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Udienza del Papa al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede Udienza del Papa al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede 

Papa a Corpo diplomatico: difendere pace e promuovere disarmo

Appelli anche per il dialogo nella penisola coreana, la pace in Siria, due Stati indipendenti per israeliani e palestinesi

Giada Aquilino – Città del Vaticano

La difesa della vita, l’impegno per la pace “universalmente riconosciuta come uno dei valori più alti da ricercare e difendere” - a cui è direttamente connesso quello per il disarmo - e ancora: un pensiero “speciale” per la famiglia, la sollecitudine verso i migranti e la loro integrazione, la libertà religiosa, il diritto al lavoro e la salvaguardia dell’ambiente. Sono i temi cardine dell’udienza del Papa ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuti in Sala Regia in occasione della presentazione degli auguri per il nuovo anno.

Dopo il saluto del decano Armindo Fernandes do Espírito Santo Vieira, ambasciatore di Angola, Francesco ricorda che quest’anno ricorrono il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale e i settant’anni dell’adozione all’Onu, nel 1948, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il Pontefice ripropone in particolare la “centralità della dignità della persona, in quanto voluta e creata da Dio a sua immagine e somiglianza”, per “rimuovere i muri di separazione che dividono la famiglia umana” e favorire lo sviluppo umano integrale.

Eppure, constata Francesco, “nel corso degli anni, soprattutto in seguito ai sommovimenti sociali del Sessantotto”, l’interpretazione di alcuni diritti è andata “progressivamente modificandosi”, così da includere una “molteplicità di ‘nuovi diritti’, non di rado in contrapposizione tra loro”.

Rischio di colonizzazione ideologica

Ciò non ha sempre favorito la promozione di rapporti amichevoli tra le Nazioni, poiché si sono affermate nozioni controverse dei diritti umani che contrastano con la cultura di molti Paesi, i quali non si sentono perciò rispettati nelle proprie tradizioni socio-culturali, ma piuttosto trascurati di fronte alle necessità reali che devono affrontare. Vi può essere quindi il rischio – per certi versi paradossale – che, in nome degli stessi diritti umani, si vengano ad instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli.

Molti diritti fondamentali, prosegue Francesco, sono “ancor oggi violati”. Primo fra tutti quello “alla vita, alla libertà e alla inviolabilità di ogni persona umana”.

Non sono solo la guerra o la violenza che li ledono. Nel nostro tempo ci sono forme più sottili: penso anzitutto ai bambini innocenti, scartati ancor prima di nascere; non voluti talvolta solo perché malati o malformati o per l’egoismo degli adulti. Penso agli anziani, anch’essi tante volte scartati, soprattutto se malati, perché ritenuti un peso. Penso alle donne, che spesso subiscono violenze e sopraffazioni  anche in seno alle proprie famiglie. Penso poi a quanti sono vittime della tratta delle persone che viola la proibizione di ogni forma di schiavitù.

Difendere il diritto alla vita e all’integrità fisica, sottolinea poi, significa “tutelare il diritto alla salute” e favorire “un facile accesso per tutti alle cure e ai trattamenti sanitari”.

È importante unire gli sforzi affinché si possano adottare politiche in grado di garantire, a prezzi accessibili, la fornitura di medicinali essenziali per la sopravvivenza delle persone indigenti, senza tralasciare la ricerca e lo sviluppo di trattamenti che, sebbene non siano economicamente rilevanti per il mercato, sono determinanti per salvare vite umane.

Il diritto alla vita implica pure, prosegue il Pontefice, adoperarsi per la pace, di fronte alla “logica aberrante della guerra”.

Tale scenario non può far diminuire il nostro desiderio e il nostro impegno per la pace, consapevoli che senza di essa lo sviluppo integrale dell’uomo diventa irraggiungibile.

La ricerca della pace come “precondizione per lo sviluppo” implica, aggiunge Francesco, “combattere l’ingiustizia e sradicare, in modo non violento, le cause della discordia che portano alle guerre”.

La proliferazione di armi aggrava chiaramente le situazioni di conflitto e comporta enormi costi umani e materiali che minano lo sviluppo e la ricerca di una pace duratura.

In tale contesto Francesco cita l’adozione lo scorso anno del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari.

