· Città del Vaticano ·

Il ritorno all’imprescindibile lezione in presenza

Avere a cuore la scuola

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25 maggio 2020

«Preghiamo oggi per gli studenti, i ragazzi che studiano, e gli insegnanti che devono trovare nuove modalità per andare avanti nell’insegnamento: che il Signore li aiuti in questo cammino, dia loro coraggio e anche un bel successo». Così Papa Francesco, nel giorno della ricorrenza della prima apparizione mariana a Fátima, ha nuovamente ricordato in questo tempo di pandemia il mondo della scuola, mostrando quanto letteralmente lo serbi nel cuore.

Sì, perché il vescovo di Roma aveva cominciato in quella piazza vuota del 27 marzo, ormai entrata nella storia, a far risuonare la paternità e la maternità spirituale degli insegnanti, ponendoli sullo stesso piano delle figure parentali fondamentali: «Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera». Qualche minuto dopo il presidente della Repubblica Mattarella esprimeva «la riconoscenza della Repubblica» anche «agli insegnanti che mantengono il dialogo con i loro studenti»; perché, come asserito poi in un videomessaggio per Rai cultura, «le scuole chiuse sono una ferita (...) per tutti coloro che, giorno per giorno, partecipano alla vita di queste comunità».

Successivamente, durante una meditazione mattutina dedicata alla formazione del cuore dei pastori alla vicinanza con il popolo, Papa Francesco aveva esortato tutti a pregare per gli insegnanti che «devono lavorare tanto per fare lezioni via internet» e per gli studenti che «devono fare gli esami in un modo a cui non sono abituati». Non era mancata a tal proposito la bella ammissione del vicedirettore del «Corriere della Sera» Antonio Polito: «Ci accorgiamo all’improvviso che fare gli insegnanti è un mestiere difficilissimo» e che, anzi, «gli insegnanti sono dei geni, la scuola è una grande invenzione, e noi non ne possiamo fare a meno». Ciò nonostante — ha denunciato lo scrittore Paolo Giordano — resta un «grave problema»: «la latitanza della scuola» e «la marginalità della cultura» nel dibattito pubblico sulla “fase 2”, non certo per loro responsabilità ma a causa del falso assioma secondo cui esse sarebbero «separate dal resto della vita sociale e dal comparto produttivo».

Una serie di interventi istituzionali autorevoli che hanno intercettato un bisogno di riconoscimento, di vicinanza e di incoraggiamento presente nella comunità scolastica, la quale ha ricambiato condividendoli su tutti i social. D’altronde, sia per il numero delle persone coinvolte (circa 9 milioni) che per la centralità del kairós scolastico nelle loro vite, non poteva passare inascoltato un disagio palpitante che ha accomunato preti, catechisti e insegnanti, catecumeni e studenti.

Una difficoltà poliedrica, comprensibile nella sua complessità solo osservandola da diverse prospettive. Quella antropologico-epistemologica, da dove si coglie il legame tra il venir meno della presenza corporea-emozionale nello svolgimento della propria vocazione e l’inadeguata trasmissione dei “saperi profondi”. Quella psicologica, con la problematicità di vivere alcuni decisivi riti di passaggio, se non on line e in forma riduttiva. Quella filosofica, che verifica quanto teorizzato dai maestri del Novecento sull’impossibilità di pensare la tecnica e la tecnologia (a partire da quella digitale) come mezzo facilmente controllabile rispetto ai fini che ci illudiamo di assegnargli. Quella socio-economica, da cui si ha la triste conferma che i poveri — di mezzi di sostentamento o di strumenti digitali adeguati — sono sempre tra di noi.

Tutte zone d’ombra che ci devono dare da pensare nell’attuale clima di incertezza relativo all’individuazione di modalità sicure per la riapertura delle scuole, ma che — in un’ottica di ritorno all’imprescindibile lezione in presenza — ci inducono a rifrangere ancora meglio i frammenti di luce emersi in questo periodo di didattica a distanza. Dalla spinta a una maggiore autonomia e responsabilità personale — riguardo la (non obbligatoria) presenza in modalità sincrona, il rispetto dei tempi e degli spazi (spesso privati) digitali e lo sviluppo di contributi fruibili on line, sino ad una maggiore cura degli aspetti relazionali dell’insegnamento — attraverso uno svolgimento dei programmi ancor più declinato in chiave attuale ed esistenziale e una valutazione orientata non solo al risultato ma anche al processo di apprendimento. Riverberi luminosi che sono stati percepiti anche tramite i ringraziamenti espressi dai genitori durante i consigli di classe virtuali. Non era scontata tutta questa riconoscenza e perciò la custodiamo volentieri nel cuore come fosse, direbbe Etty Hillesum, «un balsamo per molte ferite».

di Sergio Ventura