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L'attesa per l'arrivo del Papa in Africa L'attesa per l'arrivo del Papa in Africa 

Riconciliazione, speranza, pace: l'alfabeto del Papa in Africa

Lo hanno ribattezzato il viaggio delle tre “M”. Il Papa torna a visitare insieme tre Paesi dell’Africa dopo le tappe del 2015 in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. Stavolta va nell’estremo sud, in Mozambico, Madagascar e una puntata alle Isole Mauritius, ex colonia di schiavi oggi paradiso dei turisti. Tre nazioni dove la Chiesa è povera tra i poveri e in missione permanente tra inculturazione, solidarietà e dialogo interreligioso

Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

La cosa è balzata all’occhio abbastanza presto. I motti che accompagnano i loghi delle tre tappe del Papa in Africa procedono per sottrazione. “Speranza, pace e riconciliazione” campeggia sul logo del Mozambico. Francesco “Seminatore di pace e speranza” auspica quello del Madagascar. Il Papa “pellegrino di pace” si legge su quello delle Isole Mauritius. Niente di più che una singolarità, ma anche una di quelle curiosità che induce e riflette sul complesso di attese che accompagna ogni visita papale e che affiorano dalla sintesi proposta dagli slogan.

Dalla notte all’alba

Il Mozambico che “spacchetta” il valore universale, la pace, in alcune delle sue componenti implicite – una nazione in pace è riconciliata nel suo tessuto e può permettersi di sperare per i suoi figli – è un Paese che chiede a Francesco di irrobustire questi tre pilastri che lo storico Accordo del 1992 ha piantato, ma il tempo trascorso da allora non ha reso stabili. Il 4 ottobre di quell’anno, a Roma, i capi delle due fazioni che per 15 anni si erano combattute aspramente – il Fronte di Liberazione del Mozambico (Frelimo) di ispirazione marxista e la Resistenza nazionale mozambicana (Renamo) sostenuta dagli Usa – si stringevano finalmente la mano. Riconciliazione, speranza e pace sembravano i raggi di una magnifica alba, dopo la notte della guerra civile e il sangue di un milione di morti e di 2-3 milioni di sfollati (va ricordato che tra i facilitatori di quella stretta di mano figura anche il prossimo cardinale di Bologna, Matteo Zuppi, che per mesi lavorò all’accordo con la Comunità di Sant’Egidio).

I chiaroscuri della Fenice

Tuttavia, in Africa succede spesso, la democrazia è una pianta fragile. Anche quella del Mozambico ha patito le tempeste di nuove tensioni, che tra il 2013 e il 2014 hanno riportato la voce dei kalashnikov a soffocare quelle dei mediatori. L’ultimo, nuovo accordo di pace – firmato il primo agosto scorso e che prevede elezioni il 15 ottobre – è una sorta di guida rossa preparata per il Papa che arriva a toccare con mano, come ha detto nel suo videomessaggio, i frutti della riconciliazione seminati nell’89 da Giovanni Paolo II. Una riconciliazione, che porti speranza e pace, a una terra di chiaroscuri accecanti, messa in ginocchio la scorsa primavera da due cicloni (600 morti, oltre 70 mila sfollati), al 180.mo posto (su 189) dell’Indice di sviluppo umano (dato 2017), dove la miseria che morde ancora troppi mozambicani stride con l’imperiosa crescita economico-finanziaria favorita dall’Accordo del ’92, che ha portato e porta molti Paesi stranieri a investire in una nazione ricchissima di risorse naturali (carbone, gas, oro e diamanti).

L’anima dell’Isola rossa

Dici Madagascar e pensi all’Eden, nel senso della natura e dei naturalisti. La quasi totalità della flora e della fauna che prosperano su questa immensa isola non la si trova altrove. Va da sé che in tale eccezionale scenario di biodiversità Papa Francesco non poteva che essere percepito come “seminatore”, di pace e di speranza. La distanza dal continente ha sottratto per secoli il Madagascar, fino alla fine dell’Ottocento, dall’influenza degli Stati europei – e infatti tra il 1550 e il 1700 fu base per i pirati che assaltavano la rotta per le Indie. Ottenuta nel 1960 l’indipendenza dalla Francia, le “18 tribù” malgasce che costituiscono la maggioranza dell’”Isola rossa” (il colore dovuto alla densità di laterite) hanno dato vita a una democrazia più volte modificata nei suoi equilibri da tumulti che hanno rovesciato i leader in carica. L’ultima transizione dal 2013 ha portato alla presidenza nel 2018 di Andry Rajoelina, che oggi guida una nazione ancora debole sul versante della povertà (diffusa è la malnutrizione e, sul versante sanitario, la lebbra). Un Paese in cui la Chiesa (i cattolici sono 8 mila, il 35%) lavora molto, fra l’altro, per e con i giovani nell'ambito della formazione, cercando di affrancarli da certe piaghe altrettanto endemiche come il lavoro e la prostituzione minorile. La visita di Francesco può aiutare a far emergere quel profilo più alto di questa terra, come ha detto il Papa nel videomessaggio al popolo malgascio. Un profilo ancora nascosto, per così dire, alla maestosa ombra del baobab, simbolo nazionale, e che ha bisogno di rendere lussureggianti la pace e la speranza che la Chiesa locale pone come auspicio.

L’unica lingua che conta

Le Isole Mauritius sono un arcipelago a mille km dal Madagascar in cui il cristianesimo è nato dalle catene. Qui negli anni Trenta dell’800 i creoli della colonia britannica liberati dalla condizione di schiavitù sopravvivevano abbandonati a loro stessi. Fu il grande cuore di Jacques Désiré Laval, un missionario spiritano, a portarli oltre che alla fede a condizioni di vita più dignitose. Nelle 8 ore circa che il 9 settembre trascorrerà a Port Louis, capitale dell’arcipelago, Francesco si inginocchierà nel santuario che custodisce le spoglie di padre Laval. Un uomo che ha permesso alla Chiesa di mostrare il suo lato piò evangelico – quello che più piace al Papa – in un Paese in cui la povertà assoluta non è una ferita aperta, posta com’è sotto la soglia del 2%. Qui la pace, come osserva Francesco nel suo videomessaggio ai mauriziani, è ricordare che in una terra di tante lingue la più grande e universale è sempre quella dell’amore. Quella parlata a maniche rimboccate da padre Laval.

Il punto essenziale

In definitiva, quei tre motti “a scalare” di Mozambico, Madagascar e Mauritius raccontano non tanto di una maggiore o minore capacità di desiderare il meglio per la propria terra, ma concentrano come il fascio di un laser lo sguardo verso l’essenziale. Dovunque si favorisce la riconciliazione si mette la prima pietra della pace e si schiude l’orizzonte della speranza. E questo, è banale rimarcarlo, non vale solo per le “periferie” dell’Africa.

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04 settembre 2019, 06:55