2019.02.21 Incontro Protezione minori nella Chiesa 2019.02.21 Incontro Protezione minori nella Chiesa 

Card. Tagle: mancanza di risposte ha lacerato la gente. Ora guarire le ferite

“L’odore delle pecore”. Sentire le difficoltà e guarire le ferite, centro del compito del pastore: è il tema della prima relazione dell’Incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”, che si è aperto stamattina in Vaticano, tenuta dal cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila

Debora Donnini – Città del Vaticano

“In questo momento di crisi, originato dall’abuso dei bambini e dalla nostra cattiva gestione di questo crimine” la strada per portare “guarigione” che il cardinal Luis Antonio Tagle indica è quella, prima di tutto, di avvicinarsi alle ferite della gente, senza avere paura di essere feriti, riconoscendo “i nostri peccati” per poter dare una “testimonianza autentica”. ”A guidarci”, sottolinea il porporato, deve essere “una prospettiva di fede ed ecclesiale”, come ha esortato più volte Papa Francesco, affinché la Chiesa sia capace di procedere in una missione di riconciliazione con il mondo ferito.

Assumere responsabilità

Si parte dunque dalla constatazione che “la mancanza di risposte da parte nostra alla sofferenza delle vittime, fino al punto di respingerle e di coprire lo scandalo al fine di proteggere gli abusatori e l’istituzione ha lacerato la nostra gente, lasciando una profonda ferita nel nostro rapporto con coloro ai quali siamo inviati per servirli”. “Ciascuno di noi, come pure i nostri fratelli e sorelle che sono a casa", dice, deve "assumere personalmente la responsabilità di portare la guarigione a questa ferita inferta al Corpo di Cristo”, e "l’impegno di fare tutto quanto sia in nostro potere e capacità” per fare in modo che i bambini, nelle nostre comunità, siano al sicuro.

La sua relazione è la prima di questo Incontro sulla Protezione dei minori nella Chiesa, voluto dal Papa, che si apre oggi e si chiuderà domenica. Una riflessione con i presidenti di tutte le Conferenze episcopali del mondo, ne sono presenti 114 in totale, 14 capi delle Chiese cattoliche orientali e altri. In tutto 190 persone.  Un summit che coinvolge dunque l’intera Chiesa. L’incontro, che oggi verte sul tema della responsabilità dei vescovi ed è stato introdotto, prima, dal Papa, è scandito da momenti di preghiera, di ascolto delle vittime, da relazioni, domande e gruppi di lavoro. Non è il punto di partenza del contrasto agli abusi sui minori, iniziato poco meno di 20 anni fa con l'introduzione di leggi più severe. E' sicuramente una tappa fondamentale, voluta da Papa Francesco per aiutare i vescovi, perché si prenda ancora più coscienza prima di tutto del dramma delle vittime e si conoscano le procedure che ai diversi livelli si devono attuare.

Primo passo avvicinarsi alle ferite inferte al Corpo di Cristo

E’ proprio l’avvicinarsi alle ferite della gente, il primo passo dell’esortazione del cardinale Tagle. Ferite inflitte dall’abuso di minori da parte di sacerdoti ordinati “non solo alle vittime ma anche alle loro famiglie, al clero, alla Chiesa, alla società nel senso più ampio, agli stessi abusatori e ai vescovi”, sottolinea all’inizio del suo discorso.  “Ma è anche vero, e noi lo ammettiamo umilmente e con grande tristezza - afferma -  che queste ferite sono state inflitte da noi vescovi alle vittime e quindi di fatto all’intero Corpo di Cristo”. La gente si è quindi domandata come proprio coloro che dovrebbero avere su di sé l’odore delle pecore, siano scappati davanti “al fetore della sporcizia gettata sui bambini e sulle persone vulnerabili” - che invece avrebbero dovuto proteggere - “perché era troppo acre da sopportare”.

La direzione è allora quella di capire e interrogarsi su “come possiamo proprio noi vescovi, che siamo stati partecipi del ferimento, promuovere oggi una guarigione in questo contesto specifico”. Il tema della guarigione è infatti al centro di molti studi interdisciplinari e il cardinale non pretende di conoscere tutti i ritrovati delle scienze sociali e umane sull’argomento ma nota che c’è bisogno di recuperare “una prospettiva di fede ed ecclesiale”. Ad aiutarlo nelle sue riflessioni, ricorda, sono stati gli studi di Roberto Goizueta, Richard Horsley, Barbara Reid, Tomas Halik, Robert Enright e il cardinale Albert Vanhoye. Alcuni loro contributi vengono citati in questa relazione.

