Il Papa: non mondanizzare la fede, la Chiesa è la casa della misericordia di Dio

Non guardare mai da giudici ma da fratelli: “non siamo ispettori delle vite altrui, ma promotori del bene di tutti”. Nella forte omelia pronunciata oggi pomeriggio ad Albano, il Papa esorta a non riempire la fede di tanti contorni o a fare delle comunità dei circoli chiusi ma ricorda che la Chiesa è il luogo dove incontrare l'amore di Dio

Debora Donnini – Città del Vaticano

La Chiesa esiste per annunciare agli uomini, anche i più lontani o dimenticati, che Dio ci ama per primo. Tutta l’omelia di Papa Francesco ad Albano, ricca di aggiunte a braccio, si concentra sulla missione della Chiesa e dei cristiani nel mondo, intessendosi sulla vicenda di Zaccheo narrata dal Vangelo. Prima della Messa che si celebra a piazza Pia, il Papa all’interno della cattedrale di San Pancrazio ha avuto un momento di preghiera con i sacerdoti. Undici anni fa, in questa stessa data, Benedetto XVI consacrò l’altare della Cattedrale.

Andate da chi è dimenticato per dire: Dio si ricorda di te

Nell’omelia Papa Francesco ricorda dunque che Zaccheo, essendo piccolo di statura, sale su un sicomoro per vedere Gesù che sta attraversando Gerico. Agli occhi dei suoi concittadini Zaccheo era "l’insalvabile”, perché capo dei pubblicani che riscuotevano i tributi per l’Impero romano. Eppure Gesù alza lo sguardo e lo invita a scendere subito perché vuole fermarsi a casa sua. Nonostante gli ostacoli e i limiti dei peccati e delle chiacchere, Dio si ricorda del “più grande peccatore”:

Che cosa ci dice questo Vangelo nell’anniversario della vostra Cattedrale? Che ogni chiesa, che la Chiesa con la maiuscola esiste per mantenere vivo nel cuore degli uomini il ricordo che Dio li ama. Esiste per dire a ciascuno, anche al più lontano: “Sei amato e sei chiamato per nome da Gesù; Dio non ti dimentica, gli stai a cuore”. Cari fratelli e sorelle, come Gesù non abbiate paura di “attraversare” la vostra città, di andare da chi è più dimenticato, da chi sta nascosto dietro i rami della vergogna, della paura, della solitudine, per dirgli: “Dio si ricorda di te”.

Il “prima” di Dio cambia la vita, non buttarsi via con i surrogati di amore

E’ interessante notare che mentre Zaccheo cerca di capire che tipo di maestro fosse Gesù, è il Signore stesso ad anticiparlo: Gesù lo vede per primo e gli parla. E la vita cambia proprio quando si scopre il “prima” di Dio, il suo amore che "ci raggiunge prima di tutto". “Se come Zaccheo stai cercando un senso alla vita ma, non trovandolo, ti stai buttando via con dei ‘surrogati di amore’, come le ricchezze, la carriera, il piacere, qualche dipendenza, lasciati guardare da Gesù”, esorta il Pontefice, perché solo con Gesù “scoprirai di essere da sempre amato”.

Non complichiamo la fede con tanti contorni

Il Papa entra così nel vivo di un discorso che interpella tutti i cristiani, esortando a chiederci, come Chiesa, se “da noi” viene prima Gesù o le “nostre strutture”:

Ogni conversione nasce da un anticipo di misericordia, nasce dalla tenerezza di Dio che rapisce il cuore. Se tutto quello che facciamo non parte dallo sguardo di misericordia di Gesù, corriamo il rischio di mondanizzare la fede, di complicarla, e di riempirla di tanti contorni: argomenti culturali, visioni efficientiste, opzioni politiche, scelte partitiche... Ma si dimentica l’essenziale, la semplicità della fede, quello che viene prima di tutto: l’incontro vivo con la misericordia di Dio. Se questo non è il centro, se non sta all’inizio e alla fine di ogni nostra attività, rischiamo di tenere Dio “fuori casa”, cioè nella Chiesa, che è casa sua, ma non con noi. L’invito di oggi è “lasciati misericordiare da Dio”. Lui viene con la sua misericordia.

