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Panama e il Canale, il Paese dai due orizzonti

Il Canale è il simbolo di Panama, ricchezza di una piccola nazione che governa il transito dei giganti del mare. Qui, dove basta un breve giro in auto per ammirare due oceani, anche l’imminente Gmg acquista una forza profetica: rinnovare l’invito di Papa Francesco ai giovani a “sognare in grande”

Alessandro De Carolis – Città di Panama

“Solo a Panama in un’ora si può passare dalla costa del Pacifico a quella dell’Atlantico”. Lo dice con un orgoglio contenuto l’autista che accompagna i giornalisti di Vatican News e Radio Vaticana Italia alla scoperta del Canale. Mentre con il van zigzaghiamo in mezzo al traffico che a tutte le ore sembra l'ora di punta, la città che sta per accogliere il Papa racconta chilometro dopo chilometro – dal monumento dei “Martiri della Patria” alle costruzioni che fino a vent’anni fa ospitavano un presidio di 13 mila soldati americani – la storia di un’opera monumentale che ha cambiato per sempre faccia e destino di un Paese affacciato su due orizzonti.

Un sogno da secoli

La scintilla che porta alla costruzione dell’“ottava meraviglia del mondo” scocca già agli inizi del Cinquecento. Poco dopo la scoperta del Nuovo Mondo, il conquistatore spagnolo, Vasco Núñez de Balboa, attraversa l’istmo di Panama e si trova inaspettatamente davanti a un’enorme distesa d’acqua sconosciuta. Per l’esploratore è il “Mare del Sud”, in realtà sta ammirando l’Oceano Pacifico. Nei secoli successivi, quando la circumnavigazione di Capo Horn, luogo di tempeste e naufragi, diventa un’impresa che sfida il coraggio dei marinai più esperti, l’idea di “tagliare” la sottile striscia di terra diventa progetto. A proporlo per primo è Ferdinand de Lesseps, il genio del Canale di Suez, ma stavolta le cose non vanno come sul Mar Rosso e la sfida fallisce. Passano tuttavia pochi anni e nel 1901 gli Usa, con i traffici della California in piena espansione, intuiscono la portata strategica del Canale e ottengono dal governo dell’allora “Grande Colombia”, che comprendeva Panama, l’autorizzazione a costruirlo.

Tra due oceani

Dopo anni di studi e qualche controversia politica, nel 1907 si parte. La possibilità di spianare sui due versanti la terra dell’istmo portandola a livello del mare da est a ovest viene esclusa subito, tecnologia e finanze non lo consentono. Il piano prevede invece la costruzione di un sistema di chiuse che, nelle due direzioni, portino le navi in transito a sollevarsi in tre riprese fino al punto più alto dell’istmo, ai 26 metri del lago di Gatún, per poi ridiscendere in modo analogo sul lato opposto. La roccia è durissima, la vegetazione selvaggia, con fiumi e dislivelli a rendere improbo il lavoro. Centinaia di operai lavorano per sette anni e il 3 agosto 1914 il varco è aperto. Gli Stati Uniti – che nel 1903 si erano assicurati la gestione dell’opera fino alle 12 del primo gennaio Duemila – diventano i controllori del traffico navale che in 100 anni porta il Canale ai circa 15 mila transiti attuali. Dal 2016, l’ampliamento del Canale con due nuove chiuse ha portato al raddoppio dei passaggi - il tempo medio di percorrenza è di 8-10 ore - con tariffe che vanno dai 50 mila dollari di una nave da carico media ai 200 mila per una nave da crociera (ma una nave portacontainer due anni fa ha sborsato la cifra record di 830 mila dollari).

Canale “nostrum”

Oggi, nel rispetto degli accordi, è lo Stato panamense ad amministrare il Canale, una delle fonti principali di ricchezza del Paese. Ma c’è una pagina di sangue a precedere questo esito, peraltro previsto. Il 9 gennaio 1964 centinaia di studenti inscenano una protesta rivendicando la sovranità di Panama e tendando di entrare con la forza nel presidio americano. Tre giorni di scontro, violento, costano la vita a una ventina di giovani e quattro soldati statunitensi. L’autista che ci guida tra la Cinta Costera e i vicoli di Panama vecchia ci indica a un tratto il luogo della memoria, che ricorda un evento indelebile ai panamensi della sua età.

Senza confini

Poi il traffico si scioglie e l’ingresso al Canale diventa un anticipo della festa che qui si respira un po’ dovunque. A centinaia i ragazzi della Gmg affollano gli spazi dedicati alle visite turistiche, tra video storici, modellini di vecchi cargo e il simulatore della plancia di un rimorchiatore che, un selfie via l’altro, diventa occasione per sentirsi piloti un po’ speciali. E mentre dalla cima del palazzo delle visite si ammira la lentissima uscita di una nave verso l’oceano viene da pensare, per contrasto, allo slancio che ha portato a convergere su Panama ragazzi da tutto il mondo. E, per analogia, alle parole del Papa alla veglia del raduno di Cracovia 2016, quando spronò i giovani a rifiutare la “divano-felicità” per camminare, disse, “su strade mai sognate e nemmeno pensate”, perché Gesù “proietta all’orizzonte mai al museo”. Qui nella piccola Panama, dove gli orizzonti immensi sono due, la Gmg, verrebbe da dire, ha già raddoppiato le speranze di Francesco.

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I giovani della Gmg in visita al Canale di Panama
22 gennaio 2019, 11:18