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Carceri, il Papa: ci siamo abituati a scartare, non ad educare

È la difficile situazione delle carceri, su cui ancora e spesso si addensano molte ombre, il focus del discorso di Papa Francesco ai partecipanti all’Incontro internazionale per i responsabili regionali e nazionali della pastorale carceraria

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Realtà contaminate dalla “cultura dello scarto”, “spazi per rinchiudere nell’oblio”, “luoghi di spersonalizzazione”. È in queste dimensioni lesive della dignità umana che le carceri mostrano i volti più preoccupanti. La situazione dei penitenziari continua “ad essere un riflesso della nostra realtà sociale e una conseguenza del nostro egoismo e indifferenza”. Papa Francesco lo ricorda ricevendo i partecipanti all’Incontro internazionale, che si conclude oggi, incentrato sul tema: “Lo sviluppo umano integrale e la pastorale penitenziaria cattolica”. L'iniziativa è promossa dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

Tra orizzonti e amore materno

Riferendosi alla realtà carceraria, il Papa propone due immagini. La prima si riferisce alle finestre presenti nelle prigioni. Le carceri, afferma il Papa, abbiano sempre una finestra e un orizzonte, anche quando la pena è perpetua. Nessuno può cambiare la propria vita, sottolinea, se non vede un orizzonte. La seconda immagine è quella che il Santo Padre ha visto più volte a Buenos Aires quando in autobus si recava in una parrocchia vicina al carcere di Villa Devoto. Qui ha visto le persone in coda, in attesa di poter visitare i detenuti. Tra queste, c'erano soprattutto madri. Donne, aggiunge il Pontefice, che non si vergognavano. Possa la Chiesa, spiega il Papa, imparare la maternità da queste donne e apprendere i gesti di maternità che dobbiamo avere per questi fratelli e sorelle che sono detenuti.

È più facile reprimere che educare

Le parole del Papa sono rivolte a cappellani provenienti da America Latina, Stati Uniti, Europa, Africa ed Oceania. Analizzando la realtà di molte carceri, il Pontefice sottolinea che spesso si segue una logica controproducente:

Molte volte la società, mediante decisioni legaliste e disumane, giustificate da una presunta ricerca del bene e della sicurezza, cerca nell’isolamento e nella detenzione di chi agisce contro le norme sociali, la soluzione ultima ai problemi della vita di comunità. Così si giustifica il fatto che si destinino grandi quantità di risorse pubbliche a reprimere i trasgressori, invece di ricercare veramente la promozione di uno sviluppo integrale delle persone che riduca le circostanze che favoriscono il compimento di azioni illecite. È più facile reprimere che educare, negare l’ingiustizia presente nella società e creare questi spazi per rinchiudere nell’oblio i trasgressori, che offrire pari opportunità di sviluppo a tutti i cittadini.

Superare la stigmatizzazione

I luoghi di detenzione, spiega Francesco, dovrebbero invece “promuovere processi di reinserimento”, garantire “opportunità di sviluppo, educazione, lavoro dignitoso, accesso alla salute” generando “spazi pubblici di partecipazione civica”. Ma non di rado, aggiunge il Papa, falliscono perché “non dispongono di risorse sufficienti che permettano di affrontare i problemi sociali, psicologici e familiari sperimentati dalle persone detenute, e anche per il frequente sovrappopolamento delle carceri che le trasforma in veri luoghi di spersonalizzazione”. Per il Pontefice è necessario un cambio di mentalità per vedere prima di tutto come persone coloro che commettono reati:

Oggi, in modo particolare, le nostre società sono chiamate a superare la stigmatizzazione di chi ha commesso un errore poiché, invece di offrire l’aiuto e le risorse adeguate per vivere una vita degna, ci siamo abituati a scartare piuttosto che a considerare gli sforzi che la persona compie per ricambiare l’amore di Dio nella sua vita. Molte volte, uscita dal carcere la persona si deve confrontare con un mondo che le è estraneo, e che inoltre non la riconosce degna di fiducia, giungendo persino a escluderla dalla possibilità di lavorare per ottenere un sostentamento dignitoso. Impedendo alle persone di recuperare il pieno esercizio della loro dignità, queste restano nuovamente esposte ai pericoli che accompagnano la mancanza di opportunità di sviluppo, in mezzo alla violenza e all’insicurezza.

Castighi sociali

Come comunità cristiane, sottolinea il Papa, dobbiamo porci questa domanda: “Se questi fratelli e sorelle hanno già scontato la pena per il male commesso, perché si pone sulle loro spalle un nuovo castigo sociale con il rifiuto e l’indifferenza”?  “In molte occasioni - osserva il Santo Padre - questa avversione sociale è un motivo in più per esporli a ricadere negli stessi errori”.

Pastorale carceraria e “ministeri di speranza”

Ricordando che le Chiese locali accompagnano pastoralmente con numerose iniziative i detenuti, il Papa auspica infine che l’amore del Signore accresca “il ministero di speranza” nelle carceri. “Prego Dio - conclude - per ogni persona che, dal silenzio generoso, serve questi fratelli, riconoscendo in loro il Signore”. “Mi congratulo per tutte le iniziative con cui, non senza difficoltà, si assistono pastoralmente anche le famiglie dei detenuti e si accompagnano in questo periodo di grande prova, affinché il Signore benedica tutti”.

Cardinale Turkson: i detenuti sono fratelli da accompagnare

Le parole di Papa Francesco sono state precedute dal discorso del cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero delle sviluppo umano integrale. "Indipendentemente dai crimini commessi e dalle pene inflitte - ha affermato il porporato - i carcerati rimangono sempre fratelli e sorelle da accompagnare".

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08 novembre 2019, 13:00