Papa ai cattolici bulgari: non aggettivate gli altri, tutti devono sentirsi amati

In Bulgaria, Papa Francesco incontra la comunità cattolica nella chiesa di san Michele Arcangelo e la invita a non perdere “tempo a piangersi addosso”, ma a vedere “sempre qualcosa di concreto” che può fare. Il bacio alla reliquia di san Giovanni XXIII

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

"Vedere con gli occhi della fede" significa non aggettivare gli altri, non classificare “chi è degno di amore e chi no", ma "cercare di creare le condizioni perché ogni persona possa sentirsi amata, soprattutto quelle che si sentono dimenticate da Dio perché sono dimenticate dai loro fratelli. Chi ama non perde tempo a piangersi addosso, ma vede sempre qualcosa di concreto che può fare”. Le parole di Papa Francesco alla comunità cattolica della Bulgaria, nell’incontro con una piccola ma entusiasta rappresentanza nella chiesa di san Michele Arcangelo di Rakovsky, sono un continuo riferimento all’impegno concreto e alla risposta creativa alle situazioni di difficoltà.

Il bacio alla reliquia di san Giovanni XXIII

Un incontro che inizia nel segno di san Giovanni XXIII ma anche delle Giornate mondiali della Gioventù: sulle note de “L’Emmanuel”, l’inno della Gmg di Roma del 2000, Francesco saluta una famiglia e benedice e bacia la reliquia e il bassorilievo raffigurante Papa Roncalli che qui è stato per nove anni, tra il 1925 e il 1934, visitatore e delegato apostolico a Sofia. Poi Francesco raggiunge la zona dell’altare, e si siede in mezzo ad una quindicina di giovani. Ascolta il saluto del vescovo di Sofia e Plovdiv, monsignor Gheorghi Iovcev, che è nato proprio in questa parrocchia.

Auguri al vescovo Iovcev per compleanno e onomastico

Il presule ricorda che “il successore di San Pietro, è qui tra noi, per guarire i nostri cuori e per aiutare i nostri occhi a vedere con occhi di fede e di amore. Lo stesso cuore, gli stessi occhi con cui il suo predecessore san Giovanni XXIII ha amato e visto i bulgari”. Il Papa lo ringrazia e lo abbraccia, prendendo la parola per chiedere ai presenti di fare gli auguri al vescovo Iovcev, “perché oggi è il suo compleanno e anche il suo onomastico” (le Chiese orientali festeggiano infatti oggi san Giorgio, n.d.r.).

Le testimonianze: una suora, un sacerdote e una famiglia

Poi il Pontefice ascolta la testimonianza di una suora eucaristina, la 33enne Maria Evrozia Gudzerova, che racconta il dolore della perdita del padre, quando aveva solo 4 anni, l’accoglienza ricevuta dalle Eucaristine a Sofia e la vocazione avvertita a 15 anni, davanti alla Grotta di Lourdes. Dopo l’inno della Gmg di Panama, interviene don Boris Stoykov, che ha trascorso nella parrocchia di san Michele 13 dei suoi 14 anni di sacerdozio. E dopo una danza popolare bulgara eseguita dai giovani dei movimenti laicali, offre la sua testimonianza Mikto Mihaylovi, con la moglie Miroslava e la figlioletta Bilyana.

Vedere con occhi di fede e di amore

Quando prende la parola, Papa Francesco ricorda l’invito del vescovo Iovcev, “ad aiutarvi a ‘vedere con occhi di fede e di amore’” e ringrazia per essere stato aiutato dai bulgari “a comprendere un po’ di più il motivo per cui questa terra è stata tanto amata e significativa per san Giovanni XXIII”. Qui infatti, per il Papa, Angelo Roncalli colse il seme ecumenico del Concilio Vaticano II, e “tra voi germogliò un’amicizia forte verso i fratelli ortodossi che lo spinse su una strada capace di generare la tanto sospirata e fragile fraternità tra le persone e le comunità”.

Ascolta e scarica il servizio con la voce del Papa

Gli uomini di Dio si mettono in gioco come il Signore

Il “Papa buono”, sottolinea Francesco, vedeva con gli occhi della fede e sapeva “sintonizzare il suo cuore con il Signore in modo tale da poter dire di non essere d’accordo con quelli che intorno a sé vedevano solo male e da chiamarli profeti di sventura”. Per san Giovanni XXIII “bisognava aver fiducia nella Provvidenza, che ci accompagna continuamente e, in mezzo alle avversità, è capace di realizzare disegni superiori e inaspettati”:

Gli uomini di Dio sono quelli che hanno imparato a vedere, confidare, scoprire e lasciarsi guidare dalla forza della risurrezione. (…) Gli uomini e le donne di Dio sono coloro che hanno il coraggio di fare il primo passo e cercano creativamente di porsi in prima linea testimoniando che l’Amore non è morto, ma ha vinto ogni ostacolo. Si mettono in gioco perché hanno imparato che, in Gesù, Dio stesso si è messo in gioco. Ha messo in gioco la propria carne perché nessuno possa sentirsi solo o abbandonato. E questa è la bellezza della nostra fede: Dio che si mette in gioco facendosi uno di noi.