La promozione della cultura della pace per uno sviluppo integrale richiede sforzi perseveranti verso il disarmo e la riduzione del ricorso alla forza armata nella gestione degli affari internazionali. Desidero pertanto incoraggiare un dibattito sereno e il più ampio possibile sul tema, che eviti polarizzazioni della Comunità internazionale su una questione così delicata. Ogni sforzo in tale direzione, per quanto modesto, rappresenta un risultato importante per l’umanità.

Anche la Santa Sede ha firmato e ratificato tale documento, ricorda il Papa, ribadendo la ferma “persuasione che le eventuali controversie tra i popoli non debbono essere risolte con il ricorso alle armi”, bensì col negoziato. Un fatto “imprevedibile ed incontrollabile” - sottolinea, citando Giovanni XXIII - potrebbe “far scoccare la scintilla” capace di mettere in moto l’apparato bellico: denuncia così la “continua produzione di armi sempre più avanzate e ‘perfezionate’ e il protrarsi di numerosi focolai di conflitto”, che spesso hanno portato Francesco a parlare di “terza guerra mondiale a pezzi”.

In tale prospettiva, è di primaria importanza che si possa sostenere ogni tentativo di dialogo nella penisola coreana, al fine di trovare nuove strade per superare le attuali contrapposizioni, accrescere la fiducia reciproca e assicurare un futuro di pace al popolo coreano e al mondo intero.

Il Papa auspica poi che possano proseguire, “in un clima propositivo di accresciuta fiducia tra le parti”, le varie iniziative di pace in favore della Siria.

Il comune auspicio è che, dopo tanta distruzione, sia giunto il tempo di ricostruire. Ma più ancora che costruire edifici, è necessario ricostruire i cuori, ritessere la tela della fiducia reciproca, premessa imprescindibile per il fiorire di qualunque società. Occorre dunque adoperarsi per favorire le condizioni giuridiche, politiche e di sicurezza, per una ripresa della vita sociale, dove ciascun cittadino, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa, possa partecipare allo sviluppo del Paese. In tal senso è vitale che siano tutelate le minoranze religiose, tra le quali vi sono i cristiani, che da secoli contribuiscono attivamente alla storia della Siria.

Per il Papa è “altrettanto importante” il ritorno in patria dei numerosi profughi che hanno trovato accoglienza nei Paesi limitrofi, specialmente in Giordania, in Libano e in Turchia, ai quali deve andare “l’apprezzamento e il sostegno” di tutti. La comunità internazionale è chiamata “ad adoperarsi a creare le condizioni per il rimpatrio dei rifugiati provenienti dalla Siria”.

È un impegno che essa deve concretamente assumersi a cominciare dal Libano, affinché quell’amato Paese continui ad essere un ‘messaggio’ di rispetto e convivenza e un modello da imitare per tutta la Regione e per il mondo intero.

La volontà di dialogo è “necessaria”, afferma Francesco, anche in Iraq, “perché le varie componenti etniche e religiose possano ritrovare la strada della riconciliazione e della pacifica convivenza e collaborazione”, come pure in Yemen e Afghanistan.

Un pensiero particolare il Pontefice lo rivolge a israeliani e palestinesi, in seguito alle tensioni delle ultime settimane. La Santa Sede, assicura, rinnova il suo “pressante appello” a ponderare ogni iniziativa affinché “si eviti di esacerbare le contrapposizioni”, e invita ad un “comune impegno” a rispettare lo status quo di Gerusalemme, “città sacra a cristiani, ebrei e musulmani”.

Settant’anni di scontri rendono quanto mai urgente trovare una soluzione politica che consenta la presenza nella Regione di due Stati indipendenti entro confini internazionalmente riconosciuti. Pur tra le difficoltà, la volontà di dialogare e di riprendere i negoziati rimane la strada maestra per giungere finalmente ad una coesistenza pacifica dei due popoli.

Il Papa non dimentica la “ crisi politica ed umanitaria sempre più drammatica e senza precedenti” che attanaglia il Venezuela.

La Santa Sede, mentre esorta a rispondere senza indugio alle necessità primarie della popolazione, auspica che si creino le condizioni affinché le elezioni previste per l’anno in corso siano in grado di avviare a soluzione i conflitti esistenti, e si possa guardare con ritrovata serenità al futuro.

