Francesco: Il Collegio del Gesù palestra nell’arte del vivere

Il Papa alla Comunità del Collegio Internazionale del Gesù nel 50° della fondazione per iniziativa p. Arrupe: "questo giubileo è un momento di grazia per fare memoria"

Emanuela Campanile - Città del Vaticano

Fondarsi, crescere e maturare sono i tre verbi che Papa Francesco ha 'consegnato' nel suo discorso alla Comunità del Collegio Internazionale del Gesù di Roma, ricevuti oggi nella Sala del Concistoro. Facendo memoria della storia del Collegio - fondato nel 1968 da p. Arrupe, Preposito Generale dal 1965 al 1983 - e della missione della Compagnia, il Pontefice definisce la Comunità "vivaio che porta il mondo a Roma e Roma nel mondo, la Compagnia nel cuore della Chiesa e la Chiesa nel cuore della Compagnia".

Formarsi è fondarsi

E' nel "fare memoria", mette in risalto Papa Francesco, il punto da cui partire per avere radici solide e, di conseguenza, per crescere:

“[ Voi abitate la casa dove Sant’Ignazio visse, scrisse le Costituzioni e inviò i primi compagni in missione per il mondo. Vi fondate sulle origini. È la grazia di questi anni romani: la grazia del fondamento, la grazia delle origini (...) Siete chiamati in questi anni a crescere, affondando le radici (...) Avere radici è avere un cuore ben innestato, che in Dio è capace di dilatarsi]”

Non c'è crescita senza crisi

Con lo sguardo ai pericoli di ciò che può intaccare il processo della crescita, il Pontefice indica "il male peggiore":

“Crescere, mettere radici significa lottare senza tregua contro ogni mondanità spirituale, che è il male peggiore che ci può accadere, come diceva Padre de Lubac. Se la mondanità intacca le radici, addio frutti e addio pianta. E per me, questo è il pericolo più forte in questo tempo: la mondanità spirituale che ti porta al clericalismo. Se invece la crescita è un costante agire contro il proprio ego, ci sarà molto frutto”

Libertà e obbedienza

"Due segni positivi di crescita", prosegue, sono "la libertà e l’obbedienza: due virtù che avanzano se camminano insieme". La libertà che deriva dallo Spirito Santo, spiega il Papa, e "la libertà da se stessi". L'obbedienza, infine, seguendo l'esempio di Gesù:

“Lo Spirito di Dio liberamente parla a ciascuno attraverso sentimenti e pensieri; non può essere rinchiuso in tabelle, ma va accolto col cuore, in cammino, da figli liberi, non da servi. Vi auguro di essere figli liberi che, uniti nelle diversità, lottano ogni giorno per conquistare la libertà più grande: quella da sé stessi (...) Come per Gesù, anche per noi il cibo della vita è fare la volontà del Padre e dei padri che la Chiesa dona.”

Si matura mettendo frutti

Maturare, per il Pontefice, significa dunque esserci e quindi, fare missione. Citando il discorso del '73 di San Paolo VI - considerato da Francesco il "messaggio" "più profondo di un Papa alla Compagnia" -  sottolinea la chiamata dei gesuiti ad essere "Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili":

“Non si matura nelle radici e nel tronco, ma mettendo fuori i frutti, che fecondano la terra di semi nuovi. Qui entra in gioco la missione, il porsi a tu per tu con le situazioni di oggi, il prendersi cura del mondo che Dio ama”

Non aver paura della sofferenza

Con l'invito a portare davanti al Crocifisso e nell'Eucarestia la sofferenza di cui si è testimoni, accostando "al ministero della Parola il ministero della consolazione", il Papa invita i presenti a "portare i pesi gli uni degli altri. E non solo i pesi delle reciproche fragilità, ma delle diverse storie, culture, delle memorie dei popoli". 

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03 dicembre 2018, 12:40