Non "aggettiviamo" la gente: sono persone da amare

Il Papa parla poi dell’incontro della mattina, nel campo-profughi di Vrazhedebna, con profughi e rifugiati provenienti da vari Paesi del mondo, e anche con i volontari della Caritas. In questo Centro della Caritas, ricorda “sono molti i cristiani che hanno imparato a vedere con gli stessi occhi del Signore, che non si sofferma sugli aggettivi, ma cerca e attende ciascuno con occhi di Padre”.

Noi siamo caduti nella cultura dell’aggettivo: questa persona è questo, questa persona è questo, questa persona è questo. E Dio non vuole questo. Questa è una persona! È immagine di Dio! Niente aggettivi! Lasciamo che Dio metta gli aggettivi! Noi mettiamo l’amore, in ogni persona.

Creare le condizioni perché ognuno possa sentirsi amato

E questo, sottolinea Francesco, vale anche per il chiacchiericcio: “Ah questo è quello, questo fa questo …Sempre ‘aggettiviamo’ la gente”. Dobbiamo passare, spiega il Pontefice “dalla cultura dell’aggettivo alla realtà del sostantivo”.

Vedere con gli occhi della fede è l’invito a non passare la vita affibbiando etichette, classificando chi è degno di amore e chi no, ma a cercare di creare le condizioni perché ogni persona possa sentirsi amata, soprattutto quelle che si sentono dimenticate da Dio perché sono dimenticate dai loro fratelli. Fratelli e sorelle, chi ama non perde tempo a piangersi addosso, ma vede sempre qualcosa di concreto che può fare.

Nessun pessimista ha mai concluso qualcosa di bene

Nel Centro di Vrazhedebna, dice Papa Francesco  rivolto ai volontari Caritas, “avete imparato a vedere i problemi, a riconoscerli, ad affrontarli; vi lasciate interpellare e cercate di discernere con gli occhi del Signore”. Perché, come disse Papa Giovanni XXIII, cita Francesco, “Non ho mai conosciuto un pessimista che abbia concluso qualcosa di bene”.

I pessimisti rovinano tutto. Quando io penso al pessimista, mi viene in mente una bella torta: cosa fa il pessimista? Versa aceto sulla torta, rovina tutto. I pessimisti rovinano tutto. Invece, l’amore apre le porte, sempre! Papa Giovanni aveva ragione. (…) Il Signore è un ottimista inguaribile! Sempre cerca di pensare bene di noi, di portarci avanti, di scommettere su di noi. Che bello quando le nostre comunità sono cantieri di speranza!  L’ottimista è un uomo o una donna che crea nella comunità speranza.

Una parrocchia ottimista aiuta ad andare avanti

Il Papa parla poi della testimonianza di Mitko e Miroslava, “con il loro piccolo angioletto Bilyana”: “mi è piaciuto – sottolinea - quando ci dicevano che per loro la parrocchia è stata sempre la loro seconda casa, il luogo dove trovano sempre, nella preghiera comunitaria e nel sostegno delle persone care, la forza per andare avanti. Una parrocchia ottimista, che aiuta ad a andare avanti”. E si dice contento che trovino buona la sua massima “Mai andare a letto arrabbiati, nemmeno una notte”.

Mai finire la giornata in guerra. E sapete perché? Perché la “guerra fredda” del giorno dopo è molto pericolosa. “E padre, come si può fare la pace? Dove posso imparare i discorsi per fare la pace?” - “Fa così, un gesto ed è fatta la pace”. Soltanto un gesto di amore. Capito? Per le coppie.

Il Popolo di Dio aiuta i consacrati ad essere credenti

Il Pontefice fa riferimento all’altra testimonianza, quella di don Boris “che condivideva non quanto lui fosse stato bravo durante questi anni di ministero, ma ha parlato delle persone che Dio ha messo accanto a lui per aiutarlo a diventare un bravo ministro di Dio. E queste persone siete voi”. Il pastore, aggiunge, impara ad essere credente con l’aiuto della sua gente, della sua famiglia e in mezzo a loro.

