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Papa in Marocco, mons. Lopez Romero: qui i cristiani sono servitori della speranza

A due giorni dall'arrivo di Papa Francesco a Rabat, per il suo 28 esimo viaggio apostolico, l'arcivescovo Cristobal Lopez Romero presenta una "Chiesa del buon samaritano", che si china sui tanti migranti subsahariani che qui si fermano o passano per arrivare in Europa

Alessandro Di Bussolo - Città del Vaticano

"Siamo la Chiesa del buon samaritano: le persone migranti non fanno il loro viaggio della speranza per piacere, ma per una sofferenza, e noi ci prendiamo cura dei nostri fratelli feriti, che sono figli di Dio". L' arcivescovo di Rabat, Cristobal Lopez Romero, sabato 30 marzo alle 14 accoglierà Papa Francesco all'aeroporto di Rabat-Salé, 33 anni e qualche mese dopo la visita-lampo di san Giovanni Paolo II a Casablanca, il 19 agosto 1985, per incontrare allo stadio i giovani musulmani. L'arcivescovo Lopez accompagnerà Francesco nella prima tappa proprio nel cuore della Rabat musulmana, la spianata della Torre Hassan, per incontrare il popolo marocchino, le autorità, la società civile e il corpo diplomatico. "Qui il frutto del dialogo islamo-cristiano lo vediamo da 40 anni - ci dice - nella convivialità dei rapporti. La visita del Papa all'istituto voluto da re Mohammed VI per formare imam, predicatori e predicatrici, sarà un appoggio forte all'Islam moderato, aperto al dialogo, tollerante, che il Marocco propone da anni contro le correnti fondamentaliste e il terrorismo".

Ascolta l'intervista a mons. Lopez

R. – Il Marocco è un Paese in pieno sviluppo, con una forza economica considerevole. Si vedono costruzioni nuove ovunque, lo sviluppo delle strutture della comunicazione sono evidenti: io credo che sia il primo Paese dell’Africa ad avere il treno ad alta velocità, ad esempio; ci sono 2.000 km di autostrada … Economicamente, penso che il Paese stia affrontando uno sviluppo potente. Ma ci sono delle difficoltà nel campo dell’educazione, della cultura, della sanità: c’è molto da fare. E’ un Paese, anche, in cui la gioventù non ha troppa speranza: mi sembra che i giovani marocchini non abbiano grande fiducia nel loro Paese. Per questo, questo viaggio del Papa “Servitore della speranza” può aiutare la gioventù marocchina a essere fiera del proprio Paese. Io vedo che sono un po’ pessimisti … ma questo è un Paese che io amo molto …

Lei ha citato il logo della visita – “Servitore della speranza” – che è rivolto a tutti i marocchini, ma anche ai cattolici: per loro, cosa significa essere servitori della speranza, cosa significa essere cristiani in Marocco? Oggi, che frutti si aspettano da questa visita?

R. – Noi abbiamo scelto questo logo – “Servitore della speranza” – perché è il titolo dell’ultimo documento che cinque anni fa hanno prodotti i vescovi della Conferenza episcopale dell’Africa del Nord. Noi stiamo qui al servizio delle speranze di questo popolo: la speranza in un mondo nuovo, in una terra nuova. Cristo è la nostra speranza. Servitore della speranza, dunque, è servitore di Cristo, servitore del suo Regno. La missione della Chiesa è la stessa in Italia e in Marocco, cioè [lavorare per] un mondo di pace, di giustizia, di libertà, di vita, di verità, di amore.

Non hanno molta speranza, forse, i cinque milioni di marocchini che sono emigrati nel mondo, e molti ne accogliete anche dall’Africa subsahariana. L’incontro del Papa con una loro rappresentanza alla Caritas che significato ha, anche visto quello che sta succedendo in Europa con i porti chiusi?

R. – La situazione dell’emigrazione nel mondo intero è una situazione di sofferenza, perché non si fa questo viaggio per piacere: si fa perché ci sono necessità, perché ci sono condizioni di vita molto difficili. Noi, in quanto Chiesa, vogliamo essere in Marocco una Chiesa samaritana, una Chiesa del Buon Samaritano che vede un uomo ferito e si prende cura di lui per fare il necessario, senza domandare da dove vieni, dove vai, perché ti trovi in questa situazione … Noi vediamo i minori non accompagnati, le donne con bambini o incinta e dobbiamo fare il necessario, perché sono i nostri fratelli, perché sono figli di Dio. E lo facciamo veramente con molto amore, con molto entusiasmo. La presenza del Papa nella sede della Caritas, dove si lavora in favore “delle persone che migrano”, come a me piace definirle, sarà come un incoraggiamento: “Andate avanti”, perché questo è un compito che noi cristiani dobbiamo assumere. Il Papa darà un messaggio non soltanto alla Chiesa o al popolo marocchini, ma al mondo intero.

Questo viaggio conferma l’attenzione del Papa al dialogo con l’islam. Si notano in Marocco già effetti positivi del documento firmato ad Abu Dhabi dal Papa e dal Grande Imam di Al Azhar?

R. – Penso che questo documento sia molto, molto importante e valido, ma ci vorrà un tempo un po’ lungo per vederne i frutti. Il frutto del dialogo islamo-cristiano in Marocco si vede già, perché noi lo facciamo da 20, 30, 40 anni nella convivenza, nelle amicizie tra noi, nei lavori, nelle università dove i cristiani trovano i musulmani … non è che incomincia adesso. La visita del Papa confermerà questo lavoro che si fa da molto tempo. La visita all’Istituto Mohammed VI, che il re ha fondato per formare gli imam e i predicatori e le predicatrici, servirà per dare appoggio a questo islam moderato, tollerante, aperto agli altri che il Marocco propone al mondo intero, contro quelle correnti radicalizzate o fondamentaliste che ci sono anche in molti Paesi.

Pensa che re Mohammed VI, che è noto per la sua posizione contro il fondamentalismo islamico, ribadirà questa sua posizione nel suo discorso di benvenuto sulla Spianata della Torre Hassan?

R. – Sicuro. Sicuro, perché sempre il re approfitta di queste occasioni per ribadire la sua posizione di sempre, quella di un islam tollerante, un islam aperto, un islam che veramente accetta le minoranze religiose, che è contro ogni forma di terrorismo, contro ogni violenza per fare tutti insieme una dichiarazione di fraternità universale, come è stata fatta nel documento di Abu Dhabi.

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28 marzo 2019, 10:30