Ricorda poi le sofferenze “di tante parti del Continente africano”, specialmente in Sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia, in Nigeria e nella Repubblica Centroafricana, “dove il diritto alla vita è minacciato dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse, dal terrorismo, dal proliferare di gruppi armati e da perduranti conflitti”.

Non basta indignarsi dinanzi a tanta violenza. Occorre piuttosto che ciascuno nel proprio ambito si adoperi attivamente per rimuovere le cause della miseria e costruire ponti di fraternità, premessa fondamentale per un autentico sviluppo umano.

Quindi il conflitto in Ucraina, che anche nell’anno appena conclusosi ha mietuto nuove vittime “continuando a recare grandi sofferenze alla popolazione”, porta Francesco a parlare della famiglia, oggi - specialmente in Occidente - “ritenuta un istituto superato”.

Alla stabilità di un progetto definitivo, si preferiscono oggi legami fugaci. Ma non sta in piedi una casa costruita sulla sabbia di rapporti fragili e volubili. Occorre piuttosto la roccia, sulla quale ancorare fondamenta solide. E la roccia è proprio quella comunione di amore, fedele e indissolubile, che unisce l’uomo e la donna, una comunione che ha una bellezza austera e semplice, un carattere sacro e inviolabile e una funzione naturale nell’ordine sociale.

Il Papa ritiene dunque urgenti “politiche a sostegno” della famiglia, dalla quale – aggiunge – “dipende l’avvenire e lo sviluppo degli Stati”.

Senza di essa non si possono infatti costruire società in grado di affrontare le sfide del futuro. Il disinteresse per le famiglie porta poi con sé un’altra conseguenza drammatica – e particolarmente attuale in alcune Regioni – che è il calo della natalità. Si vive un vero inverno demografico! Esso è il segno di società che faticano ad affrontare le sfide del presente e che divengono dunque sempre più timorose dell’avvenire, finendo per chiudersi in se stesse.

Francesco parla inoltre delle “famiglie spezzate a causa della povertà, delle guerre e delle migrazioni”, evidenziando “il dramma di bambini che da soli varcano i confini che separano il sud dal nord del mondo, sovente vittime del traffico di esseri umani”.

Oggi si parla molto di migranti e migrazioni, talvolta solo per suscitare paure ancestrali. Non bisogna dimenticare che le migrazioni sono sempre esistite. Nella tradizione giudeo-cristiana, la storia della salvezza è essenzialmente storia di migrazioni. Né bisogna dimenticare che la libertà di movimento, come quella di lasciare il proprio Paese e di farvi ritorno appartiene ai diritti fondamentali dell’uomo . Occorre dunque uscire da una diffusa retorica sull’argomento e partire dalla considerazione essenziale che davanti a noi ci sono innanzitutto persone.

Citando il Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2018, Francesco esorta ancora una volta ad “accogliere, promuovere, proteggere e integrare” i migranti.

Conservo ancora vivo nel cuore l’incontro che ho avuto a Dacca con alcuni appartenenti al popolo Rohingya e desidero rinnovare i sentimenti di gratitudine alle autorità del Bangladesh per l’assistenza che prestano loro sul proprio territorio.

Quindi la gratitudine del Papa va all’Italia, che in questi anni ha mostrato “un cuore aperto e generoso e ha saputo offrire anche dei positivi esempi di integrazione”.

Il mio auspicio è che le difficoltà che il Paese ha attraversato in questi anni, le cui conseguenze permangono, non portino a chiusure e preclusioni, ma anzi ad una riscoperta di quelle radici e tradizioni che hanno nutrito la ricca storia della Nazione e che costituiscono un inestimabile tesoro da offrire al mondo intero.

Ringraziamenti anche per gli sforzi compiuti al riguardo da Grecia e Germania. E si sofferma sull’Europa.

L’arrivo dei migranti deve spronarla a riscoprire il proprio patrimonio culturale e religioso, così che, riprendendo coscienza dei valori sui quali si è edificata, possa allo stesso tempo mantenere viva la propria tradizione e continuare ad essere un luogo accogliente, foriero di pace e di sviluppo.

Francesco pone l’attenzione sui processi di preparazione all’Onu in vista dell’adozione di due Patti Mondiali sui rifugiati e per una migrazione sicura, ordinata e regolare, ricordando i “principi di solidarietà e di mutuo aiuto” e punta ancora una volta ad integrare.

