· Città del Vaticano ·

Il Commissariato della Custodia in Italia ancora più vicino ai cristiani in Medio oriente durante la pandemia

Napoli provincia della Città santa

La preparazione dei pasti per i poveri
23 maggio 2020

Mentre ci si inerpica sulla rapida salita che porta su, a Capodimonte, torna in mente l’osservazione azzeccata dello scrittore Erri De Luca, per il quale la luce unica di Napoli è uguagliata e superata solo dalla luce di Gerusalemme. In cima alla collina una porticina dischiude l’ingresso ad un minuscolo convento dalla cui terrazza incanta la vista del golfo di Napoli, e più in là, nitide Ischia e Procida a destra, e Capri a sinistra. Sulla porta una targa, «Commissariato di Terra Santa». Un’entità abbastanza sconosciuta ai più, e che pure ha un ruolo importante per tutta la Chiesa. Praticamente, e semplificando, si tratta delle “ambasciate” che la Custodia di Terra Santa ha sparse in giro per mezzo mondo.

Dell’organismo si sa già abbastanza. Che ha in carico la custodia dei luoghi della vita terrena di Gesù fin dal 1217, quando fu istituita, vivo san Francesco, come «provincia dell’Oltremare e della Siria» dell’ordine francescano. Che estende la sua giurisdizione a Israele, Palestina, Siria, Giordania, Libano, Cipro, Rodi ed Egitto. Che esercita la sua tutela su 54 santuari che coprono praticamente l’intero percorso della vita di Gesù. Che gestisce una rete estesa ed efficace di parrocchie, scuole, centri di assistenza, per i cristiani del Medio oriente. Ma di queste “antenne”’ periferiche pur così essenziali, come vedremo, al funzionamento dell’intera macchina, si conosce poco. Perciò ce lo facciamo spiegare dai due frati che ci vengono ad aprire alla porta del piccolo convento di Capodimonte. Hanno stampato in viso il sorriso proprio della gioia francescana, e le prime parole che ci scambiamo sono di nostalgia per Gerusalemme. Padre Sergio Gualdi d’Aragona, 54 anni, commissario generale di Terra Santa in Italia a Napoli, e padre Giuseppe Gaffurini, vice guardiano del convento, hanno passato entrambi molti anni a nella Città santa prima di essere mandati nel capoluogo campano.

Intanto perché proprio Napoli? «Beh, perché in qualche modo potremmo dire che la Custodia di Terra Santa è nata proprio qui. Furono infatti i re di Napoli ad acquistare nel 1333 l’edificio nella cittadella di Sion che la tradizione riconosce come il Cenacolo (prima sede e primo titolo del Custode) e a pagare i tributi di ingresso al Santo Sepolcro, perché i frati francescani potessero celebrarvi le sacre liturgie. Fino alla bolla di Clemente vi nel 1342 con cui venne ufficialmente riconosciuto il mandato pontificio alla custodia dei luoghi santi. Quindi prima a Napoli, e poi a Venezia — che all’epoca era il terminale marittimo dei traffici con il Vicino 0riente — si stabilirono comunità di frati francescani il cui compito era di mantenere innanzitutto un legame spirituale con Gerusalemme, promuovere i pellegrinaggi verso la Terra Santa, raccogliere fondi e materiali per i frati che vi risiedevano. Da Venezia partivano casse di arredi sacri e balle di lana tinta per cucire i sai dei frati, abbiamo ritrovato le bolle di spedizione del tempo», racconta padre Sergio che la storia la conosce bene essendo stato segretario generale della Custodia a Gerusalemme. Da allora questi punti di appoggio, queste “ambasciate”, si sono estese in tutto il mondo, ovunque vi è una provincia francescana. Tre di questi Commissariati svolgono un ruolo preminente e di coordinamento: Napoli, appunto, e poi Buenos Aires e Washington D.C.

«Istituzionalmente i nostri compiti sono rimasti gli stessi di otto secoli fa: promuovere la relazione con la Terra Santa, raccogliere fondi, e organizzare ed accompagnare i pellegrini», continua padre Sergio. «Fino a qualche anno fa — gli fa eco padre Giuseppe — qui a Napoli c’erano venticinque frati collettori. In tanti paesi della Campania e di tutto il meridione era molto popolare la figura di quello che era chiamato “il monaco di Gerusalemme”, un frate che in sandali e bisaccia girava tutti i paesini almeno una volta l’anno e raccoglieva offerte per le messe di suffragio da celebrare nei santuari di Israele. Le pie donne del posto, lo attendevano, rifocillavano e accompagnavano di casa in casa».

