Esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana Esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana

Esercizi spirituali: portare i giovani nel cuore del mistero per trovare Dio

Dirigere lo sguardo verso l’alto, ritrovare lo stupore, scoprire i segni del Signore. Sono gli spunti che hanno animato la meditazione del pomeriggio dell’abate Gianni che sta predicando gli Esercizi spirituale al Papa e alla Curia Romana nella Casa Divin Maestro di Ariccia

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Cogliere “l’appuntamento di grazia” della notte per vivere in modo nuovo la Quaresima; contemplare le stelle per scorgere i segni di Dio; farsi poeta del Creato e monaco della voce interna che ognuno di noi ha; dare parola al silenzio per riscoprirsi autentici. Sono questi i fili che hanno guidato la meditazione del pomeriggio dell’abate di San Miniato al Monte di Firenze Bernardo Francesco Maria Gianni, nella quinta giornata di Esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana, presso la Casa Divin Maestro di Ariccia.

La poesia del firmamento colmo di stelle

Il benedettino evoca il profeta Baruc, l’Eccoci delle stelle che brillano di gioia per Colui che le ha create, richiamo alla luce della veglia pasquale che rompe le tenebre e che apre all’amore, al fuoco “che spezza le pietre del sepolcro e riconduce alla pienezza di vita”. Versi che si ritorvano anche nella poesia di Mario Luzi – afferma l’abate – o nel Cantico delle Creature di San Francesco dove la luna e le stelle sono “agente, soggetto, di quella lode”. Stelle che sorgono per dirci che la Pasqua è epicentro di speranza:

…di un amore che cambia radicalmente la storia, che cambia i cuori degli uomini, che apre prospettive inedite, di speranza che noi oggi vogliamo raccogliere per prepararci, attraverso la Quaresima, a celebrarle con tutta la purezza di cuore, la consapevolezza di pensiero, la forza di speranza necessarie perché non possiamo in nessun modo sminuire la grande portata della Pasqua nella nostra vita personale, comunitaria ed ecclesiale.

Tutto è riflesso di Dio

Nella meditazione del monaco Gianni, entra anche la poesia di Cesare Pavese per mostrare “lo sguardo antitetico” rispetto al profeta Baruc e a Luzi, quando l’autore parla di “stelle che non odono nulla”: riflesso di un momento storico difficile per l’avvicinarsi della Seconda Guerra Mondiale. E’ l’uomo che non si aspetta più nulla, “un cuore disperato e disperante”.

E se evoco questi versi, è per fare memoria di come possa essere ancora oggi, e forse ancora più oggi, il cuore di tante persone che attendono invece nell’intimo della loro intimità una possibilità nuova di tornare a guardare alla realtà, in una prospettiva finalmente sinfonica, dove le cose, se ci sono, è perché sono il riflesso dell’amoroso e sapiente disegno della Creazione di Dio, dove in realtà tutto è chiamato ad esistere per ascoltare e corrispondere al disegno, al desiderio e all’amore creativo di Dio.

Osare il silenzio

La notte diventa quindi il “momento della vigilanza che il silenzio propizia”, “il segno, l’indizio, la traccia di qualcuno che ci sta cercando”. E’ l’invito ad “osare il silenzio, ad osare uno spazio fecondo di quella misteriosa contemplazione che – dice l’abate Gianni - riporta finalmente il nostro cuore ad un possibile, nuovo stupore”, per accorgerci che “vale la pena sollevarsi da terra e guardare verso l’alto se riconosciamo nel firmamento un grande messaggio di bellezza e di amore che il Signore ci dona per orientarci per le vie del mondo”.

Un gesto di speranza, di contemplazione, a cui vogliamo rieducare soprattutto i nostri giovani, i quali non a caso, portano con sé nella notte il grande chiasso del giorno. Forse voi saprete che tanti sindaci delle nostre città, non sapendo più cosa inventare, hanno inventato la cosiddetta “Notte bianca”, cioè abitare la notte trascinandoci tutta una serie di attività, di divertimento, di commercio, di svago che segnala questo imbarazzo, questa incapacità a vivere la notte per quello che è, uno spazio di mistero, che chiede di andarci in punta di piedi per accorgerci dei segnali apparentemente più deboli, ma in realtà più eloquenti e preziosi che il Signore non si stanca di donare all’uomo che finalmente riscopre inquietudine, desiderio e attesa.

