· Città del Vaticano ·

In Africa si è scatenata una vera e propria “guerra spirituale” nei confronti del coronavirus

Quando la superstizione sostituisce la fede

Men and women sit in a queue waiting for government grants as South Africa starts to relax some ...
12 maggio 2020

Mentre è tuttora in corso la pandemia di covid-19, in Africa si è scatenata una vera e propria “guerra spirituale” nei confronti del micidiale virus da parte di molti gruppi di matrice pentecostale. Naturalmente i comportamenti dei fedeli sono i più variegati e dipendono molto dal tipo di predicazione rivolta loro nelle assemblee a cui prendono regolarmente parte.

Emblematico è il caso di Emmanuel Makandiwa, noto predicatore e guaritore, originario dello Zimbabwe, che è stato duramente criticato per aver rassicurato i suoi seguaci dicendo loro che saranno “risparmiati” dal virus. Ciò è possibile, secondo lui, attraverso la preghiera e la protezione divina che viene garantita a coloro che si abbandonano nelle mani di Dio. «Non morirete — ha ripetuto con grande convinzione a quanti si affidano alla sua parola — perché il Figlio dell’Altissimo è direttamente coinvolto in ciò che stiamo facendo» (ndr: con un chiaro riferimento alla forza dell’orazione), sottolineando che è in gioco «la libertà che nessuna medicina o qualsivoglia antidoto possono offrire».

Pregare va comunque bene, ma il problema di fondo è che l’impatto di questo tipo di predicazione, incentrata sul fideismo, porta ad escludere a priori tutte quelle misure e protocolli che le autorità sanitarie del suo Paese hanno veicolato all’opinione pubblica, in conformità alle raccomandazioni dell’Africa Centers for Disease Control and Prevention (Africa cdc) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Da rilevare che Makandiwa dispone di un sito internet a dir poco lezioso (https://emmanuelmakandiwa.com) nel quale si presenta come un ministro di Dio che esercita il carisma delle guarigioni nei confronti di chiunque sia affetto da malattie d’ogni genere.

Una situazione analoga è stata constatata da uno studioso della fenomenologia pentecostale in Africa, Tinashe Chimbidzikai, dottorando presso la Georg-August University of Gottingen (Germania) e dottorando esterno presso il Graduate Program of African Studies, dell’African Studies Centre Leiden (Olanda). Tinashe, da attento osservatore della vita quotidiana dei migranti pentecostali dello Zimbabwe, che sopravvivono spesso in condizioni di estrema indigenza nella grande città sudafricana di Johannesburg, ha pubblicato un’intervista a uno dei suoi connazionali. Il testo aiuta nella comprensione di quanto sta realmente avvenendo dal punto di vista religioso. «Come cristiano, sono sempre preparato [per qualsiasi cosa], perché la Bibbia ci mette in guardia sul dovere di vegliare, perché non conosci il giorno o l’ora», racconta Thomas, zimbabwano di trentanove anni immigrato pentecostale che vive in Sud Africa. Noncurante dei pericoli legati alla pandemia, svolge le sue attività quotidiane, vendendo mabhero (vestiti di seconda mano) senza maschera, guanti monouso o disinfettante per le mani al mercato. «Se resto a casa — dice — non avrò cibo sul tavolo. Se la situazione dovesse rimanere così, non potrò pagare l’affitto e inviare denaro a casa, a mia moglie e mia madre nello Zimbabwe. Quindi, devo lavorare fino a quando il governo non ci ordina di fermarci. Solo Dio può proteggermi da questa cosa [coronavirus]. E poi, anche se mi avessero infettato, starò bene perché sono sano (…) Il problema è che i cristiani sono guidati dalla paura e non dalla fede. Dobbiamo stare sulla parola di Dio. Questo virus è solo come un vento che presto cesserà di soffiare». Una settimana dopo essere stato intervistato, Thomas è comunque entrato in una condizione di sconforto in quanto è stato costretto a non uscire di casa. Infatti, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha ordinato il lockdown.

Anche in Kenya, nell’ambito di molte comunità pentecostali vi è la tendenza a descrivere il covid-19 come una forza spirituale del male. Il mondo, in questa prospettiva, è un campo di battaglia in cui le forze del bene devono contrastare quelle diaboliche di cui il virus è una delle loro più inquietanti espressioni. Ecco che allora il coronavirus è un demone (shetani) e il distanziamento fisico all’interno dei luoghi di culto un’ingiusta imposizione perché è proprio nell’assemblea dei credenti che si manifesta “la guarigione” che sana i corpi e le anime.

Questa retorica ha contaminato anche altre comunità cristiane. Ad invocare il linguaggio della guerra spirituale, per esempio, è stato lo stesso presidente della Tanzania John Pombe Magufuli, che si dichiara fervente cattolico: mutuando espressioni comuni nel linguaggio pentecostale, ha spiegato che il covid-19, «non può sopravvivere nel Corpo di Gesù (e) sarà bruciato». Nonostante che il suo governo abbia raccomandato di rispettare le norme igieniche più rigorose per contrastare la pandemia, il presidente tanzaniano ha pubblicamente dichiarato che le chiese o le moschee non sarebbero state chiuse perché è qui che è possibile incontrare Dio e la «vera guarigione» (uponyaji wa kweli). Naturalmente la sua scelta ha innescato un vivace dibattito sia nell’arena politica, come anche nella società civile. Soprattutto in ambito accademico si sono levate forti critiche in quanto un certo tipo di comunicazione e di scelte normative generano nell’opinione pubblica una pericolosa «aspettativa di immunità virale». Magufuli comunque ha ribadito la centralità della preghiera e ha anche invitato i propri connazionali a difendersi dal covid-19 utilizzando la fitoterapia.

In alcune comunità pentecostali dell’Africa Occidentale la predicazione dei pastori, di questi tempi, passa anche attraverso i social. È il caso di Samuel, ministro di una comunità nigeriana che ha inviato un messaggio ai suoi seguaci nel quale viene sottolineata la punizione divina, attraverso l’azione nefasta del virus, nei confronti dei peccatori. In un recente WhatsApp ha scritto: «Esaminiamo questi versetti della Bibbia: Levitico 26, 14-16; Deuteronomio 28, 15 e 22; e Isaia 26, 20-21. Il messaggio è decisamente chiaro! Cerchiamo di coltivare un atteggiamento di pentimento perché Dio vuole la conversione dei nostri cuori. Un cuore che piange per la sua misericordia, un cuore che chiede il suo perdono, un cuore che è pronto a pentirsi e lascia alle spalle la sua vita passata. Cerchiamo il pentimento. Indossiamo gli abiti del lutto e piangiamo davanti a Lui mentre ci pentiamo». È evidente che in questo caso la percezione spirituale è incentrata sul castigo di Dio inferto contro un’umanità allo sbando. Rimane il fatto che di fronte a fenomeni pandemici come il coronavirus, il deficit di conoscenze teologiche può sortire effetti molto negativi. Se da una parte è vero che non tutte le chiese pentecostali hanno assunto un atteggiamento fideistico rispetto al dilagare del virus in Africa, dall’altra, quando un cristiano attribuisce a una punizione divina la diffusione di un’epidemia o il verificarsi di qualsiasi altra calamità, di fatto declassa la propria fede ad una sorta di pratica superstiziosa con un dio che evoca le capricciose divinità pagane. A scanso di equivoci è bene rammentare l’insegnamento di Gesù di Nazaret in riferimento a Dio Padre che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5, 45).

di Giulio Albanese