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Il Magistero dei Papi sul digiuno in Quaresima

Il digiuno è ancora veramente sentito e praticato o è ormai lettera morta tra i precetti della Chiesa? Dal Magistero dei Papi del passato, emergono i motivi profondi della sua importanza nel contesto del comandamento evangelico principale

Laura De Luca – Città del Vaticano

“Digiunare, cioè imparare a cambiare il nostro atteggiamento verso gli altri e le creature: dalla tentazione di “divorare” tutto per saziare la nostra ingordigia, alla capacità di soffrire per amore, che può colmare il vuoto del nostro cuore”. Così Francesco nel suo Messaggio per la Quaresima di quest’anno.

Perché il digiuno in Quaresima?

Perché il digiuno proprio in un tempo in cui, nelle città del benessere, esattamente come in Avvento, da supermercati e da centri commerciali occhieggiano provocazioni alimentari di ogni genere? In questo periodo in particolare ci provocano uova di cioccolato di tutte le taglie, avvolte nelle più colorate e attraenti confezioni, e poi colombe, specialità gastronomiche locali… Quale digiuno? Quale Quaresima? Ce lo chiediamo oggi, sommersi dagli eccessi, ma se lo chiedeva anche Papa Paolo VI già nel 1978: mercoledì 8 febbraio, udienza generale.

Ascolta la voce di Paolo VI

“E dell’obbligo del digiuno e dell’astinenza quaresimale che cosa è rimasto? Un tempo, tanto impegnativo, tanto severo e quasi tanto... ritualizzato, ora nulla più resta? A parte i due giorni di digiuno, che obbligano ancora i valenti (e cioè il Mercoledì delle Ceneri, ed è oggi, e poi il Venerdì Santo, il « giorno grande ed amaro »), l’obbligo impegnativo degli anni passati è stato tolto dalla Chiesa, sensibile alle condizioni mutate ed esigenti del costume moderno; ma ciò che rimane per gli spiriti forti e fedeli è tanto più degno della nostra vigilante memoria; e si riassume in due parole, supplementari dell’antico digiuno: austerità personale, nel cibo, nello svago, nel lavoro.. . e carità per il prossimo, per chi soffre, per chi ha bisogno di aiuto, per chi aspetta il nostro soccorso o il nostro perdono... Tutto questo rimane, come rimane altresì l’obbligo dell’astinenza in ogni venerdì di quaresima. Anzi questo vario, spontaneo e non sempre facile programma esige la nostra scelta, il nostro sforzo (fioretto, lo chiamano i ragazzi), la nostra austerità. Solo l’austerità rende forte ed autentica la vita cristiana”.

Il digiuno dunque non è evidentemente solo quello dal cibo. Anche se astenersi dal cibo o dall’eccesso di cibo, porta con sé ben altro… Lo ricorda Giovanni XXIII nel suo radiomessaggio per la Quaresima del 1963:

Ascolta la voce di Giovanni XXIII

“Ecco come, con la istituzione della quaresima, la Chiesa non conduce i suoi figli a semplice esercizio di pratiche esteriori, ma ad impegno serio di amore e di generosità per il bene dei fratelli, alla luce dell'antico insegnamento dei profeti:
Non è piuttosto questo il digiuno che io amo? Sciogli i legami dell'empietà, — ammonisce Isaia —: manda liberi gli oppressi, rompi ogni gravame. Spezza il tuo pane all'affamato e apri la tua casa ai poveri e ai raminghi; se vedi un ignudo, ricoprilo, non disprezzare la tua propria carne”.