La Chiesa sia una tenda ospitale, non sparlare degli altri

Quando Gesù dice a Zaccheo che deve fermarsi a casa sua, lo fa sentire amato e in questo modo Zaccheo afferma: “Do la metà di ciò che possiede ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”, cioè va ben oltre la Legge che chiedeva di restituire aggiungendo un quinto, e lo fa, sottolinea Papa Francesco, perché “ha trovato l’amore”, si sente a casa. “Come sarebbe bello se i nostri vicini e conoscenti sentissero la Chiesa come casa loro!”, esclama il Papa, notando che purtroppo accade che le nostre comunità diventino estranee a tanti e poco attraenti. A volte, “subiamo anche noi la tentazione di creare circoli chiusi, luoghi intimi fra eletti”, “ci sentiamo élite”. Ma ci sono tanti fratelli che hanno nostalgia di casa e non hanno avuto il coraggio di avvicinarsi magari perché non si sono sentiti amati, “forse perché hanno conosciuto un prete che li ha trattati male o li ha cacciati via, ha voluto far pagare loro i sacramenti – una cosa brutta… e si sono allontanati”, nota ancora Francesco:

Il Signore desidera che la sua Chiesa sia una casa tra le case, una tenda ospitale dove ogni uomo, viandante dell’esistenza, incontri Lui, che è venuto ad abitare in mezzo a noi. Fratelli e sorelle, sia la Chiesa il luogo dove non si guardano mai gli altri dall’alto in basso ma, come Gesù con Zaccheo, dal basso verso l’alto. Ricordate che l’unico momento nel quale è lecito guardare una persona dall’alto in basso è per aiutarla a ricoverarsi; altrimenti non è lecito. Soltanto in quel momento guardarla, perché è caduta. Guardiamo la gente mai da giudici, sempre da fratelli. Non siamo ispettori delle vite altrui, ma promotori del bene di tutti. E per essere promotori del bene di tutti, una cosa che aiuta tanto è avere la lingua ferma: non sparlare degli altri.

E a chi viene da sparlare, il Papa suggerisce, sempre parlando a braccio, che una buona medicina è mordersi la lingua. Siamo chiamati a non essere “cristiani complicati, che elaborano mille teorie e si disperdono a cercare risposte nella rete” ma - come fa Zaccheo con slancio salendo su un albero - a tornare come “i bambini” che hanno bisogno di genitori e amici. Anche noi abbiamo bisogno di Dio e degli altri, di non vedere in nessuno un nemico, perché i discepoli “pensano solo al bene che possono fare”. “Se evitiamo di cercare e salvare” chi ci sembra perduto - avverte -  “non siamo di Gesù”. La sua omelia viene suggellata e conclusa da un augurio: che la cattedrale di Albano “come ogni chiesa, sia il luogo in cui ciascuno si senta ricordato dal Signore, anticipato dalla sua misericordia e accolto a casa”, così che nella Chiesa accada la cosa più bella: “gioire perché la salvezza è entrata nella vita”.

Semeraro: assumere uno stile missionario

Nel suo saluto, al termine della Messa, il vescovo di Albano, monsignor Marcello Semeraro, che è anche segretario del consiglio di cardinali, il C6, ricorda le due circostanze che lo hanno incoraggiato a chiedere questa visita. Da una parte la data del 21 settembre, festa di San Matteo, legata alla chiamata vocazionale del Papa, che infatti ha ripreso nel suo stemma una frase di San Beda, che commenta la vocazione di Matteo: Miserando atque eligendo. Una data legata anche alla visita che fece Benedetto XVI nel 2008, quando inaugurò la nuova cattedrale e che quindi è divenuta anniversario della Dedicazione. Dall’altra per rinvigorire il forte legame fra Albano e Roma, che affonda le sue radici nella storia del cristianesimo. "Se pure non riusciamo a risolvere i problemi, ci impegniamo almeno a lasciare segni di speranza", dice monsignor Semeraro riferendosi agli aiuti alle persone e alle famiglie in difficoltà. Ricorda, quindi, l’impegno della Chiesa nella cittadina laziale a raggiungere le periferie esistenziali del nostro tempo, con una “pastorale generativa”, assumendo quello stile missionario chiesto dal Papa con la Evangelli gaudium, peraltro testo programmatico del Pontificato. 

 

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Il Papa ad Albano
21 settembre 2019, 18:57