L'apparizione di Gesù risorto ai discepoli e a Tommaso

Per questo sceglie di riflettere in particolare su una pagina del Vangelo: quella dell’incontro di Gesù risorto con i discepoli, nel quale mostra le sue piaghe e, poi, con Tommaso, quando lo esorta proprio a mettere la mano nel suo costato. Da qui, il porporato invita prima di tutto a riconoscere le piaghe di Gesù in quelle delle persone ferite.

Giustizia e perdono

L’arcivescovo di Manila affronta poi un tema centrale: quello della giustizia e del perdono. In questa seconda parte della sua relazione, si offre una “proposta psicologica alla luce della fede”, affidandosi al dr. Robert Enright, professore all'Università del Wisconsin-Madison negli Stati Uniti, pioniere nello studio socio-scientifico del perdono, con cui, tra l’altro, sta collaborando al programma di perdono nelle Filippine. Secondo lui, uno dei punti da valutare è, una volta ottenuta la giustizia, come possiamo aiutare le vittime a guarire dagli effetti degli abusi.

“La giustizia è necessaria, ma da sola non basta per guarire il cuore dell’uomo”, avverte il porporato. Dobbiamo prendere sul serio la loro ferita di risentimento e dolore e la necessità di guarigione. Il risentimento è una malattia, che infetta lentamente e costantemente le persone, fino a quando uccide il loro entusiasmo e la loro energia. Con l'aumento dello stress, sono inclini a fortissime crisi di ansia e depressione, a una bassissima autostima e a conflitti interpersonali che vengono dalla frattura interiore subita. Prima di sollevare la questione di chiedere alle vittime di perdonare come parte della loro guarigione, bisogna chiarire che non stiamo suggerendo di “lasciare perdere tutto, giustificare l’abuso e semplicemente andare avanti”. “No. Assolutamente no”, sottolinea con forza. Bisogna tenere presente che quando le vittime “arrivano al momento del perdono” nei confronti di chi ha fatto loro del male, “avviene una guarigione veramente profonda” e il comprensibile risentimento si pacifica.  Il perdono è quindi una via potente, anche scientificamente, per eliminare il dolore.

Il perdono è un dono, non spetta di diritto

L’esortazione che, dunque, il porporato rivolge è quella di camminare con “le persone profondamente ferite dall’abuso”, costruendo fiducia e dando amore incondizionato, “e ripetutamente chiedendo perdono nella piena consapevolezza” che “quel perdono - dice - non ci spetta di diritto ma che potremo riceverlo soltanto se ci viene elargito come un dono e una grazia nel processo di guarigione”.

“Siamo preoccupati per il fatto che in alcuni casi vescovi e superiori religiosi siano tentati – a volte forse addirittura sotto pressione – di scegliere” chi aiutare tra la vittima e l’abusatore. La riflessione su giustizia e perdono porta alla risposta: “tutti e due”, afferma il cardinale Tagle, ricordando che le vittime devono essere aiutate a guarire dalle loro ferite profonde e, per gli abusatori, “è necessario applicare la giustizia, aiutarli a guardare in faccia la verità senza razionalizzazioni, e allo stesso tempo a non trascurare il loro mondo interiore”. Si tratta di passare dal pensare in termini di “o/oppure” all’ “entrambi/e”. E quindi porsi una serie di domande, ad esempio come “possiamo prevenire un perdono distorto in modo che non sia equiparato al lasciar scappare via l’ingiustizia” o come mantenere un’ottica attenta al perdono e al tempo stesso impegnarci per la giustizia. 

La fede ri-nasce dalle ferite di Gesù toccate nelle ferite umanità

Gesù, risorto ma ancora ferito, che appare ai discepoli dicendogli “Pace a voi” è, come detto prima, il brano evangelico che illumina tutto il suo discorso, contrassegnandolo con una prospettiva di fede. Solo dopo aver messo la mano nel costato di Gesù, Tommaso lo riconosce come il Signore. Toccare le ferite appare quindi come fondamentale per la professione della fede. Questo significa che coloro che sono inviati a proclamare la morte e resurrezione di Cristo, “potranno farlo con autenticità solo se saranno in contatto con le ferite dell’umanità”, mette in evidenza il porporato. E questo vale per la Chiesa “specialmente ai nostri tempi”. Tagle si rifà alla riflessione di mons. Tomas Halik, sacerdote ceco e professore, che sottolineava che per vivere una fede autentica, non si possono chiudere gli occhi di fronte alle ferite dell’umanità, che sono le ferite di Cristo. La fede nasce e “ri-nasce” solo dalle ferite del Signore, crocifisso e risorto, toccato nelle ferite dell’umanità.

