centro Italia più colpiti dal violento sisma del 2016, quando lo scorso anno, era il 16 giugno, il Papa entra nelle casette dei terremotati, strutture abitative di emergenza che però dopo 4 anni quasi, sono ancora la loro dimora, e abbraccia gli anziani smarriti, riporta ai giovani la speranza e ai cittadini il coraggio di vedere oltre le ferite.

Nel suo viaggio in Africa, dal 4 al 10 settembre scorsi, sono in tantissimi che lo attendono in piazza, negli stadi, per strada, ma è ancora con la tenerezza che il Papa scardina i cerimoniali, quando, visitando a Maputo, l’ospedale di Zimpeto, che accoglie persone affette da HIV/AIDS, incontra gli occhi dei bimbi e delle mamme sieropositive, stringe a sé i malati, accolti nel centro da instancabili “buoni samaritani”, e invita tutti ad ascoltarne il grido, soffiando in ogni modo possibile vita e speranza lì dove abbondano morte e sofferenza.

Evangelizzazione e promozione umana

Ma c’è un altro grido che il Servo dei Servi decide di ascoltare in questo settimo anno di pontificato, carico di gesti capaci di scuotere le coscienze. È quello dei tanti popoli indigeni che abitano la Querida e meravigliosa terra di Amazzonia, polmone del pianeta intaccata oggi dal cancro degli incendi, dello sfruttamento, della criminalità. Lo fa durante il Sinodo dei Vescovi ospitato in Vaticano e apertosi con la Messa in San Pietro del 6 ottobre 2019. Un grande evento ecclesiale per cercare, con fede, nuovi cammini di evangelizzazione, di attenzione ai poveri e agli scartati, di cura del creato.

L’accoglienza di poveri e migranti

La vicinanza del Papa a quelli che hanno più bisogno è bene espressa dalle parole di Elena, 75 anni, romena, che dopo aver perso la sua roulotte in un incendio è stata accolta con altri ospiti a Palazzo Migliori, il nuovo Centro di accoglienza notturno e diurno, realizzato in un antico stabile di proprietà della Santa Sede dal 1930, che il Papa dona ai preferiti di Dio. “Grazie Papa perché sei buono con noi”, dice la donna con gli occhi lucidi, incontrando Francesco il giorno dell’inaugurazione dell’edificio in un Venerdì della Misericordia del 15 novembre scorso.

Un altro segno forte è la croce fatta col giubbotto salvagente di un migrante scomparso in mare, che dal 19 dicembre scorso grida in silenzio dal Cortile del Belvedere, in Vaticano, dove Francesco accoglie i 33 profughi arrivati da Lesbo grazie ai corridoi umanitari. Ed è nuovamente in questo incontro che il Vescovo di Roma lancia col cuore un appello per credenti e non credenti: salvare ogni vita umana, a tutti i costi, perché ce lo chiede Dio, e perché l’indifferenza di fronte alle morti in mare è un peccato grave.

Mai rassegnarsi alla guerra

Prega in silenzio Francesco al Memoriale di Hiroshima, durante il suo viaggio in Giappone, portando sulle spalle il dolore di Dio e dell’umanità per quegli innumerevoli innocenti uccisi dal disastro nucleare del 9 agosto 1945, al termine della Seconda Guerra Mondiale. E afferma con forza che è immorale non solo l’uso ma anche il possesso delle armi atomiche. Poco prima dal Nagasaki Atomic Bomb Museum, ipocentro dell’esplosione dell’ordigno sganciato dagli americani, Papa Bergoglio aveva invocato un mondo libero dalla minaccia degli armamenti nucleari.

Altro peccato grave è quello dell’ipocrisia, denuncia Francesco, di quando nelle convenzioni internazionali, tanti Paesi “parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che stanno in guerra”. Ovunque vada, promuove la cultura dell’incontro, in campo ecumenico, interreligioso, sociale e politico o sul piano semplicemente umano. Si muove verso l’unità, ma senza annientare le differenze ribadendo il forte no alla retorica dello scontro tra civiltà. Lo si vede chiaramente a Bari, quando partecipa al meeting "Mediterraneo frontiera di pace", e parlando ai vescovi del Mare Nostrum, insieme per la prima volta, il Papa afferma che la guerra è una follia a cui non ci si può rassegnare mai.

Questi sono solo alcuni momenti del “ministero dei gesti” del Papa venuto dall’altra parte del mondo. Gesti forse tanto più importanti oggi che ogni segno e ogni vicinanza sono stati vietati da un’invisibile minaccia, che costringe gli esseri umani all’astinenza dal più semplice cenno d’affetto. Ma la Chiesa, e non solo, aspetta di riscoprire con Francesco il contagio della prossimità.

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13 marzo 2020, 08:00