Riscoprire il poeta del nostro cuore

Nel contemplare il Creato, come scrive Papa Francesco nella Laudato si’, si ritrova “il libro stupendo” scritto da Dio che ci invita a “schiudere il nostro cuore ad una contemplazione poetica”.

Credo ognuno di noi debba riscoprire – lasciatemelo dire con passione fraterna – un piccolo poeta che vive nel proprio cuore, come un fanciullo, capace di toccare il cielo con un dito, capace di comporre le parole di quella libertà che è una ritrovata creatività, che lo Spirito non fa mancare a ciascuno di noi, può restituirci intuizioni inedite e lasciare dietro di noi, finalmente, una scia di bellezza, di leggerezza, di gratuità, di mistero.

Solo così nel silenzio si può “aguzzare la nostra sete”, ad esplorare la propria sacralità decifrando quella del mondo, come scriveva il filosofo francese Paul Ricoeur.

La paura di abitare la notte

L’abate ricorda anche la poetessa Mariangela Gualtieri e il suo insistere sull’essere “non solo terrestri” perché capaci di stupirsi. Uno spunto per ribadire che “ci sono tantissime persone che potrebbero ripartire a cercare Dio se permettiamo loro di guardare ad una ragnatela e ad un nido con uno sguardo di stupore; se li portiamo via dalle città fatte di vetro e di metallo e gli proponiamo un giardino”, “se ci riconosciamo finalmente con un pochino più di umiltà, che in realtà tutti noi abbiamo una voce sepolta dentro di noi”.

Abbiamo sempre più paura ad abitare la notte e il suo rischio di vuoto e di deserto. Ascoltare ciò che manca. L’intesa fra tutto ciò che tace. È la sintesi di tutto quello che confusamente vi ho cercato di dire in questa meditazione. Ascoltare ciò che manca significa riuscire a dare parola al silenzio, come tante volte la scrittura ci invita a fare. Non è così banale e semplice stare in ascolto del Signore.

Il piccolo monaco del nostro cuore

In questa suggestiva immagine, il benedettino ricorda che solo “ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo si espone al reale nella sua nudità”, ad un vuoto nel quale sperimenta la presenza di Dio. E’ il rischio del monaco – “un piccolo monaco del nostro cuore” -  che vive di essenziale e lì riscopre la comunione con gli uomini.

Il problema adesso è avere l’umile coraggio di portare nel cuore del silenzio, nel cuore della notte, i nostri giovani, le persone che ci sembrano lontane, esporle ed esporci al rischio del vuoto, perché solo così finalmente la realtà può tornare ad avere un respiro di mistero e il senso di una potenziale comunione con Dio, creatore di tutte le cose e con tutti i fratelli che solo l’amore pasquale del Signore Gesù può donarci, lasciandoci vincere ogni paura, ogni rassegnazione, ogni rifiuto.

La Chiesa e il tempo sospeso

Citando una sociologa francese, l'abate Bernardo Francesco Maria Gianni parla della Chiesa come di un percorso,  “dunque la luce, i suoni, gli spazi, devono esser narrazione di un itinerario”, ma entrando nella Chiesa il tempo si arresta perché è sospeso.

Si può recuperare un’interiorità attraverso la sospensione della ripetitività quotidiana che è peraltro quella della vita professionale. In questo trovo per i monasteri una riserva di significato e di senso e di missione per il nostro tempo, essere cioè luoghi dove – come diceva Thomas Merton – si entra nella diocesi della notte e nel ministero del silenzio, perché le persone uscendo da questa griglia oggettiva della doverosità quotidiana, fatta di orari incalzanti, possono riscoprire la grazia di un tempo che si sospende e la possibilità finalmente di alzare lo sguardo verso il cielo e scoprirlo pieno di stelle.

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14 marzo 2019, 19:02