Ora le cose sono cambiate, i frati collettori sono ormai quasi scomparsi, ma la rete di solidarietà per i cristiani di Terra Santa resiste affidandosi non più alla bisaccia ma ai social network. «Queste raccolte, insieme alle donazioni e alle iniziative economiche connesse ai pellegrinaggi — riprende padre Sergio — rappresentano circa un terzo delle entrate della Custodia di Terra Santa, mentre i due terzi sono dati dalla colletta del venerdì santo». Il cui meccanismo di funzionamento, messo a punto dall’esortazione apostolica Nobis in animo di San Paolo VI del 1974, vede coinvolti appunto i commissari di Terra Santa. Infatti le risorse raccolte dalle varie comunità parrocchiali nel giorno in cui si fa memoria della morte di Gesù, vengono consegnate agli ordinari del luogo che provvedono a girarle ai commissari, che a loro volta le inoltrano alla struttura custodiale di Gerusalemme. «Sono risorse, è bene sapere — precisa il religioso — che vanno tutte a sostegno non dell’istituzione ma dei cristiani di Terra Santa. Qualche dato per intendersi: la Custodia paga ogni mese mediamente 2.400 stipendi a lavoratori delle strutture di accoglienza, a tecnici, manutentori, operai ed impiegati, garantendo quindi il sostentamento a 2.400 famiglie. Possiede circa seicento appartamenti, recentemente restaurati con molto sforzo, che sono ceduti in affitto con canoni quasi sempre simbolici a famiglie cristiane. Sosteniamo venticinque nostre parrocchie che svolgono un’intensa attività caritatevole. Gestiamo quindici scuole frequentate da oltre diecimila ragazzi, cristiani e musulmani. Promuoviamo tante iniziative culturali popolari come la scuola di musica Magnificat. Elargiamo supporti economici e sanitari alle popolazioni dei territori occupati. Insomma la colletta del venerdì santo è in realtà tutta dedicata alla carità».

La conversazione continua nel refettorio dei frati, dove tutti sono impegnati a preparare i pasti per i poveri della zona in questo tempo di pandemia. «Sì, perché la nostra iniziativa di carità non si ferma alla Terra Santa. In questi giorni siamo impegnati ad alleviare le sofferenze di questi nostri fratelli che hanno perso il lavoro o non ce la fanno ad andare avanti: non possiamo uscire e quindi prepariamo qui il cibo che poi viene portato alla mensa della parrocchia a noi vicina». E il non poter uscire è un bel problema per padre Sergio, che tra l’altro è incaricato di preparare il prossimo capitolo generale dell’Ordine dei frati minori convocato, prima dell’epidemia, per il 2021 nelle Filippine. «Fuori di Israele e Palestina abbiamo anche attivamente collaborato con i nostri frati a Rodi e a Cipro nell’aiuto dei migranti in fuga dalla Siria e dal Kurdistan, rinchiusi negli hotspot del Mediterraneo orientale». Il problema è che tutta questa macchina ora rischia di incepparsi per via della pandemia.

«La colletta del venerdì santo, come è noto, non è stata svolta. Papa Francesco l’ha saggiamente spostata al prossimo 13 settembre, il giorno precedente alla festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Questo significa ovviamente sei mesi di sofferenza finanziaria proprio in un momento in cui i bisogni dei poveri in Palestina, ma non solo, si sono fatti più pressanti. Dobbiamo assolutamente riuscire a pagare quei duemila e più stipendi in Israele se non vogliamo mettere in ulteriore difficoltà tante famiglie cristiane». Padre Giuseppe, con minor pudore, non esita: «Abbiamo bisogno di aiuto ora. Ricordi quanto scrive Paolo nella Prima lettera ai Corinti? “Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli di Gerusalemme, fate come ho ordinato alle chiese della Galazia. Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte quello che gli è riuscito di risparmiare. Quando poi giungerò manderò con una mia lettera quelli che avrete scelto per portare il vostro dono a Gerusalemme. E se converrà che vada anch’io partiranno con me” (1 Corinti, 16, 1, 4). Paolo, in sostanza, è stato il primo commissario di Terra Santa. Raccoglieva tra le chiese per aiutare i fratelli poveri di Gerusalemme». Padre Giuseppe, però, a differenza di San Paolo sa come fare arrivare prima le offerte dall’altra parte del Mediterraneo: e mi mette sotto al naso un bigliettino con un importante scritto: IT18X0623003543000056736389.

Non sono numeri dal significato esoterico, ma il codice iban del Commissariato di Terra Santa di Napoli, dove far arrivare le offerte. Aiutiamoli ad aiutare.

di Roberto Cetera