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Lo storico accordo tra Etiopia ed Eritrea, citato come segnale di pace dal Papa Lo storico accordo tra Etiopia ed Eritrea, citato come segnale di pace dal Papa 

Sant’Egidio: segnali di pace in Africa e Asia, il Papa fa bene ad evidenziarli

Con il responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio, Mauro Garofalo, rileggiamo il discorso di Papa Francesco al Corpo diplomatico, quando elenca i “segnali di pace” emersi nel 2018: dall’accordo Etiopia-Eritrea, all’intesa tra i due leader del Sud Sudan, fino al cammino di pace tra Nord e Sud Corea

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

“Condivido in pieno l’ottimismo di Papa Francesco per l’accordo tra Etiopia ed Eritrea, perché è tutto il contesto che dà speranza. Quest’anno, nonostante le difficoltà che perdurano, come in Siria, ci sono stati davvero segnali positivi, e il Papa fa bene a sperare e a diffondere questa speranza”. Mauro Garofalo è il responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio, e segue tutti i fronti nei quali è impegnata la diplomazia della speranza cristiana dell’”Onu di Trastevere”. A fine gennaio tornerà a Bangui per il difficile cammino di pace che coinvolge il governo e i tanti gruppi politico-militari presenti nella Repubblica Centrafricana.

Fa sperare il "dinamismo positivo" del continente africano

Con lui parliamo dei segnali di pace individuati dal Pontefice nel suo discorso al Corpo diplomatico di lunedì: dallo “storico accordo” tra Etiopia ed Eritrea, dopo più di 20 anni di conflitto, all’intesa tra i leader del Sud Sudan, il presidente Salva Kiir e l’ex vicepresidente Riek Machar, che ha permesso, dopo 5 anni di guerra civile, ricorda Francesco “di riattivare il funzionamento delle istituzioni nazionali”. Infine il Papa ricorda i “segnali positivi” che arrivano dalla penisola coreana. Iniziamo dall’accordo tra Etiopia ed Eritrea…

R. – I segnali positivi ci sono tutti: è un accordo storico che pone fine a un lungo periodo di ostilità e di rottura di relazioni diplomatiche. Ed è tutto il contesto che dà speranza: perché non è solo l’accordo tra Etiopia ed Eritrea, ma è anche un rinnovato dialogo politico all’interno del Paese e un sanare le fratture all’interno della Chiesa ortodossa etiopica, che – ricordiamo – è la prima grande Chiesa originale africana. Quindi sono tutti segnali positivi che fanno ben sperare: ovviamente ci sono stati anche altri contraccolpi, ma sembra reggere bene. Quindi condivido a pieno questo ottimismo.

 

In Sud Sudan, l' intesa sottoscritta dai leader potrà avere un futuro?

R. – È un accordo, quello tra l’SPLM-IG e l’SPLM-IO e anche altre entità dell’opposizione, che è stato fin dall’inizio circondato da scetticismo. Per questo le parole del Santo Padre vanno un po’ in controtendenza: è un accordo a cui va dato un minimo di speranza di possibilità di svilupparsi. Noi abbiamo ascoltato anche le parti in causa. È una struttura complessa, che bisognerà implementare in tutte le sue fasi, ma è un segno positivo. E soprattutto, vista anche l’instabilità e la violenza diffusa in questo Paese, è un segno di speranza a cui non si può rispondere solo con il pessimismo, ma bisogna cercare di farlo camminare con le sue gambe nei prossimi mesi.

 

Il Papa parla però anche di gravi tensioni che permangono nel continente africano, e di diffusa povertà. Vogliamo ricordare quali sono le emergenze più forti?

R. – Sì, purtroppo ce ne sono molte. Lui cita alcuni Paesi, soprattutto della fascia saheliana, che sono toccati da violenze fondamentaliste, in particolare il Mali, il Niger, la Nigeria; senza dimenticare anche altri Paesi dell’Africa Centrale o dell’Africa Occidentale in cui ancora c’è violenza. Penso al Camerun con la situazione irrisolta della parte anglofona del Paese; penso alla Repubblica centrafricana, e ancora ad altri Paesi, come la Repubblica Democratica del Congo e il suo processo elettorale. C’è preoccupazione, però non è una preoccupazione senza speranza, anche perché c’è un “dinamismo positivo”, dice il Santo Padre, in generale del continente africano, con segni di speranza non solo sul piano politico, ma anche su quello dello sviluppo.

 

Spostiamoci in Asia, nella penisola coreana. Il dialogo aperto tra Nord e Sud Corea darà frutti nel prossimo futuro?

R. – Frutti ce ne sono già stati, come un grande alleggerimento dello scenario della Penisola coreana, un dialogo aperto che si pensava difficile o addirittura impossibile fino a qualche mese fa. Il dialogo aperto con gli Stati Uniti con i quali a breve ci dovrebbe essere un altro summit, e il dialogo con la Corea del Sud, invece: sono tutti segnali positivi che indicano che c’è voglia di collaborare. È chiaro che un esito positivo di questi dialoghi che sono ancora in una fase inziale – lo ricordiamo – beneficerà tutta l’area. Noi, come Sant’Egidio, siamo stati recentemente in una missione a Pyongyang, e abbiamo visto le difficoltà che sono lì presenti, ma ci si può lavorare.

In conclusione, fa bene Francesco a sperare in un futuro di pace per tutto il mondo? Ci sono segnali che fanno sperare?

R. – Diciamo che la storia è piena di sorprese. Lungo quest’anno ci sono state, nonostante le difficoltà perduranti, come per esempio in Siria: ci sono stati dei segnali positivi. Il Papa fa bene a sperare e a diffondere questa speranza. E anche molti guardano alla Chiesa come una speranza. E quindi assolutamente sì.

Ascolta l'intervista a Mauro Garofalo (Sant'Egidio)

 

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09 gennaio 2019, 14:09