24 ore per il Signore. Arciv. Rino Fisichella: il perdono è il segno dell’amore

All’udienza generale, Papa Francesco ricorda la celebrazione penitenziale che venerdì aprirà l’ormai tradizionale iniziativa “24 ore per il Signore”, promossa in tutto il mondo dal Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. L’intervista al presidente del dicastero, arcivescovo Rino Fisichella

Barbara Castelli – Città del Vaticano

“Quanto sarebbe significativo che anche le nostre chiese, in questa particolare occasione, fossero aperte a lungo, per chiedere la misericordia di Dio e accoglierla nel Sacramento del Perdono”. Con queste parole Papa Francesco, alla fine dell’udienza generale, nei saluti in lingua italiana, ricorda la tradizionale iniziativa “24 ore per il Signore”, che si aprirà venerdì con la liturgia penitenziale nella Basilica Vaticana, alle ore 17:00. L’evento di preghiera e riflessione, giunto alla sesta edizione e promosso dal Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, ha come motto la frase tratta dal Vangelo di Giovanni: “Neppure io ti condanno” (Gv 8, 11). Il tema scelto, precisa ai microfoni di Vatican News l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del dicastero pontificio, “significa che nessuno davanti al Signore troverà un giudice, ma troverà piuttosto un padre che lo accoglie, lo consola e gli indica anche il cammino per rinnovarsi”.

Perdono, culmine dell’amore

In questa giornata, scandita dall’adorazione eucaristica, dalla riflessione e dall’invito alla conversione personale, si propone di contemplare l’immagine di Gesù, che offre la sua infinita Misericordia come occasione di grazia e vita nuova. Nel mondo c’è “bisogno di perdono”, sottolinea il presule, “perché il perdono è il segno dell’amore: se non avessimo la dimensione del perdono”, in qualche modo verrebbe “meno anche la dimensione dell’amore, perché nessuno di noi è perfetto”. Sul sito internet del Dicastero è disponibile il sussidio pastorale per celebrare le “24 ore per il Signore” nelle lingue italiano, inglese, francese, spagnolo e polacco.

Ascolta l'intervista all'arcivescovo Rino Fisichella

Giunta alla sesta edizione "24 ore per il Signore”. Quest'anno il motto è: “Neppure io ti condanno”. Quali saranno le specificità di questa edizione?

R. – Diciamo che la struttura rimane la stessa, vale a dire il momento profondo di adorazione eucaristica nel silenzio, nella pregheria, dove ognuno può ritrovare se stesso, pensare sulla propria vita e poi da lì, accostarsi al sacramento della confessione in modo da poter sperimentare in prima persona la misericordia di Dio. “Neppure io ti condanno” significa che nessuno davanti al Signore troverà un giudice, ma troverà piuttosto un padre che lo accoglie, lo consola e gli indica anche il cammino per rinnovarsi.

Lo scorso anno si è svolta anche nelle carceri. Davvero si tratta di un’occasione mondiale per scoprire o riscoprire la misericordia di Dio? Quanto c’è bisogno oggi di perdono nel mondo?

R. – C’è bisogno sempre di perdono, perché il perdono è il segno dell’amore. Se non avessimo la dimensione del perdono significherebbe che in qualche modo viene anche meno la dimensione dell’amore, perché nessuno di noi è perfetto. Ognuno di noi sa che alla fine ha bisogno di essere perdonato e di diventare a sua volta strumento per gli altri. Ma il perdono è il culmine dell’amore. Quando si ama, non solo si prendono le colpe su di sé, ma si è anche disposti a fare in modo tale che la persona amata possa di nuovo riprendere una vita di comunione, di relazione piena, perfetta. “24 Ore per il Signore” testimonia proprio questo. Da tante parti del mondo ci arrivano le adesioni a questa iniziata, l’ultima da Kinshasa, ma provengono dalla Malesia, dall’Australia, dall’America Latina, dal Messico, dall’Europa: non solo nelle carceri, ma anche negli ospedali si faranno “24 Ore per il Signore”. Quindi, direi che è una dimensione che si estende, si allarga a macchia d’olio proprio per andare incontro a quello che è la misericordia, che non ha confini, non conosce limiti.

Nella Lettera Apostolica “Misericordia et misera”, il Pontefice rimarca che il sacramento della riconciliazione ha bisogno di ritrovare il suo posto centrale nella vita cristiana. In concreto, cosa vuol dire?

R. – Significa che laddove abbiamo dimenticato il sacramento della confessione, abbiamo dimenticato anche un po’ della nostra umanità, abbiamo dimenticato noi stessi. Rimettere al centro della vita della pastorale della Chiesa, quindi delle nostre comunità, delle nostre parrocchie, di tutte le realtà ecclesiali, mettere di nuovo al centro il sacramento della riconciliazione equivale a far prendere coscienza di chi siamo veramente e di quello che è il cuore, il centro del messaggio evangelico, perché il cuore del Vangelo è: “Convertitevi e credete”, cambiate vita e sappiate che sarete sempre dinanzi all’amore di Dio.

A tre anni dal Giubileo della misericordia vuole mettere a fuoco alcuni frutti di quei mesi espressamente voluti da Papa Francesco?

R. – Il tema della misericordia è diventato non soltanto più comune nel nostro linguaggio ma certamente continua nella pastorale la spiritualità della misericordia. Anzi, approfitto dell’occasione per dire che già l’anno prossimo nel 2020, il Congresso mondiale della misericordia si celebrerà addirittura a Samoa, dall’altra parte del mondo, a indicare che la misericordia è una realtà di cui gli uomini hanno bisogno, di cui la Chiesa ha bisogno, di cui il mondo intero ha bisogno. Senza equivocare però sul tema della misericordia: la misericordia non è contraddittoria al tema della giustizia, la ingloba in sé. Si tratta di un primo scalino, un primo passo, poi la ingloba e la fa diventare consolazione, partecipazione, conforto, perdono.

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27 marzo 2019, 15:29