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Papa Francesco a Lampedusa lancia una corona di fiori per le vittime  del mare Papa Francesco a Lampedusa lancia una corona di fiori per le vittime del mare 

Messa del Papa per i migranti nel ricordo di Lampedusa

Venerdì 6 luglio, alle ore 11.00, Papa Francesco celebrerà una Messa per i Migranti, all’Altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro

La Messa coincide con il quinto anniversario della visita di Papa Francesco a Lampedusa avvenuta l’8 luglio del 2013. Sarà un momento di preghiera per i defunti, per i sopravvissuti e per coloro che li assistono, riferisce il direttore della Sala stampa della Santa Sede Greg Burke. È prevista la presenza di circa 200 persone, fra i quali rifugiati e persone che se ne prendono cura.

Un ricordo di quella storica visita nelle cronache del Radiogiornale della Radio Vaticana


Il Papa a Lampedusa: chi ha pianto per quanti sono morti in mare? No a globalizzazione dell’indifferenza

◊ In mezzo a chi soffre per scuotere le coscienze e vincere l’indifferenza che ci rende insensibili. E’ quanto Papa Francesco ha testimoniato, stamani, con la sua storica visita a Lampedusa. Il Papa venuto dalla “fine del mondo” ha voluto compiere il suo primo viaggio apostolico nell’estrema periferia dell’Europa, dove la sofferenza dei migranti in cerca di speranza si incrocia con la generosità della comunità dell’isola. Momento culminante della visita, tanto breve quanto intensa, è stata la Messa all’“Arena”, il piccolo stadio di Lampedusa gremito di fedeli e migranti, oltre 10 mila persone. Poco dopo le 15.00, il rientro in Vaticano. Sulla celebrazione di Papa Francesco, il servizio di Alessandro Gisotti:

La periferia che diventa centro, gli ultimi che diventano i primi. E’ il “miracolo” compiuto da Francesco a Lampedusa. Il Papa doveva venire qui, lui stesso confida questa necessità del cuore. Doveva guardare, sentire, abbracciare chi soffre e chi si fa ogni giorno “buon samaritano” per gli ultimi. Alla Messa, dal palco, può scorgere le carcasse delle imbarcazioni dei migranti. E il suo pastorale – come il calice, l’ambone, l’altare – è realizzato con il legno delle barche che ogni giorno solcano il mare di Lampedusa. Simboli, come la scelta delle letture e i paramenti, che vogliono sottolineare la dimensione penitenziale della celebrazione. Il Pontefice inizia l’omelia indicando proprio il motivo per il quale si è recato a Lampedusa: l’ennesima tragedia della migrazione. Una notizia, ha detto, che è stata “come una spina nel cuore che porta sofferenza”, pensare a quelle barche che “invece di essere una via di speranza sono state una via di morte”:

“E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta, per favore!”.

Il Papa non manca però di ricordare subito, con gratitudine, quanti, a Lampedusa come a Linosa, mostrano attenzione per le persone che viaggiano “verso qualcosa di migliore”:

“Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie!”.

E ringrazia espressamente il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, e l’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, per quello che fa, per l’aiuto, la sua vicinanza pastorale. Poi aggiunge:

“Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: O’ Scià!”

Il Papa ha così rivolto il pensiero alle domande che le letture del giorno suscitano alla coscienza di ogni uomo, di ogni tempo. “Adamo, dove sei?”, “Caino dov’è il tuo fratello”. Con il peccato, ha osservato, si rompe l’armonia e l’altro “non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere”. L’uomo diventa allora “disorientato” perché ha perso “il suo posto nella creazione” e crede “di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio”:

“Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito”.

“Dov’è tuo fratello?”, domanda ancora il Papa. Questa, ha ribadito, “non è una domanda rivolta ad altri”, ma a ciascuno di noi:

“Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!”

Quindi, ha denunciato con forza l’azione dei trafficanti, “quelli che sfruttano la povertà degli altri” e ne fanno “una fonte di guadagno”. Richiamando poi l’opera letteraria spagnola Fuente Ovejuna, ha evidenziato che anche oggi, come nella commedia di Lope de Vega, siamo portati a rispondere “tutti e nessuno” quando vengono chieste le nostre responsabilità:

“Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: ‘Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?’. Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna”.

Papa Francesco ha soggiunto che “siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano”. Anche noi, ha avvertito, “guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto”:

“La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza! Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”.