E’ vero che le ferite della crocifissione sul Signore risorto sono “una sfida alla logica umana”. Gesù, infatti, non si è presentato con un trionfo finale, eliminando ogni segno di sofferenza. Ma, come rileva Roberto Goizueta, “le ferite sul corpo glorificato di Cristo rappresentano la memoria incarnata delle relazioni che hanno definito la sua vita e la sua morte”.  Proprio le piaghe di Cristo sono la conseguenza del suo rapporto amorevole con i poveri, i malati, gli esattori delle tasse, le donne di dubbia reputazione, i bambini rumorosi, gli stranieri e così via. Le ferite di Gesù sono infatti “le ferite degli altri che lui ha preso su di sé”, e quindi ricordano “quell’amore pronto a essere ferito per compassione” nei confronti dell’uomo. E solo le ferite d’amore possono guarire.

Le ferite ricordano la sofferenza innocente e il tradimento

Pertanto, il cardinale Tagle esorta ad avvicinarsi alle ferite della gente senza la paura di essere feriti. E’ vero che le ferite ricordano il tradimento, come lo ricordarono ai discepoli che per paura scapparono e addirittura Pietro negò di conoscere il Signore. Le piaghe di Gesù ricordano “anche a noi - afferma - che le ferite spesso sono inflitte dalla cecità che viene dall’ambizione e dal legalismo e dall’uso improprio del potere che hanno condannato una persona innocente a morire da criminale”. Le piaghe di Cristo risorto portano quindi "la memoria della sofferenza innocente, ma anche della nostra debolezza e della nostra immoralità".

Per guarire non aver paura della vulnerabilità

Per essere “operatori della guarigione” – avverte il cardinale Tagle – “dobbiamo rigettare” quindi qualsiasi tendenza del “pensiero mondano” che rifiuta di toccare le ferite degli altri. Le persone ferite da abuso e scandalo hanno bisogno di testimonianze autentiche della risurrezione di Cristo, “che ci avvicinino alle sue ferite come primo atto di fede”, dice insistendo proprio sul fatto che si tratta di un “atto di fede”.

Oggi però nel cuore delle persone, e nel nostro stesso cuore, “c’è una grande paura” che induce a evitare di toccare le ferite del mondo, perché si ha paura di guardare in faccia la propria “mortalità, debolezza, immoralità”. Come sottolineava Goizueta: “se rinneghiamo la morte, noi infliggiamo la morte”. Dolore e sofferenza ci ricordano infatti che siamo vulnerabili anche se – nota il cardinale Tagle – siamo stati ingannati a credere” che tanto denaro, la giusta polizza assicurativa, le telecamere a circuito chiuso, l’ultimo modello di automobile o l’appartenenza a club che procurano ringiovanimento, “possano renderci immortali”. E con questo eliminiamo dalle strade le persone ferite fra di noi, quando ci sono “visite di personalità importanti”, o si nascondono “le loro baracche dietro a pannelli dipinti”.

Ma il porporato filippino segnala che la paura del dolore porta “a evitare” rapporti umani veri e quel “vero amore che implica la resa e la vulnerabilità di fronte all’altro”, la paura del dolore uccide la nostra vita interiore e “ci rende indifferenti di fronte alle necessità degli altri”. La nostra capacità di amare potrebbe quindi morire. La paura induce anche ad “atteggiamenti violenti e irrazionali”, “a difendersi quando non c’è nessun pericolo”, e “coloro che seminano il terrore negli altri e nella società in realtà hanno paura di se stessi”, nota ancora il cardinale Tagle. In Gesù risorto l’esperienza è che invece toccando le ferite di chi soffre, tocchiamo Gesù stesso, “riconosciamo la nostra colpa comune nell’infliggere ferite”, “sentiamo la chiamata alla riconciliazione” e vediamo la presenza del Signore “nel nostro mondo spaccato”.

“Lettera al popolo di Dio pellegrino in Cile”

Prima di concludere il cardinale Tagle ha voluto citare un brano della “Lettera al popolo di Dio pellegrino in Cile”, del 31 maggio dello scorso anno, nella quale appunto il Papa chiarisce l’importanza di partire da una visione di fede, altrimenti “qualsiasi cosa potremmo dire o fare andrebbe a vuoto”. Una certezza imprescindibile per guardare al presente senza evasività ma con audacia, con tenacia ma senza violenza, per cambiare quello che può mettere a rischio l’integrità della persona: le soluzioni di cui c’è bisogno richiedono che si affrontino i problemi senza farsene irretire, “o peggio ancora, ripetere quegli stessi meccanismi che vogliono eliminare”.

“Speriamo che la Chiesa diventi una comunità di giustizia” che viene dalla comunione e dalla compassione, afferma, in conclusione, il porporato filippino ribadendo che il Signore crocifisso e risorto è “in mezzo a noi, in questo momento”: “ci mostra le sue ferite e proclama: ‘La pace sia con voi!’”.

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

21 febbraio 2019, 11:45