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Francesco: testimoniare Cristo, superando l'autoreferenzialità

All’udienza generale in Piazza San Pietro, Francesco sottolinea l’importanza del discernimento comunitario. Quindi ricorda come nel Dna della comunità cristiana ci siano l’unità e la libertà da sé stessi, che permettono di non temere la diversità, di non attaccarsi alle cose e di diventare testimoni di Dio vivente. Al termine, il saluto del Pontefice per la Delegazione interreligiosa di Hong Kong, accompagnata dal card. John Tong Hon, e i sacerdoti ortodossi russi

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Uscire dagli “atteggiamenti autoreferenziali”, rinunciare a “trattenere i doni di Dio” e non cedere alla “mediocrità”, per riscoprire la bellezza di testimoniare Cristo Risorto. Questa l’esortazione del Papa all’udienza generale in Piazza San Pietro, proseguendo il percorso di catechesi sul “viaggio” del Vangelo narrato dal libro degli Atti degli Apostoli: come - spiega, cioè - il Vangelo sia “andato oltre”. “Tutto” parte dalla Risurrezione di Cristo, che è “la fonte della vita nuova”. I discepoli, obbedienti al comando di Gesù, rimangono “uniti, concordi e perseveranti nella preghiera”, stringendosi a Maria e preparandosi a “ricevere la potenza di Dio non in modo passivo, ma consolidando la comunione fra loro” (Ascolta il servizio con la voce del Papa).

Comunione col Signore

Dopo gli “eventi dolorosi” della Passione, ricorda il Pontefice, gli Apostoli del Signore non sono più dodici - numero emblematico per Israele, perché rappresenta le dodici tribù, e per la Chiesa, per via dei seguaci “scelti” da Gesù - ma undici. Non c’è più Giuda, che si è tolto la vita “schiacciato dal rimorso” del tradimento.

Aveva iniziato già prima a separarsi dalla comunione con il Signore e con gli altri, a fare da solo, a isolarsi, ad attaccarsi al denaro fino a strumentalizzare i poveri, a perdere di vista l’orizzonte della gratuità e del dono di sé, fino a permettere al virus dell’orgoglio di infettargli la mente e il cuore trasformandolo da «amico» in nemico e in «guida di quelli che arrestarono Gesù». Giuda aveva ricevuto la grande grazia di far parte del gruppo degli intimi di Gesù e di partecipare al suo stesso ministero, ma ad un certo punto ha preteso di “salvare” da sé la propria vita con il risultato di perderla.

Al di sopra del Maestro

Giuda, evidenzia ancora il Papa, ha smesso di “appartenere col cuore a Gesù” e si è posto al di fuori della comunione con Lui e con i suoi.

Ha smesso di essere discepolo e si è posto al di sopra del Maestro. Lo ha venduto e con il “prezzo del suo delitto” ha acquistato un terreno, che non ha prodotto frutti ma è stato impregnato del suo stesso sangue.

Con gli occhi di Dio

Se Giuda, aggiunge Francesco, ha preferito la morte alla vita e ha seguito l’esempio “degli empi la cui via è come l’oscurità e va in rovina, gli 'Undici' - spiega riallacciandosi proprio al brano biblico degli Atti degli Apostoli - scelgono invece “la vita, la benedizione”, diventando responsabili nel farla “fluire a loro volta nella storia, di generazione in generazione, dal popolo d’Israele alla Chiesa”. L’abbandono di uno dei Dodici, prosegue il Pontefice, ha creato una “ferita al corpo comunitario” ed “è necessario” che il suo incarico passi a un altro.

Pietro indica il requisito: il nuovo membro deve essere stato un discepolo di Gesù dall’inizio, cioè dal battesimo nel Giordano, fino alla fine, cioè all’ascensione al Cielo. Occorre ricostituire il gruppo dei Dodici. Si inaugura a questo punto la prassi del discernimento comunitario, che consiste nel vedere la realtà con gli occhi di Dio, nell’ottica dell’unità e della comunione.

Il corpo dei Dodici

Tra i candidati Giuseppe Barsabba e Mattia, attraverso “la sorte” il Signore indica Mattia, che viene dunque associato agli Undici.

Si ricostituisce così il corpo dei Dodici, segno della comunione, e la comunione vince sulle divisioni, sull’isolamento, sulla mentalità che assolutizza lo spazio del privato, segno che la comunione è la prima testimonianza che gli Apostoli offrono. Gesù l’aveva detto: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

La grazia dell’unità

I Dodici manifestano negli Atti degli Apostoli lo stile del Signore.

Sono i testimoni accreditati dell’opera di salvezza di Cristo e non manifestano al mondo la loro presunta perfezione ma, attraverso la grazia dell’unità, fanno emergere un Altro che ormai vive in un modo nuovo in mezzo al suo popolo. E chi è? È il Signore Gesù.

Mai attaccarsi alle cose

Gli Apostoli scelgono dunque di vivere “sotto la signoria del Risorto nell’unità tra i fratelli”, che diventa l’unica atmosfera possibile dell’“autentico dono di sé”.

Il ricompattarsi del collegio apostolico mostra come nel Dna della comunità cristiana ci siano l’unità e la libertà da sé stessi, che permettono di non temere la diversità, di non attaccarsi alle cose e ai doni e di diventare martyres, cioè testimoni luminosi del Dio vivo e operante nella storia.

I saluti

Al termine dell’udienza, il Papa saluta la Delegazione interreligiosa di Hong Kong, accompagnata dal cardinale John Tong Hon, e i sacerdoti ortodossi russi, ricordando poi che domani ricorre la memoria liturgica di Sant’Antonio di Padova, insigne predicatore e patrono dei poveri e dei sofferenti: la sua intercessione - prega Francesco - aiuti a “sperimentare il soccorso della misericordia divina”.

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12 giugno 2019, 10:15