Ritorna, ha detto il Papa, “la figura dell’Innominato di Manzoni”. La “globalizzazione dell’indifferenza – ha constatato con amarezza – ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto”. Papa Francesco ha dunque levato una terza, drammatica domanda: “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?”:

“Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”.

Nel Vangelo, ha detto ancora, abbiamo ascoltato il grido di Rachele che piange la morte dei suoi figli. Erode, ha detto, “ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi”:

“Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. ‘Chi ha pianto?’. Chi ha pianto oggi nel mondo?”.

Il Papa ha concluso l’omelia chiedendo perdono al Signore per “l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”, per “l’anestesia del cuore” causata dal chiuderci nel nostro benessere. “Chiediamo perdono – ha detto – per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”. Al termine della celebrazione, l’arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, ha sintetizzato la gioia, la gratitudine e la commozione della gente di Lampedusa, migranti e comunità locale:

“Santo Padre, nel Suo abbraccio ci sentiamo tutti accolti, coloro che soffrono, e gli artigiani della pace che hanno fame e sete di giustizia. La Sua presenza e le parole da Lei pronunciate sono di sostegno sia per i nostri fratelli immigrati sia per le comunità di Lampedusa e Linosa che tante volte hanno portato un peso troppo grande facendosi carico di situazioni difficili affrontate sempre con grande generosità e amore. Grazie ancora Santo Padre!”.

Parole a cui ha risposto il Papa con un nuovo grazie ai lampedusani e, in particolare al parroco don Stefano Nastasi e alla sua comunità, per essere faro di solidarietà nell’accogliere con coraggio ma anche con “tenerezza” quanti cercano una vita migliore:

“Voglio ringraziarvi una volta in più, a voi lampedusani, per l’esempio di amore, per l’esempio di carità, per l’esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. (…) Grazie a voi e grazie a lei, don Stefano” (applausi).

Il Papa lancia in mare una corona di fiori per ricordare le migliaia di morti in mare; l'abbraccio con i migranti

◊ “Grazie per la vostra testimonianza ... il Signore ci faccia andare avanti in questo atteggiamento tanto umano e tanto cristiano!”. Con queste parole, a conclusione della sua visita, Papa Francesco ha salutato la folla davanti alla chiesa di San Gerlando a Lampedusa, per poi recarsi all’aeroporto e fare ritorno in Vaticano. La mattinata straordinaria vissuta sull'isola siciliana si è aperta con l'arrivo del Papa, poco dopo le 9, accolto da mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento. A Cala Pisana il Papa si è imbarcato su una motovedetta per raggiungere via mare il porto di Lampedusa, accompagnato dalle barche dei pescatori. Quindi il primo momento toccante della visita: Papa Francesco ha lanciato in mare una corona di fiori bianchi e gialli, in ricordo di quanti hanno perso la vita in mare. Poi è sceso sul Molo a Punta Favarolo ed è stato accolto da alcuni migranti che ha salutato uno per uno, scambiando qualche parola. Un immigrato ha letto una lettera al Papa in cui lo ha ringraziato per questa visita, ha chiesto il suo aiuto e ha raccontato le grandi sofferenze del viaggio: è stato rapito e ora è costretto a rimanere in Italia. Ha chiesto l'aiuto anche degli altri Paesi europei. Il Papa a sua volta ha ringraziato gli immigrati per l’accoglienza e ha detto: “Tutti insieme, oggi, pregheremo l’uno per l’altro e anche per quelli che oggi non sono qui. Grazie!”. Anche il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha ringraziato il Pontefice per la visita. Il Papa ha risposto: "Sono io che ringrazio voi. Questo è il luogo di sofferenza perché ci sono ventimila morti sotto il mare". Il Pontefice è poi salito sulla campagnola per raggiungere il campo sportivo "Arena", in località Salina, per la celebrazione della Messa: qui è stato accolto da migliaia di persone in festa che hanno praticamente circondato l'auto del Papa per stringergli le mani e fargli benedire i bambini. Ripercorriamo dunque questa intensa giornata del Papa a Lampedusa con il servizio del nostro inviato Massimiliano Menichetti:

Il silenzio del mare, l’abbraccio dei lampedusani, gli occhi dei migranti - 165 quelli arrivati solo oggi dall’Africa subsahariana - la testimonianza nella carità. Istantanee indimenticabili con il Papa, pellegrino in questo mare, primo Pontefice a Lampedusa. Attimi storici, come qui dicono tutti. Oggi nella terra di Sicilia la Croce di Cristo, portata dal Successore di Pietro, risplende ancora più vigorosa, donando speranza a chi è dalla parte dei migranti e lavora senza sosta, luce per i profughi che fuggono da persecuzioni e guerre, compassione e vicinanza per i tanti - 20 mila secondo i dati - che riposano in questo mare blu come il cielo, nella contraddizione di un’isola amata da tanti turisti. Toccante il viaggio in nave, dopo l’atterraggio, che da Cala Pisana ha portato il Pontefice davanti alla Porta d’Europa, scultura che guarda l’Africa nella parte più a sud dell’Isola. Porta d’ingresso ma anche monumento per donne, bambini, giovani, anziani che non ce l’hanno fatta. Papa Francesco è stato accompagnato dalle trombe di decine di barche di pescatori, gommoni, moto d’acqua. Poi il mare si è fermato davanti alla porta, la preghiera silenziosa del Papa dopo aver deposto in acqua una ghirlanda di fiori bianchi e gialli, in memoria di tutte le vittime. Quindi il rientro al molo Favarolo, dove i canti africani hanno accolto il Papa e lui ha salutato, uno per uno, i 50 migranti che gli hanno confidato paure e speranze aiutati nelle traduzioni da Said:

“Hanno raccontato la loro sofferenza e come hanno affrontato tutto il tragitto: alcuni sono stati rapiti, vittime. Essendo minorenni, hanno sofferto tantissimo per arrivare qua”.

Il raccoglimento, il dolore per gli scomparsi è poi diventato testimonianza, preghiera e certezza in Cristo che cambia il mondo. Questa verità ha guidato l’incontro al Centro sportivo “Arena”. Migliaia i cappellini sventolati prima della Santa Messa presieduta dal Papa:

“Si vede, si sente: Francesco è qui presente! Si vede!”

(musica)

Tutti hanno pregato con Papa Francesco per i tanti che vengono dall’Africa, per la conversione personale, per avere più coraggio.

R. - Per me è come se fosse uno di noi. Ho avuto un’emozione, una sensazione bellissima!

R. - E’ una persona umile, che ha privilegiato gli ultimi. Mi sento anch’io privilegiata, perché sento di avere ricevuto un grande dono spirituale.

D. - Che cosa porterà con lei di questa visita del Papa?

R. - Porterò un’emozione ancora più forte; porterò un’esperienza di vita che trasmetterò a tutti quelli che mi stanno vicino.

D. - Cosa porterà con lei di questa visita di Papa Francesco?

R. - Sostegno morale. Non so, non so come spiegarle: è troppo bello!

R. - Ha deciso di cominciare dagli ultimi, dai confini dell’Europa.

R. - E’ una nuova esperienza che noi giovani affrontiamo. E’ un’occasione bellissima. Mi lascerà un bel segno veramente.

D. - Lui dice: “Aprire il cuore”. Si aprirà ancora di più questo cuore alla carità?

R. - Sì, a me arriva all’anima.

R. - E’ proprio una gioia immensa.

R. - Un cuore pieno di gioia, di coraggio per affrontare i prossimi sbarchi, per aiutare altra gente che arriverà.

Poi tra gli applausi, le bandiere bianche e gialle sistemate ovunque, seppur con sobrietà, i cartelloni e i manifesti di benvenuto, Papa Francesco è andato nella Chiesa di San Gerlando. il parroco, don Stefano Nastasi:

“E’ un segno per la nostra diocesi di Agrigento, per questa terra, per questo cuore del Mediterraneo e, direi, anche per il mondo intero. Noi siamo realmente, infatti, una periferia geografica e sperimentiamo la periferia esistenziale. Che il primo viaggio del Papa parta da qui, dice tutto, con la sua stessa presenza”.

In Parrocchia il Santo Padre ha incontrato i tanti volontari, altri migranti, gli isolani, testimoni di una carità che non ha mai fine. Ha esortato tutti, i lampedusani, l’Europa il mondo intero, ad aprire ancora di più il cuore, a pregare, a non dimenticare l’umanità tutta che soffre e che ha bisogno d’aiuto. E certamente qui nessuno deluderà il vescovo di Roma, primo Papa venuto nel suo primo viaggio a Lampedusa, nell’isola porta d’Europa.


 

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04 luglio 2018, 13:57