Il digiuno porta con sé la condivisione, l’elemosina. Alta parola chiave in Quaresima. Ma è Giovanni Paolo II che ci dà una memorabile lezione sul vero senso del digiuno nell’udienza generale del 21 marzo 1979:

Ascolta la voce di Giovanni Paolo II

“Perché il digiuno? A questa domanda bisogna dare una risposta più ampia e profonda, perché diventi chiaro il rapporto tra il digiuno e la “metànoia”, cioè quella trasformazione spirituale, che avvicina l’uomo a Dio. Cercheremo quindi di concentrarci non soltanto sulla pratica dell’astensione dal cibo o dalle bevande – ciò infatti significa “il digiuno” nel senso comune – ma sul significato più profondo di questa pratica che, del resto, può e deve alle volte essere “sostituita” da qualche altra. Il cibo e le bevande sono indispensabili all’uomo per vivere, egli se ne serve e deve servirsene, tuttavia non gli è lecito abusarne sotto qualsiasi forma. La tradizionale astensione dal cibo e dalle bevande ha come fine di introdurre nell’esistenza dell’uomo non soltanto l’equilibrio necessario, ma anche il distacco da quello che si potrebbe definire “atteggiamento consumistico”. Tale atteggiamento è divenuto nei nostri tempi una delle caratteristiche della civiltà e in particolare della civiltà occidentale. L’atteggiamento consumistico! L’uomo orientato verso i beni materiali, molteplici beni materiali, molto spesso ne abusa. Non si tratta qui unicamente del cibo e delle bevande. Quando l’uomo è orientato esclusivamente verso il possesso e l’uso di beni materiali, cioè delle cose, allora anche tutta la civiltà viene misurata secondo la quantità e la qualità delle cose che è in grado di fornire all’uomo, e non si misura con il metro adeguato all’uomo. Questa civilizzazione infatti fornisce i beni materiali non soltanto perché servano all’uomo a svolgere le attività creative e utili, ma sempre di più... per soddisfare i sensi, l’eccitazione che ne deriva, il piacere momentaneo, una sempre maggiore molteplicità di sensazioni.
Alle volte si sente dire che l’incremento eccessivo dei mezzi audio-visivi nei paesi ricchi non sempre giova allo sviluppo dell’intelligenza, particolarmente nei bambini; al contrario, talvolta contribuisce a frenarne lo sviluppo. Il bambino vive solo di sensazioni, cerca delle sensazioni sempre nuove... E diventa così, senza rendersene conto, schiavo di questa passione odierna. Saziandosi di sensazioni, rimane spesso intellettualmente passivo; l’intelletto non si apre alla ricerca della verità; la volontà resta vincolata dall’abitudine, alla quale non sa opporsi.
Da ciò risulta che l’uomo contemporaneo deve digiunare, cioè astenersi non soltanto dal cibo o dalle bevande, ma da molti altri mezzi di consumo, di stimolazione, di soddisfazione dei sensi. Digiunare significa astenersi, rinunciare a qualcosa. Perché rinunciare a qualcosa? Perché privarsene? (…) La rinuncia alle sensazioni, agli stimoli, ai piaceri e anche al cibo o alle bevande, non è fine a se stessa. Essa deve soltanto, per così dire, spianare la strada per contenuti più profondi, di cui “si alimenta” l’uomo interiore”.

E l’uomo interiore si sfama prevalentemente della parola di Dio. Lo ricorda Benedetto XVI nell’udienza generale del 9 marzo 2011:

Ascolta la voce di Benedetto XVI

“Non digiuna veramente chi non sa nutrirsi della Parola di Dio. Il digiuno, nella tradizione cristiana, è legato poi strettamente all’elemosina. San Leone Magno insegnava in uno dei suoi discorsi sulla Quaresima: “Quanto ciascun cristiano è tenuto a fare in ogni tempo, deve ora praticarlo con maggiore sollecitudine e devozione, perché si adempia la norma apostolica del digiuno quaresimale consistente nell’astinenza non solo dai cibi, ma anche e soprattutto dai peccati. A questi doverosi e santi digiuni, poi, nessuna opera si può associare più utilmente dell’elemosina, la quale sotto il nome unico di ‘misericordia’ abbraccia molte opere buone. (…)Sant’Agostino dice che il digiuno e l’elemosina sono “le due ali della preghiera”, che le permettono di prendere più facilmente il suo slancio e di giungere sino a Dio”.

Ascolta la puntata di “Le voci dei Papi” di domenica 31 marzo 2019 su RadioVaticana Italia dedicata al digiuno.

 

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01 aprile 2019, 12:00