· Città del Vaticano ·

Il discorso d’accettazione del Nobel di Wisława Szymborska

Niente è normale in poesia

Illustrazione di Guido Scarabottolo al volume di Wisława Szymborska
18 maggio 2020

«E almeno una volta / inciampare in una pietra, / bagnarsi in qualche pioggia, / perdere le chiavi tra l’erba; / e seguire con gli occhi una scintilla nel vento; / e persistere nel non sapere / qualcosa d’importante». Dai versi finali di Un appunto (è possibile rileggerlo nell’antologico Discorso all’ufficio oggetti smarriti, Adelphi, 2004) è già chiaro uno dei motivi fondamentali della poesia di Wisława Szymborska: l’indifferenza al sapere in sé. Questa costante del premio Nobel per la letteratura 1996, nata a Kòrnik, in Polonia, nel 1923, e spentasi nel 2012, la si ritrova anche nel discorso d’accettazione del Nobel, edito ora in Italia con il titolo La prima frase è sempre la più difficile (Milano, Terre di mezzo, 2020, pagine 48, euro 12) grazie alla traduzione di Sara Crimi accompagnata dai disegni di Guido Scarabottolo, uno che di rapporti con la letteratura se ne intende, avendo già illustrato opere di Collodi, Twain e Stevenson.

Le poche ma intense pagine del volumetto ci riportano al rapporto con il mondo e non con la sapienza dei saggi. Inciampare in una pietra per la poetessa polacca significa resettare tutto e ricominciare a esistere nel senso più pieno del termine, accettando di essere parte di un tutto di cui anche quel sasso fa parte. Per questo nel suo discorso afferma che la poesia non è né illustrazione, né ragionamento, né discorso razionale, né rappresentazione, e per questo è fuori dal gran circuito mediatico.

Forse sarebbe stata sorpresa nel sapere che un affermato illustratore come Scarabottolo avrebbe “accompagnato” il suo discorso, perché le sue parole dicono che la poesia non è illustrabile, e anche perché, «il loro lavoro (quello dei poeti, ndr) è disperatamente poco fotogenico». Ma i disegni che qui accompagnano le parole della Szymborska non vogliono essere una traduzione, se mai costituiscono una sorta di dialogo empatico in cui, con rispettoso divertissement, l’artista tenta di offrire un’immagine veloce, non descrittiva né mimetica di parole che comunque suggeriscono, a ogni nuova lettura, altro. Anche perché le assorte poesie della scrittrice polacca sul silenzio delle stanze di uffici deserti o della natura non lasciano dubbi sulla loro intraducibilità se non nella parola poetica che ubbidisce all’epifania di un attimo.

Il motivo è che quel contatto con le piante, dice in una sua poesia che si intitola proprio Il silenzio delle piante, è misterioso e non trasmissibile attraverso umane parole: «Epifite, boschetti, prati e giuncheti / tutto ciò che vi dico è un monologo / e non siete voi che lo ascoltate». Detto di questa sorta di dialogo (im)possibile tra un disegnatore e una poetessa che non si sono mai incontrati (e forse questo le sarebbe piaciuto, perché significherebbe l’imponderabile dell’ispirazione), in questo discorso c’è un mondo. E questo è il vero dono della poesia, anche quando non parla in versi: armonizzare l’Ecclesiaste, la paura del silenzio proveniente dalla pagina bianca, il dolore del nascondimento mediatico del poeta (che non è un mestiere, un lavoro, una professione), la figura del grande poeta russo — anch’egli Nobel per la letteratura — Iosif Brodskij, il linguaggio misterioso della natura, non è cosa da poco: ma lei ci riesce, pacatamente, semplicemente, come nelle sue corde poetiche, senza fare pompose dichiarazioni: dice semplicemente che è difficile, anzi, impossibile, spiegare l’ispirazione, perché, lo abbiamo già notato, quel tocco divino dura un attimo, e quell’attimo da solo basta a giustificare l’esistenza della poesia che ne è scaturita.

La poesia, secondo la Szymborska, è un atto completamente privo di razionalità e di possibilità di spiegazione: «Non è facile spiegare a qualcun altro ciò che tu stesso non capisci». Colpisce di questo piccolo capolavoro di leggerezza consapevole, la perenne aura di noncuranza affettuosa, di sprezzatura non erudita, ma tradotta nelle piccole cose di ogni giorno. Soprattutto si fa largo l’essenza vera della poesia, quella di denunciare i tentativi di fermare le cose, l’essere, di legarlo a una ideologia ripetitiva in cui la stessa essenza umana, non solo quella artistica, rischia il tramonto e la trasformazione in cosa funzionale e basta. Ogni attimo è nuovo, e ogni attimo, a saperlo ben guardare ha il suo fascino.

Ed è davvero appropriata la rivalutazione in positivo delle parole dell’Ecclesiaste, cui la Szymborska dà familiarmente del tu: «La tua stessa nascita è stata qualcosa di nuovo sotto il sole». Che importa se la gioia è fugace, si chiede la poetessa: essa ha abitato la nostra anima, e fa parte ormai di noi. Non vi è nulla di scontato negli occhi del vero poeta, conclude Wisława, perché «nel linguaggio della poesia, che soppesa ogni parola, nulla è consueto o normale».

di Marco Testi