L’integrazione è “un processo bidirezionale”, con diritti e doveri reciproci. Chi accoglie è infatti chiamato a promuovere lo sviluppo umano integrale, mentre a chi è accolto si chiede l’indispensabile conformazione alle norme del Paese che lo ospita, nonché il rispetto dei principi identitari dello stesso. Ogni processo di integrazione deve mantenere sempre la tutela e la promozione delle persone, specialmente di coloro che si trovano in situazioni di vulnerabilità, al centro delle norme che riguardano i vari aspetti della vita politica e sociale.

La Santa Sede, sottolinea Francesco, non interferisce nelle decisioni che spettano agli Stati ma “ritiene di dover svolgere un ruolo di ‘richiamo’ dei principi di umanità e di fraternità”, non dimenticando “l’interazione con le comunità religiose”.

Quindi il Papa richiama anche il diritto alla libertà “di pensiero, di coscienza e di religione, che include la libertà di cambiare religione”.

Purtroppo è noto come il diritto alla libertà di religione sia sovente disatteso e non di rado la religione divenga o l’occasione per giustificare ideologicamente nuove forme di estremismo o un pretesto per l’emarginazione sociale, se non addirittura per forme di persecuzione dei credenti. La costruzione di società inclusive esige come sua condizione una comprensione integrale della persona umana, che può sentirsi davvero accolta quando è riconosciuta e accettata in tutte le dimensioni che costituiscono la sua identità, compresa quella religiosa.

Francesco sottolinea inoltre l’importanza del diritto al lavoro, anche se nel mondo al giorno d’oggi è “un bene scarsamente disponibile” soprattutto per i giovani.

Spesso è facile perderlo non solo a causa delle conseguenze dell’alternarsi dei cicli economici, ma anche per il progressivo ricorso a tecnologie e macchinari sempre più perfetti e precisi in grado di sostituire l’uomo. E se da un lato si constata un’iniqua distribuzione delle opportunità di lavoro, dall’altro si rileva la tendenza a pretendere da chi lavora ritmi sempre più pressanti. Le esigenze del profitto, dettate della globalizzazione, hanno portato ad una progressiva riduzione dei tempi e dei giorni di riposo, con il risultato che si è persa una dimensione fondamentale della vita – quella del riposo – che serve a rigenerare la persona non solo fisicamente, ma anche spiritualmente.

In tale contesto, Francesco pone l’attenzione sull’incremento del numero dei bambini “impiegati in attività lavorative” e delle vittime delle “nuove forme di schiavitù”.

La piaga del lavoro minorile continua a compromettere seriamente lo sviluppo psico-fisico dei fanciulli, privandoli delle gioie dell’infanzia, mietendo vittime innocenti. Non si può pensare di progettare un futuro migliore, né auspicare di costruire società più inclusive, se si continuano a mantenere modelli economici orientati al mero profitto e allo sfruttamento dei più deboli, come i bambini. Eliminare le cause strutturali di tale piaga dovrebbe essere una priorità di governi e organizzazioni internazionali, chiamati ad intensificare gli sforzi per adottare strategie integrate e politiche coordinate finalizzate a far cessare il lavoro minorile in tutte le sue forme.

In conclusione il Papa richiama ai doveri di ogni individuo “verso la comunità” e riserva un’attenzione particolare alla cura “della nostra Terra”. Menziona i terremoti in Messico e Iran, gli uragani nei Caraibi, sulle coste Usa e nelle Filippine ma mette pure in luce come ci sia una “precipua responsabilità dell’uomo nell'interazione con la natura”.

I cambiamenti climatici, con l’innalzamento globale delle temperature e gli effetti devastanti che esse comportano, sono anche conseguenza dell’azione dell’uomo. Occorre dunque affrontare, in uno sforzo congiunto, la responsabilità di lasciare alle generazioni che seguiranno una Terra più bella e vivibile, adoperandosi, alla luce degli impegni concordati a Parigi nel 2015, per ridurre le emissioni di gas nocivi all’atmosfera e dannosi per la salute umana.

E, richiamando all’immagine dei “costruttori delle cattedrali medievali”, auspica di “coltivare lo stesso spirito di servizio e di solidarietà intergenerazionale”, per essere così un segno di speranza per il nostro “travagliato mondo”.

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08 gennaio 2018, 11:32