Quando un sacerdote o una persona consacrata, anche un vescovo come me, si allontana dal Popolo di Dio, il cuore si raffredda e perde quella capacità di credere come il Popolo di Dio. Per questo mi piace quell’affermazione: il Popolo di Dio aiuta i consacrati – siano sacerdoti, vescovi o suore – ad essere credenti.

La Chiesa-famiglia-comunità prende in mano i nodi della vita

Così impariamo, prosegue Papa Francesco, “ad essere una Chiesa-famiglia-comunità che accoglie, ascolta, accompagna, si preoccupa degli altri rivelando il suo vero volto, che è volto di madre. La Chiesa è madre”. Il Papa parla di una “Chiesa-famiglia-comunità che prende in mano i nodi della vita, che spesso sono grossi gomitoli, e prima di districarli li fa suoi, li accoglie tra le mani e li ama”.

Così la nostra Madre Chiesa, così dobbiamo guardarla, è la madre che ci prende come siamo, con le nostre difficoltà, con i nostri peccati pure. É madre, sempre sa arrangiare le cose. Non ci sembra che sia bello avere una madre così? Mai allontanarvi. Mai allontanarsi dalla Chiesa. E se tu ti allontani, tu perderai la memoria della maternità della Chiesa, incomincerai a pensare male della tua Madre Chiesa e quanto più [vai] lontano, quell’immagine di madre diventerà un’immagine di matrigna. La matrigna dentro il cuore. La Chiesa è madre.

La Chiesa, una casa con la chiave di fuori

La Chiesa, insiste il Papa, citando le parole di suor Maria Evrozia, è una famiglia tra le famiglie aperta a testimoniare, come ci diceva la sorella, al mondo odierno la fede, la speranza e l’amore verso il Signore e verso coloro che Egli ama con predilezione. Una casa con le porte aperte”. E ricorda la poesia di un sacerdote che “amava tanto la Madonna”, ma da peccatore, faceva a Lei il proposito di non allontanarsi mai dalla Chiesa.

Scriveva così: “Questa serata, Signora, la promessa è sincera. Ma per caso, non dimenticarti di lasciare la chiave dalla parte di fuori”. Maria e la Chiesa mai chiudono da dentro. Sempre, se chiudono la porta, la chiave è di fuori: tu puoi aprire. E questa è la nostra speranza. La speranza della riconciliazione.

Nuove azioni pastorali per raggiungere il cuore dei giovani

Francesco conclude chiedendo ai cattolici bulgari. “figli nella fede” dei “fratelli Cirillo e Metodio, uomini santi e dai grandi sogni” un ”lavoretto”. Si tratta, spiega, di “saper essere audaci e creativi per domandarsi come si possa tradurre in modo concreto e comprensibile alle giovani generazioni l’amore che Dio ha per noi”.

E questo ci chiede un nuovo sforzo di immaginazione nelle nostre azioni pastorali, per cercare il modo di raggiungere il loro cuore, conoscere le loro attese e incoraggiare i loro sogni, come comunità-famiglia che sostiene, accompagna e invita a guardare il futuro con speranza. Una grande tentazione che affrontano le nuove generazioni è la mancanza di radici, di radici che le sostengano, e questo le porta allo sradicamento e a una grande solitudine.

Facciamo comunicare giovani e anziani, senza paura

Così, chiarisce Papa Francesco, molte volte restano a metà strada a causa delle frustrazioni o delle delusioni che sperimentano, poiché non hanno radici su cui appoggiarsi per guardare avanti.

Oggi, nel mondo, ci sono due gruppi di persone che soffrono tanto: i giovani e gli anziani. Dobbiamo farli incontrare, incontrarsi. Gli anziani sono le radici della nostra società, non possiamo mandarli via dalla nostra comunità, sono la memoria viva della nostra fede. I giovani hanno bisogno di radici, di memoria. Facciamo sì che comunichino tra di loro, senza paura.

La benedizione come Papa Giovanni: una carezza del Signore

È bello sapere, sono le ultime parole del Pontefice nella chiesa di san Michele Arcangelo, “che potete contare su una grande storia vissuta, ma è ancora più bello prendere coscienza che a voi è stato dato di scrivere ciò che verrà. Queste pagine non sono state scritte. Dovete scriverle voi. Il futuro è nelle vostre mani, il libro del futuro lo dovete scrivere voi”.

Pensando a Papa Giovanni, vorrei che la benedizione che vi do ora sia una carezza del Signore su ciascuno di voi. Lui aveva dato quella benedizione con l’augurio che fosse una carezza. Quella benedizione che ha dato alla luce della luna.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

Photogallery

L' incontro con la comunità cattolica a Rakovsky
06 maggio 2019, 15:50